"Non siamo gli ultimi dei Mohicani"

Intervista con il cardinale Joachim Meisner, un veterano del Sinodo dei Vescovi

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di Jan Bentz</em>

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 17 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Il cardinale Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia, partecipa come “veterano” – così si autodefinisce – al Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione. Il porporato, classe 1933, è infatti un padre sinodale della prima ora e ha partecipato già a 10 Sinodi. ZENIT lo ha intervistato in merito alla situazione della Chiesa in Germania.

Una trasmissione della fede approfondita, che non si adegua allo spirito del tempo, provoca resistenza. Noi, come cristiani, dobbiamo esporci a questa resistenza. Lei è d’accordo?

Card. Joachim Meisner: È stato spesso così nell’annuncio che il messaggio è stato respinto sin dall’inizio, come ha detto Simeone a Maria: “per la rovina e la risurrezione di molti” (Lc 2,34). Non c’è nulla di cui meravigliarsi, si deve semplicemente accettare questo. Ciononostante la fede porta alla liberazione dell’uomo. Con l’incarnazione Dio si è inculturato nel mondo umano, adesso l’uomo è invitato ad inculturarsi nel mondo di Dio, affinché possa nascere una civilizzazione dell’amore. Noi non veniamo come coloro che non hanno nulla ma piuttosto come coloro che portano qualcosa: dobbiamo esserne consapevoli. Non siamo gli ultimi dei Mohicani… siamo i primi messaggeri di un nuovo mondo, di cui la maggioranza della gente non sa ancora nulla. Durante la cresima viene unta la fronte, non la schiena. Non dobbiamo chinarci, ma camminare con la testa alta.

Nel suo intervento al Sinodo ha dichiarato che “oggi la maggior parte dei cristiani è felice se nessuno pone loro degli interrogativi”. Questa insicurezza dei credenti ha le sue radici nell’ignoranza? Non è compito dei pastori di insegnare la fede in modo più chiaro?

Card. Joachim Meisner: Cinquant’anni fa tenni una predica davanti ad un’assemblea della Conferenza episcopale a Fulda e dissi: “La trasmissione della fede è crollata completamente. La responsabilità non è solo quella dei credenti, ma anche dei catechisti e di noi, dei testimoni”. Si è alzato un polverone in tutto il Paese ma anche alcuni dei miei colleghi hanno detto che non era corretto. Oggi tutti mi danno ragione. “Occhio non vede, cuore non duole”, sembrava essere il motto.

Un punto di partenza sarebbe ad esempio il battesimo come introduzione nella vita di fede. Il battesimo dei bambini è giustificato solo quando i padrini e i genitori garantiscono di avvicinare il bambino alla teoria e alla prassi della fede.  Oggi c’è tanta gente che non sa proprio nulla. Da noi a Colonia c’è la “Giornata della moschea aperta”. Una rappresentante di un nostro consiglio parrocchiale vi ha partecipato e quando le è stato chiesto di spiegare la Trinità non ha saputo rispondere. Bisogna semplicemente riconoscere che non si può più andare avanti così, che bisogna informarsi una volta per tutte! Abbiamo il Catechismo universale, abbiamo il Catechismo dei giovani, ma nessuno sembra leggerli!

Sembra che in Germania la gente si riferisca troppo alla Chiesa locale e così perde di vista Roma. Secondo Lei, è importante per i tedeschi aprirsi di più alla Chiesa universale?

Card. Joachim Meisner: Sembra che noi tedeschi abbiamo una tendenza verso la Chiesa nazionale. Questo fenomeno è iniziato con la Riforma e continua tuttora. Siamo tentati a pensare di essere i pionieri della Chiesa universale. Ma le cose non vanno senza Pietro. Incorporandoci nella Chiesa intera molti problemi verranno messi nella giusta prospettiva e diventeranno molto piccoli. Dall’altro lato riceviamo molta fiducia e coraggio. Ho vissuto fino al 1989 nella Repubblica Democratica Tedesca. La libertà interiore veniva sempre dal legame con Roma. Nella DDR volevano creare le proprie diocesi. Spiegai che questo non andava e che solo il Santo Padre poteva decidere. Dall’altro lato, mi fu detto in colloqui politici: “Lei è  insopportabile! Ma dietro di Lei c’è questo piccolo uomo in bianco a Roma con un miliardo di cattolici e per questo La dobbiamo prendere sul serio”. Anche se eravamo solo il 4%…

Nella sua diocesi Lei nota la tendenza che proprio i giovani desiderano di nuovo le classiche forme di adorazione? C’è una svolta verso la trascendenza? È un aspetto fondamentale della Nuova Evangelizzazione?

Card. Joachim Meisner: Sì, certo.  Questo lo abbiamo sentito già spesso, cioè che la bellezza è un elemento fondamentale della trascendenza: Ens et verum et bonum et pulchrum convertuntur. Per i cristiani la bellezza è visibile nella liturgia. Dobbiamo far capire nuovamente alla gente che non siamo noi che facciamo liturgia. La liturgia c’è per noi, noi ci avviciniamo ad essa. C’è l’adorazione dei santi, degli angeli di Dio e noi partecipiamo a questa adorazione. Per questo la Chiesa ci invita all’inizio della liturgia di riconoscere la nostra colpa, affinché “purificati” ci adeguiamo a questi “concelebranti” celesti. Questo è vitale per la nostra Chiesa. Questo si profila anche nel movimento giovanile. Ne abbiamo parlato dopo le Giornate Mondiali della Gioventù di come continuare queste esperienze. Da noi c’è l’iniziativa Nightfever, un movimento giovanile. Sono sempre molto commosso di vedere quanto slancio lì c’è nelle questioni della fede. È molto più semplice rispetto alla generazione più grande. I giovani sviluppano di nuovo un senso per la forma e per il contenuto.

Un esempio sono i ministranti del Duomo di Colonia. Sono per lo più uomini, giovani e meno giovani, che si reclutano reciprocamente. Prendono la comunione sempre sulla lingua, per iniziativa loro. Questo è molto importante. Quello che mi rattrista di più è veramente la profanazione dell’Eucaristia. Una volta ho distribuito durante una grande Messa più di 4.000 comunioni. Poi ho detto al parroco locale che la sua comunità doveva “scoppiare“ di energia eucaristica. Il contrario era percettibile in un calo.

Abbiamo smantellato tanto ma niente è stato messo al suo posto. Ad esempio non c’è più il digiuno eucaristico, sono spariti i veli e le panche per la comunione. Qualsiasi persona può avvicinarsi e ricevere la comunione nella mano. Per questo manca anche il rispetto da parte della gente. Per questo si sentono esclusi i divorziati “risposati”. Molti di loro sono fedeli ma non possono ricevere la comunione. Altri invece hanno trascurato la vita di fede, ma si presentano ed “aprono la manina”…

Bisogna creare una nuova cultura dell’Eucaristia. A Colonia l’anno prossimo abbiamo il Congresso eucaristico, dal quale ci aspettiamo molto.

[Traduzione dal tedesco a cura di Paul De Maeyer]

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ZENIT Staff

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