CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 19 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento dato “in scriptis” (cioè per iscritto e non pronunciato in Aula) al Sinodo dei Vescovi di monsignor Nicholas Mang Thang, arcivescovo coadiutore di Mandalay ed amministratore apostolico “sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis di Hakha”, nel Myanmar.
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Il termine “Evangelizzazione” fa riferimento a tutti gli aspetti dell’attività della Chiesa. La Chiesa è veramente missionaria per sua natura ed è orientata verso la Missione di Gesù Cristo e verso la Missione dello Spirito Santo, secondo il piano di Dio Padre (Ad Gentes 2; Lumen Gentium 2). Perciò, l’invio al mondo di suo Figlio come salvatore è il piano del Padre (1 Gv 4, 14), la sua occupazione (Lc 2, 49) e il suo comando (Gv 15, 10). Non c’è quindi da meravigliarsi che Cristo abbia detto che il suo cibo è compiere la volontà di Colui (il Padre) che lo ha inviato e completare la sua opera (Gv 4, 34), e di non credergli se lui non fosse stato intento a compiere l’opera del Padre (Gv 10, 17). Cristo ha anche reso testimonianza con le sue opere e con la missione che il Padre gli ha assegnato, come un segno certo di essere stato inviato dal Padre (Gv 5, 35-37).
L’unico scopo del ministero di Cristo, la sua prima Evangelizzazione al mondo come sua missione, assegnatagli dal Padre, è quella di ricapitolare ogni cosa in Cristo e di riportare i figli erranti al Padre celeste mediante il perdono dei peccati attraverso il sacrificio della Croce, per far sì che tutti gli uomini possano dire con tutto il loro essere “Padre nostro”, qualcosa che non abbiamo più potuto fare dopo la caduta e quindi restituirci tutto ciò che abbiamo perduto per la caduta, dandoci un posto nella famiglia di nostro Padre, in sintesi: la capacità di diventare nuovamente figli adottivi di Dio, e quindi in grado di dire “Abba” (Padre).
Qui si trova l’amore misericordioso del Padre, manifestato in tutta la sua perfezione da Gesù, sempre consapevole della responsabilità affidatagli dal Padre, quella cioè di Salvatore del mondo, durante la sua vita e fino alla fine per compiere la missione del Padre, nella sofferenza e nella morte sulla croce (Gv 16, 28; 18, 11). Cristo ha compiuto la sua missione con queste parole: “Perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34) e “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23, 46).
In Asia, in particolare nell’Asia meridionale, dove la maggioranza è buddista, l’evangelizzazione è molto difficile e le conversioni sono molto lente. Forse ciò si deve a due direttrici dell’ideologia o della cultura: 1) la nazionalità, la cultura e la religione vengono considerate una realtà inscindibile; 2) la crocifissione e la morte violenta di una persona non si conciliano con il suo essere Dio, Salvatore e portatore della Buona Novella, e quindi non può essere considerato un individuo buono, santo e virtuoso, alla luce delle tradizioni buddiste, come la teoria della reincarnazione.
Nella linea del messaggio profetico, del ruolo e della spiritualità di Santa Teresa di Lisieux che, in questo XXI secolo, è la santa patrona delle missioni e Dottore dell’amore al Padre, a Gesù e alla Chiesa, è urgente che la Chiesa sviluppi profondamente la spiritualità teologica orientata alla missione di Santa Teresa, la quale ha posto in nuova luce uno dei concetti più antichi e fondamentali della dottrina cattolica: che Dio è il nostro Padre amante e misericordioso che si prende cura dei bisogni spirituali e corporali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni di razza, di colore o di religione e di tutte le creature (Mt 6, 26; Lc 11, 11-12).