L'amore di Dio è un appello alla libertà dell'uomo

Mons. Ladjar suggerisce di sostituire l’immagine di Dio come Re potente con quella di Dio appello d’amore, in quanto più attraente per la mentalità secolare di oggi

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di mons. Leo Laba Ladjar

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 14 ottobre 2012 (ZENIT.org) – Riportiamo di seguito il discorso di S.E.R. Mons. Leo Laba LADJAR, O.F.M., Vescovo di Jayapura (Indonesia), alla Nona Congregazione Generale del Sinodo dei Vescovi (13 ottobre 2012).

***

L’Instrumentum laboris inizia dal carattere personale del cristianesimo, ovvero dall’incontro personale con Gesù Cristo e dalla relazione personale con lui. Ciò è al centro stesso della nostra fede, che deve illuminare la nostra percezione dell’evangelizzazione:

(1) l’evangelizzazione non è solo una reazione alla realtà sociale e alla sua cultura secolare, ma è l’essenza stessa della Chiesa;

(2) Gesù Cristo è il centro del cristianesimo e non può essere posto allo stesso livello di altri fondatori religiosi;

(3) il cristianesimo non è una religione da libro di testo, e la salvezza non è una cosa che si ottiene mettendo in pratica le dottrine scritte in un libro, ma è opera dell’amore di Dio. Solo l’incontro con il Signore, ciò che è contenuto nelle Scritture diventa la sua “parola”, la sua “voce”.

In Gesù Cristo Dio rivela se stesso come amore. Offre se stesso agli uomini senza pretendere di essere accettato, ma accettando il rischio di venire rifiutato. Il meraviglioso mistero dell’amore divino è che egli non si impone agli uomini.

L’amore di Dio, così come manifestato in Gesù Cristo, è un appello alla libertà dell’uomo, che è libero di accettare o di rifiutare. Questo amore immenso e meraviglioso di Dio deve essere presentato nell’evangelizzazione quando si affronta il “clima culturale” (IL 48) della società secolarizzata, che tende a idolatrare la libertà e l’autonomia dell’uomo, e a rifiutare qualsiasi elemento trascendente nella religione come violazione della libertà umana.

Questa immagine di Dio come appello d’amore agli uomini potrebbe essere più attraente per la mentalità secolare rispetto all’immagine di Dio come Re potente. Suggerisco, pertanto, che in alcuni testi, come in IL 24, quando si parla dell’“esperienza della conversione”, al posto dell’espressione “regno di Dio”, che di per sé ha una connotazione feudale, si usi “potere d’amare di Dio”. Di fatto, più che la potenza di un re, l’amore divino è “più dolce del vino” ed è “forte come la morte” (cfr. Cantico dei Cantici, 1, 2; 8, 6).

L’amore divino interpella l’uomo e attende una risposta. L’amore vuol essere amato. La conversione è la risposta d’amore dell’uomo alla chiamata d’amore del Signore.
La Chiesa è il “locus” dell’incontro con Gesù Cristo. Quindi la “communio”, che rappresenta lo spirito fondamentale del Vaticano II, deve manifestarsi nelle comunità ecclesiali.

La “communio” d’amore, il servizio e il sacrificio per gli altri, sono potenti testimonianze nell’evangelizzazione. L’amore di Dio si manifesta in Gesù Cristo come sacrificio; pertanto, una testimonianza autentica di questo amore divino deve essere anche un amore sacrificale.

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ZENIT Staff

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