Dal Medioevo una guida per l'«homo viator» (Seconda parte)

Commento alla lettera pastorale di Benedetto XVI su Santa Ildegarda di Bingen

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di Massimo Introvigne

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 22 ottobre 2012 (ZENIT.org) – Al di là del linguaggio simbolico e metaforico, dobbiamo chiederci qual è il centro del l’insegnamento del nuovo dottore della Chiesa. Benedetto XVI risponde che «Ildegarda fissa lo guardo sull’evento della rivelazione. La sua indagine si sviluppa a partire dalla pagina biblica, alla quale, nelle successive fasi, resta saldamente ancorata», offrendo una sintesi di tutta la storia della salvezza. «La decisione di Dio di compiere l’opera della creazione è la prima tappa di questo immenso percorso, che, alla luce della Sacra Scrittura, si snoda dalla costituzione della gerarchia celeste fino alla caduta degli angeli ribelli e al peccato dei progenitori. A questo quadro iniziale fa seguito l’incarnazione redentrice del Figlio di Dio, l’azione della Chiesa che continua nel tempo il mistero dell’incarnazione e la lotta contro satana. L’avvento definitivo del regno di Dio e il giudizio universale saranno il coronamento di questa opera».

Mentre è presentato questo grandioso affresco storico, emerge continuamente «la questione fondamentale se sia possibile conoscere Dio: è questo il compito fondamentale della teologia. La sua risposta è pienamente positiva: mediante la fede, come attraverso una porta, l’uomo è in grado di avvicinarsi a questa conoscenza». Certo, «Dio conserva sempre il suo alone di mistero e di incomprensibilità. Egli si rende intelligibile nel creato, ma questo, a sua volta, non viene compreso pienamente se viene distaccato da Dio. Infatti, la natura considerata in sé fornisce solo delle informazioni parziali, che non di rado diventano occasioni di errori e di abusi. Perciò anche nella dinamica conoscitiva naturale occorre la fede, altrimenti la conoscenza resta limitata, insoddisfacente e fuorviante». Per questo iniziare l’Anno della fede sotto il patrocinio di Ildegarda è particolarmente appropriato. La santa, più di altri, ha sottolineato il ruolo essenziale della fede per la conoscenza della natura.

Per Ildegarda, infatti, «la creazione è un atto di amore, grazie al quale il mondo può emergere dal nulla: dunque tutta la scala delle creature è attraversata, come la corrente di un fiume, dalla carità divina». Ma, «fra tutte le creature, Dio ama in modo particolare l’uomo e gli conferisce una straordinaria dignità, donandogli quella gloria che gli angeli ribelli hanno perduto. L’umanità, così, può essere considerata come il decimo coro della gerarchia angelica».

Con un passaggio ardito, ma fondato rigorosamente dal punto di vista filosofico e teologico, Ildegarda ne deduce che «l’uomo è in grado di conoscere Dio in se stesso, cioè la sua individua natura nella trinità delle persone». Sulla base di questo accostamento piuttosto agostiniano al mistero trinitario, la santa afferma che «per analogia con la propria struttura di essere razionale, l’uomo è in grado di avere almeno un’immagine della intima realtà di Dio. Ma è solo nell’economia dell’incarnazione e della vicenda umana del Figlio di Dio che questo mistero diventa accessibile alla fede e alla consapevolezza dell’uomo. La santa ed ineffabile Trinità nella somma unità era nascosta ai servitori della legge antica. Ma nella nuova grazia veniva rivelata ai liberati dalla servitù. La Trinità si è rivelata in modo particolare nella croce del Figlio»..

Se il primo «luogo» dove il Dio trinitario si rende conoscibile è l’uomo stesso, il secondo è la sua parola contenuta nella Sacra Scrittura. «Proprio perché Dio “parla”, l’uomo è chiamato all’ascolto. Questo concetto offre a Ildegarda l’occasione di esporre la sua dottrina sul canto, in modo particolare quello liturgico. Il suono della parola di Dio crea vita e si manifesta nelle creature. Anche gli esseri privi di razionalità, grazie alla parola creatrice vengono coinvolti nel dinamismo creaturale. Ma, naturalmente, è l’uomo quella creatura che, con la sua voce, può rispondere alla voce del Creatore. E può farlo in due modi principali: “in voce oris”, cioè nella celebrazione della liturgia, e “in voce cordis”, cioè con una vita virtuosa e santa. L’intera vita umana, pertanto, può essere interpretata come un’armonia e una sinfonia». Si comprende come queste idee abbiano attirato l’attenzione di Benedetto XVI, che è così attento alla musica.

Di qui nasce anche in Ildegarda una completa antropologia filosofica e teologica che parte dalla nozione dell’uomo come immagine di Dio. «L’uomo, secondo la cosmologia ildegardiana fondata sulla Bibbia, racchiude tutti gli elementi del mondo, perché l’universo intero si riassume in lui, che è formato della materia stessa della creazione». Più in particolare, «l’immagine divina nell’uomo consiste nella sua razionalità, strutturata in intelletto e volontà. Grazie all’intelletto l’uomo è capace di distinguere il bene e il male, grazie alla volontà egli è spinto all’azione». Inoltre l’uomo in Ildegarda è sempre considerato come unità di corpo e di anima, il che significa che il corpo non è mai trascurato. «Si nota nella mistica tedesca un apprezzamento positivo della corporeità e, anche negli aspetti di fragilità che il corpo manifesta, ella è capace di cogliere un valore provvidenziale: il corpo non è un peso di cui liberarsi e, perfino quando è debole e fragile, “educa” l’uomo al senso della creaturalità e dell’umiltà, proteggendolo dalla superbia e dall’arroganza». La prospettiva escatologica lo conferma. «In una visione Ildegarda contempla le anime dei beati del paradiso, che sono in attesa di ricongiungersi ai loro corpi. Infatti, come per il corpo di Cristo, anche i nostri corpi sono orientati verso la risurrezione gloriosa, per una profonda trasformazione per la vita eterna. La stessa visione di Dio, nella quale consiste la vita eterna, non si può conseguire in modo definitivo senza il corpo».

[La prima parte è stata pubblicata domenica 21 ottobre. La terza e ultima parte uscirà domani, martedì 23 ottobre]

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ZENIT Staff

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