Ministri della parola e non predicatori (Seconda parte)

La Costituzione dogmatica “Dei Verbum”

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ROMA, mercoledì, 17 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo la seconda parte della relazione tenuta lunedì 15 ottobre da monsignor Lorenzo Leuzzi al I incontro di formazione per i cappellani universitari e sanitari, svoltosi presso il Seminario Romano Maggiore sul tema “Pastori e maestri della fede teologale”.

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Allora fede teologale che cosa significa?

Riprendiamo in considerazione la Dei Verbum: “Con questa rivelazione infatti Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si trattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé” (n. 2). L’intima connessione gestis verbisque, pertanto,non è una semplice strategia comunicativa, ma è la manifestazione del mistero di Dio e dell’uomo: del Dio Trinità e dell’uomo come soggetto storico.

Dio può comunicare se stesso perché è Trinità in sé e l’uomo è stato creato per essere costruttore della storia. Se Dio non fosse Trinità e l’uomo non fosse soggetto storicamente esistente non ci sarebbe spazio per la fede teologale, ma solo per la fede religiosa.

La fede cristiana è teologale perché Dio ha deciso di inviare il suo Verbo “affinché rimanesse tra gli uomini e ad essi spiegasse i misteri di Dio” (DV n. 4). Solo il rimanere di Dio tra gli uomini rende possibile la fede teologale, altrimenti ci sarebbe solo la fede religiosa.

Il rimanere di Dio tra gli uomini – perché possa realizzarsi realmente e non solo idealmente – deve avvenire nella storia, come si è manifestato nell’Antico e nel Nuovo Testamento, gestis verbisque, non più solo come rivelatore, ma come Parola-Logos che fa da fondamento alla nuova creazione che è la Chiesa.

La nuova creazione è il luogo dove la Parola-Logos comunica la sua vita al battezzato e costui diventa costruttore della Chiesa per il dono della fede teologale. Fede teologale significa credere nella novità ontologica dell’esistenza umana e prendere parte alla vita della nuova creazione.

La rivelazione, pertanto, si distende nella sua trasmissione che avviene nella storia, non come storia ma come realtà storica per il dono della fede teologale.

Dalla rivelazione alla sua trasmissione

Come è possibile che la rivelazione, attuatasi gestis verbisque possa concludersi ed essere trasmessa nella storia?

La Dei Verbum – superando l’idea di rivelazione come comunicazione di alcune verità e scegliendo la strada dell’agire storico di Dio nella storia (gestis verbisque) – pone la questione se possa esserci novità, anche nell’esistenza dell’uomo, nella trasmissione della rivelazione, come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica1 (n. 66) o se invece la trasmissione sia una semplice ripetizione dei contenuti della rivelazione.

Quest’ultima ipotesi però negherebbe la prospettiva del Concilio Vaticano II. Ugualmente, anche l’idea di novità nel processo di trasmissione pone la necessità di chiarire la sua natura: quale novità, di contenuti, di esperienze? In altri termini, affermando la novità, come dovrebbe essere la trasmissione di una rivelazione che si è manifestata gestis verbisque, non si corre il rischio di considerare la trasmissione della rivelazione come storia aprendola alla soggettività storica?

La prospettiva della Dei Verbum se da un lato pone la rivelazione su un piano completamente diverso rispetto ad altre proposte religiose, dall’altro la espone al pericolo di lasciarci travolgere dall’idea di fede religiosa come esperienza storica che in qualche modo può assumere la dinamica del gestis verbisque.

È ciò che largamente è accaduto nel postconcilio, in cui è prevalsa l’illusione di percorrere la strada della fede religiosa come via privilegiata per l’attuazione delle indicazioni della Dei Verbum.

Una tale scelta invece di rilanciare il ministero della Parola, che secondo la Dei Verbum è propria della trasmissione della fede cristiana, l’ha indebolita fino al punto di scomparire a vantaggio della predicazione, tipica della fede religiosa e non della fede teologale.

Dalla Dei Verbum alla Verbum Domini

Qual è la condizione affinché la trasmissione della rivelazione possa proseguire secondo lo stile della Dei Verbum evitando il pericolo di essere annuncio di una tradizione religiosa o di un’esperienza religiosa?

È la presenza della Parola nella storia come Logos, non solo come Logos-creatore, ma come Logos-salvatore fondamento di una nuova creazione, qual è appunto la Chiesa: “Il cristianesimo è la religione della Parola di Dio, non di una parola muta e scritta, ma del Verbo incarnato e vivente” (VD n. 7). Solo così la trasmissione può proseguire nella storia senza trasformarsi in storia.

Se la fede cristiana fosse religiosa, la trasmissione della rivelazione si ridurrebbe a predicazione, vanificando non solo la modalità con la quale si è manifestata gestis verbisque, ma negherebbe la realtà che precede la stessa predicazione, cioè la presenza della Parola nella nuova creazione.

Nella fede religiosa la realtà coincide con il contenuto annunciato; nella fede teologale, invece, il contenuto rimanda alla realtà più grande, che è la Parola che genera alla fede e nella fede teologale, a cominciare dalla fede della Chiesa.

Se non ci fosse la nuova creazione, il ministero sacerdotale si ridurrebbe a puro annuncio e a “soggettive” interpretazione delle scritture e delle tradizioni, ma non si potrebbe qualificare come ministero della Parola perché la Parola-Logos è presente nella storia solo come fondamento di quella realtà storica che è la Chiesa e non nelle scritture e nelle tradizioni, spirituali e sociali che siano. Senza la nuova creazione le scritture e le tradizioni resterebbero mute e i sacramenti si trasformerebbero in riti religiosi: è la fine del gestis verbisque! Si ricompone in tal modo l’intimo rapporto tra la sacra Scrittura e la sacra Tradizione e l’integrità nella storia del depositum fidei (Cf. DV nn. 7 e 10).

Ministri della Parola e non predicatori

Ai sacerdoti è affidata la Parola e non le scritture, o meglio le scritture perché in esse è nascosta la Parola. Ma ciò è possibile non per la predicazione, ma per la presenza ontologica della Parola nella vita della Chiesa e del credente.

Il ministero sacerdotale è al servizio di questa presenza della Parola-Logos che la comunità a lui affidata deve accogliere e mettere in pratica giorno per giorno. In altri termini il sacerdote deve guidare il credente a crescere nella vita ecclesiale perché, costruendo la Chiesa, porti a compimento il cammino della trasmissione della rivelazione.

Nessun ministero nella Chiesa è al di sopra della Parola, ma tutti sono servi della Parola, perché in ogni evento storico della e nella Chiesa il primato spetta alla Parola, che è Cristo Signore, fondamento della nuova creazione.

La testimonianza del sacerdote non è un fatto funzionale, ma segno della presenza della Parola che agisce in lui e per mezzo di lui. La santità del sacerdote è direttamente proporzionata alla sua capacità di lasciarsi guidare dalla Parola che ogni giorno cresce e si fortifica in lui.

Senza questa personale esperienza, il sacerdote sarà un ottimo predicatore, ma non un ministro della Parola. Farà crescere un’esperienza religiosa, ma non la Chiesa che è il vero soggetto della trasmissione della divina rivelazione.

Conclusione

Noi siamo ministri “della Parola vivente di Dio che convoca la Chiesa e la vivifica lungo tutto il suo cammino nella storia” . Sono le parole di Benedetto XVI all’Udienza generale del 10 ottobre 2012.

Entriamo anche noi nella vita teologale donataci da Dio e scopriremo la grand
ezza ineffabile della nostra vocazione sacerdotale.

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NOTE

1 CCC n. 66: “Tuttavia, anche se la Rivelazione è compiuta, non è però completamente esplicitata; toccherà alla fede cristiana coglierne gradualmente tutta la portata nel corso dei secoli”

[La prima parte è stata pubblicata martedì 16 ottobre]

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ZENIT Staff

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