"Il Sinodo: che bella libertà di espressione!" (Prima parte)

L’esperienza sinodale di monsignor Lacroix, arcivescovo di Québec

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di Hélène Ginabat

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 24 ottobre 2012 (ZENIT.org) – “Che bella libertà di espressione e d’accoglienza gli uni gli altri!”. Questa è l’esperienza sinodale di monsignor Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Québec.

Intervistato da ZENIT, il presule canadese racconta le sue impressioni del Sinodo e dell’Anno della Fede, appena iniziato. “Siamo noi per primi che dobbiamo cambiare, siamo noi che dobbiamo lasciarci convertire, allora sono pieno di speranza”, sottolinea monsignor Lacroix.

Quali sono le sue impressioni del Sinodo finora? I vescovi hanno tratto beneficio di questa libertà di espressione per condividere le loro preoccupazioni e speranze?

Mons. Lacroix: Si è conclusa la seconda settimana e ciò che è meraviglioso è che abbiamo sentito il battito cardiaco della Chiesa universale. Sia i vescovi, arcivescovi e cardinali che i laici, uditori ed uditrici, persone consacrate, sacerdoti che hanno parlato, lo hanno fatto con grande libertà, in una grande varietà. Alcuni hanno espresso molta gioia nel loro lavoro, altri molte sofferenze, preoccupazioni o delle speranze per il futuro, delle domande…

È assolutamente eccezionale ritrovarci qui, da quasi tutti i Paesi del mondo, e poter constatare a che punto siamo nella nostra missione di Chiesa. Alcune Chiese sono più antiche, come quelle del Medio Oriente, che esistono da 2.000 anni, altre sono più giovani, come la nostra in Canada, che ha poco più di quattro secoli, o altre, come la Francia, che hanno molta esperienza ed esprimono una realtà che tocca veramente la Nuova evangelizzazione. Ci si rende conto che molta gente è stata battezzata ma non ha approfondito la propria fede o non ha vissuto un vero incontro personale e comunitario con Cristo.

Ci sono anche le nuove Chiese dell’Africa e dell’Asia, Chiese appena nate, che non si trovano allo stesso stadio rispetto a noi ma che, a causa della globalizzazione, sono influenzate da tante cose e si pongono le stesse domande di noi.

È interessante ascoltarci gli uni gli altri. Finora più di 260 persone hanno preso la parola, ciascuno per 4 o 5 minuti. È molto arricchente. Questo mi dona un’altra visione di come si è Chiesa oggi davanti a questa grande missione.

Mi dà molta speranza anche perché in luoghi dove si pensava che la situazione fosse ancora più difficile che da noi, non lo è. Sono stati raggiunti dei traguardi straordinari ed è lì che si constata che la missione della Chiesa dipende soprattutto dallo Spirito Santo, che è un’opera dello Spirito che suscita degli evangelizzatori, delle evangelizzatrici, dei testimoni, dei martiri, uomini e donne dappertutto nella vita della Chiesa, che accettano questa missione e che la vivono profondamente.

Ho incontrato, ad esempio, un vescovo, il vicario apostolico di Phnom Penh, in Cambogia. La Chiesa lì sta ricominciando: nel suo villaggio, ha cominciato una sola persona e si sta moltiplicando e mi ha raccontato quanti giovani e catecumeni ci sono attualmente, allora è piena di speranza.

Nei nostri piccoli incontri dei gruppi linguistici anche, che bella libertà di espressione e di accoglienza gli uni gli altri! Abbiamo già lavorato due giorni insieme. Nel nostro gruppo francofono, siamo 28 di 18 nazionalità, è bellismo! Ascoltare i confratelli francofoni d’Africa, d’Asia, del Medio Oriente, delle Americhe, è veramente impressionante.

Il Sinodo apporta testimonianze di tutte le culture: la lettera del vescovo cinese è abbastanza severa… Ha avuto impatto?

Mons. Lacroix: Senz’altro accogliere una lettera di un vescovo cinese fa impressione. Credo che noi conosciamo poco la realtà dei nostri fratelli e sorelle che vivono il cristianesimo all’interno della Cina, abbiamo solo delle notizie molto brevi e frammentarie, allora è difficile di valutare bene la situazione. Con i confratelli degli altri Paesi che sono qui, si può condividere in profondità.

Ma è giusto ricevere una lettera, questa ci pone senz’altro della domande. Comunque non vedo l’ora che potremo veramente essere insieme e condividere, non virtualmente, ma realmente, in «presenza reale» per modo di dire. Noi preghiamo molto per i nostri fratelli e sorelle in Cina. È  un continente in sé, più di un miliardo di uomini e donne: che campo di evangelizzazione straordinario! Il Signore ha i suoi tempi, ho molta fiducia, aprirà le porte alla sua ora.

Lei ha parlato, nel suo intervento durante la Congregazione Generale, dell’importanza dell’incontro personal con Gesù, fondamentale per testimoniare il Cristo vivente. Come si può favorire questo incontro, specialmente in occasione dell’Anno della Fede ?

Mons. Lacroix: Ne ho parlato e molti altri ne hanno parlato al Sinodo. È  il fondamento: se non rendiamo testimonianza del nostro incontro con Cristo, di chi o di che cosa testimonieremo? È Lui, il fondamento e il cuore. Come arrivarci ? Predicando il Vangelo, non bisogna aver paura di predicare la morte e la risurrezione di Cristo. Mi piace molto ritornare agli Atti degli Apostoli, al giorno di Pentecoste e alle settimane, ai mesi, agli anni che seguirono l’evento. Come si è sviluppato il cristianesimo in Europa e nel mondo? Predicando.

Dei testimoni che hanno vissuto questo grande incontro con Cristo, la cui vita è stata trasformata, che ne hanno fatto l’esperienza, che possono dire : “Questo Dio diventato uomo, Gesù Cristo, l’ho incontrato, ha trasformato la mia vita. Sono un uomo nuovo e vorrei presentarvelo”. E’ quello che noi dobbiamo fare, certamente attraverso la predicazione esplicita della fede, ma anche attraverso la nostra testimonianza di vita.

C’è un grande bisogno di conversione, ne abbiamo sentito molto durante questo Sinodo. Abbiamo bisogno di convertirci, noi vescovi, sacerdoti, persone consacrate, la gente che è all’interno dei muri della Chiesa. Noi abbiamo bisogno di lasciarci nuovamente conquistare il cuore dal messaggio e dalla persona di Cristo, per poter andare alla missione e penso che questo Anno della Fede possa essere una eccellente opportunità.

All’inizio, quando il Papa ha annunciato quest’Anno, non vedevo bene il legame, dicevo a me stesso: “Ma perché? Già abbiamo difficoltà a fare la Nuova Evangelizzazione! Perché aggiungere un Anno della Fede?”. Ma adesso capisco molto bene che è indispensabile. Siamo noi per primi che dobbiamo cambiare, siamo noi che dobbiamo lasciarci convertire, allora sono pieno di speranza.

Da noi, a Québec, l’Anno della Fede è stato già lanciato, domenica 14 ottobre, con molto entusiasmo, con molte testimonianze, di gente che ha veramente voglia di vivere e di approfondire quest’anno. Lo vivremo in quattro belle stagioni, ritornando al cuore della nostra fede, della nostra relazione e della nostra vita con il Signore, e della nostra testimonianza affinché si trasformi, poco a poco, allora ho molta speranza.

[Traduzione dal francese a cura di Paul De Maeyer]

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ZENIT Staff

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