CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 16 ottobre 2012 (ZENIT.org) – Pubblichiamo di seguito il Messaggio della Commissione Teologica Internazionale in occasione dell’Anno della fede:
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Fides quaerens intellectum, la teologia non esiste che in relazione al dono della fede. Essa presuppone la verità della fede e si propone di manifestarne «le imperscrutabili ricchezze» (Ef 3, 8) per la gioia spirituale di tutta la comunità dei credenti e il servizio della sua missione evangelizzatrice.
La Commissione Teologica Internazionale accoglie con gratitudine l’invito a celebrare un Anno della fede, che il Santo Padre Benedetto XVI ha espresso nella Lettera Apostolica Porta fidei (11 ottobre 2011). Ciascun membro della Commissione Teologica Internazionale si renderà individualmente disponibile per le diverse iniziative che renderanno questo Anno della fede un segno forte.
In quanto comunità di fede, però, anche la Commissione Teologica Internazionale, nel suo insieme, desidera significare la sua speciale attenzione al messaggio di conversione di quest’Anno della fede, rinnovando ed approfondendo il suo impegno al servizio della Chiesa. A tale scopo, il 6 dicembre 2012, in occasione della sua sessione plenaria annuale e sotto la guida del suo Presidente, S.E. Mons. Gerhard L. Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, la Commissione Teologica Internazionale compirà un pellegrinaggio alla Basilica Papale di Santa Maria Maggiore per affidare il proprio lavoro, e quello di tutti teologi cattolici, alla Vergine fedele, proclamata «beata perché ha creduto» (Lc 1, 45), modello dei credenti e baluardo della vera fede.
In occasione di quest’Anno della fede, la Commissione Teologica Internazionale si impegna in medio Ecclesiae a portare il suo contributo specifico alla nuova evangelizzazione promossa dalla Santa Sede. Ciò significa scrutare il mistero rivelato con tutte le risorse della ragione illuminata dalla fede, a beneficio di tutti i credenti: favorendo anche la sua recezione nelle culture attuali, perché «i contenuti essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato» (Benedetto XVI, Porta fidei, n. 4)
Come recentemente ha potuto affermare il documento della Commissione Teologica Internazionale intitolato La teologia oggi: prospettive, principi e criteri, la teologia deriva tutta intera dalla fede: e si esercita in costante dipendenza dalla fede che è vissuta nel popolo di Dio guidato dai suoi Pastori. Difatti, solo la fede permette al teologo di accedere realmente al suo oggetto : ossia la verità di Dio, che illumina l’insieme del reale con la luce di un nuovo giorno – sub ratione Dei.
È sempre la fede, animata dalla carità, a suscitare in lui il dinamismo spirituale che lo spinge ad esplorare senza sosta «la multiforme sapienza di Dio, secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore» (Ef 3, 10-11). Come ha scritto San Tommaso d’Aquino, « un uomo infatti che abbia pronta la volontà a credere, ama la verità che crede, riflette su lei e l’abbraccia con le ragioni che può trovare (cum enim homo habet promptam voluntatem ad credendum, diliget veritatem creditam et super ea excogitat et amplectitur si quas rationes ad hoc invenire potest)» (Tommaso d’Aquino, Summa theologiæ, IIa-IIæ, q. 2, a. 10).
Il teologo lavora dunque per «inculturare» nell’intelligenza umana, sotto le forme di un’autentica scienza, i contenuti intelligibili della «fede, che fu trasmessa ai credenti una volta per tutte» (Lettera di Giuda, v. 3). Ma egli rivolge un’attenzione tutta particolare anche allo stesso atto di credere. La teologia tende a «comprendere in modo più profondo non solo i contenuti della fede, ma insieme a questi anche l’atto con cui decidiamo di affidarci totalmente a Dio, in piena libertà. Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso» (Benedetto XVI, Porta fidei, n. 10).
Di questo atto di fede, il teologo elabora la consonanza antropologica di alto profilo – la “convenienza” (cf. Giovanni Paolo II, Fides et ratio, nn. 31-33) ; si interroga perciò sul modo in cui la grazia preveniente di Dio suscita, nel cuore stesso della libertà dell’uomo, il «sì» della fede ; e mostra come la fede costituisca il «fondamento di tutto l’edificio spirituale (fundamentum totius spiritualis aedificii)» (Tommaso d’Aquino, In III Sent., d. 23, q. 2, q. 1, a. 1, ad 1; cf. Summa theologiae, IIa-IIae, q. 4, a. 7), nel senso che dà forma a tutte le dimensioni della vita cristiana, personale, familiare e comunitaria.
Il lavoro del teologo non soltanto è radicato nella fede vivente del popolo cristiano, attento a quello che «lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2, 7), ma è tutto intero finalizzato alla crescita della fede nel popolo di Dio e alla missione evangelizzatrice della Chiesa. In effetti, il suo compito non è forse proprio quello di puntare ad una «conoscenza che genera, nutre, difende e fortifica la fede supremamente salutare» (Agostino, De Trinitate, XIV, 1, 3) ? Il teologo, dunque, nella collaborazione responsabile con il Magistero, abbraccia il servizio della fede del popolo di Dio come la sua propria vocazione (cf. Istruzione Donum veritatis del 24 maggio 1990).
Nello stesso tempo, il teologo è servitore della gioia cristiana, che è «la gioia della verità (gaudium de veritate)» (Agostino, Confessiones, X, 23, 33). San Tommaso d’Aquino distingue nell’atto della fede tre dimensioni : «c’è differenza tra dire ‘credo Dio’ [credo Deum] (dove lo intendo come l’oggetto della fede) e dire ‘credo a Dio’ [credo Deo] (dove lo indico come colui che attesta), oppure ‘credo in Dio’ [credo in Deum] (dove lo indico come la destinazione del mio atto di fede). Dio può essere considerato l’oggetto, il testimone e il fine della fede: ma se oggetto o testimone della fede può essere anche una creatura, il fine ultimo della fede non può essere che Dio soltanto, perché il nostro spirito non può essere indirizzato altro che a Dio come al proprio fine» (Tommaso d’Aquino, In Ioannem, c. 6, lectio 3).
Credere in Dio (credere in Deum), perciò, è il tratto costitutivo essenziale del dinamismo della fede. Ciò significa che, nella sua personale adesione di fede alla Parola di Dio, il credente è attratto sovranamente da quel Bene assoluto che è la beata Trinità. È il desiderio della beatitudine, infatti, radicato nel più profondo di noi stessi, che mette lo spirito umano in tensione, per condurlo al fiducioso abbandono di tutta la sua vita al Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo. In questo senso, si può dire con verità che la fede – e la stessa teologia, come scientia fidei e sapienza – procura a tutti gli «innamorati della bellezza spirituale» (Agostino, Regula ad servos Dei, 8, 1) una reale pregustazione della gioia eterna.