di Jan Bentz
CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 23 ottobre 2012 (ZENIT.org) – Durante la 17a Congregazione Generale di venerdì scorso, il vescovo della diocesi di Zrenjanin (Serbia), monsignor Ladislav Nemet, ha presentato ai Padri Sinodali la relazione del Circolo Minore Germanicus.
ZENIT ha intervistato il presule, membro della Società del Verbo Divino (S.V.D., nota anche come i Verbiti o Missionari di Steyl), in merito alla sua attività nel Paese dei Balcani.
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Eccellenza, ci può raccontare in poche parole il suo iter personale nella congregazione dei Missionari Verbiti e spiegare quali compiti le sono stati affidati come vescovo?
Mons. Ladislav Nemet: Sono entrato nel 1977 nella Società del Verbo Divino. I miei superiori mi ha mandato in Polonia, dove ho completato il mio noviziato e i miei studi. Sono stato ordinato sacerdote nel 1983, mentre lavoravo nell’allora Jugoslavia. Ho studiato poi a Roma, conseguendo il dottorato, e successivamente ho insegnato anche teologia. Tra il 2004 e il 2007 sono stato padre provinciale in Ungheria e segretario provinciale della Conferenza Episcopale d’Ungheria. Nel luglio 2008 il Santo Padre mi ha nominato vescovo. Sono dunque ritornato, dopo 30 anni, in Jugoslavia, un Paese che è sparito nella storia. Io sono jugoslavo di nascita, la mia diocesi si trova nel nord del Paese ed è composta da 650.000 anime, di cui quasi l’11% di fede cattolica. Quindi siamo una minoranza accanto al grande gruppo confessionale dei serbi ortodossi. Abbiamo 32 parrocchie, ma purtroppo nessuna scuola.
Cosa impedisce la fondazione di una scuola?
Mons. Ladislav Nemet: Il motivo principale è la mancanza di fondi. I beni della Chiesa, espropriati durante la Seconda Guerra Mondiale, non sono ancora stati restituiti alla Chiesa. Di recente è stata presentata nuovamente una querela. Per fondare una scuola servono non solo lo spirito e persone buone, ma anche fondi finanziari. Siamo, da questo punto di vista, una Chiesa nella diaspora.
La Chiesa soffre ancora le conseguenze della guerra degli anni ’90?
Mons. Ladislav Nemet: Sì. Le guerre del 1994 e del 1995 hanno lasciato un segno nella Chiesa. In particolare le famiglie più giovani hanno abbandonato il Paese e quindi la nostra Chiesa. La disoccupazione è ufficialmente ancora del 35%, ma ufficiosamente è molto più alta. Il servizio della Caritas è sicuramente uno dei migliori offerti dalla diocesi, oltre alla pastorale giovanile naturalmente. Proprio questi sono i due aspetti che mi piacciono di più come padre di Steyl.
I Padri di Steyl sono un ordine missionario. Cosa contraddistingue il lavoro di un padre di Steyl nel suo incarico?
Mons. Ladislav Nemet: Per noi è molto importante la pastorale biblica, rivolta in primissimo luogo ai giovani, per farli ritornare di nuovo alla Chiesa. Qui la secolarizzazione non è tanto diffusa, probabilmente perché da noi molte persone sono ancora tradizionalisti. Le famiglie, come rete sociale, sono ancora abbastanza forti, e la mobilità non è molto grande.
Che cosa l’ha spinta ad entrare nei Padri Verbiti?
Mons. Ladislav Nemet: Si potrebbe parlare di un gioco della sorte! Volevo diventare sacerdote diocesano ed avevo preparato già tutto. La sera dell’ultimo giorno ho incontrato un padre di Steyl. Gli raccontai che volevo diventare sacerdote, e lui mi propose di diventare missionario. Così ho cambiato la mia domanda. E’ stato lo Spirito Santo. Mi piace la vita di religioso, viaggio molto e ho potuto visitare e conoscere davvero tanti Paesi.
Quale dei temi trattati durante il Sinodo hanno attirato maggiormente il suo interesse? E quali, secondo lei, i compiti più importanti da svolgere?
Mons. Ladislav Nemet: Penso che ci siano due settori nei quali si possono sviluppare le idee ricevute nel Sinodo. Da un lato, l’incontro con i nuovi movimenti spirituali. Ce ne sono molti nella nostra diocesi e vorrei rafforzare il dialogo con loro, coinvolgerli maggiormente. Soprattutto i carismatici sono molto diffusi da noi. Dall’altro, la missione ad populares, la missione popolare. Abbiamo sviluppato un nuovo modello, che come padre di Steyl ho implementato con grande successo nel mio lavoro in Ungheria. In questo modello, mandiamo sacerdoti, laici e religiosi in gruppo per la parrocchia. I partecipanti vivono nelle famiglie e questo offre una grande opportunità di invitare letteralmente “a casa” la fede da veri testimoni. Abbiamo, poi, anche dei missionari del Ghana, un’esperienza fantastica per la gente! Gli africani, infatti, proclamano la Buona Novella veramente come “buona” e non solo come “novella”.
Ci sono invece molti contatti con la Chiesa ortodossa?
Mons. Ladislav Nemet: Parlerei di un “dialogo della vita”, come indicato anche dai nostri documenti. Vi è un dialogo di collaborazione, non un dialogo di gerarchie, che non esiste. Dalla guerra del 1991, non è possibile costruire un ecumenismo della gerarchia. Ci sono solo contatti personali con i rappresentanti della Chiesa ortodossa.
Il Santo Padre non ha ancora visitato la Serbia?
Mons. Ladislav Nemet: No. La Serbia, così come la Bielorussia e la Moldavia, è uno dei pochi Paesi in Europa in cui non c’è mai stato un Pontefice. Spero possa venire presto.
[Traduzione dal tedesco a cura di Paul De Maeyer]