Correva l’anno 1613 e in una piccola cittadina equidistante dal “mare nostrum” e dalla “silva” virgiliani, nasceva, nella famiglia di “Onorati” Preti, Mattia, che avrebbe dato lustro non solo a Taverna, ma al mondo dell’arte intero, perché sarebbe stato uno dei grandi artefici di quel secolo che tutto lo comprese e di cui fu la “summa spirituale”.
Ho posto questi due termini, il mare e la selva, perché fu questo l’ambiente in cui il nostro pittore si formò: il mondo classico della Magna Grascia sviluppatosi lungo la costa ed il carattere rude della terra bruzia, con il suo entroterra dalle ferree regole di un’etica atavica; queste caratteristiche lasciarono un’impronta indelebile e affiorarono sempre nel lavoro del Preti, come testimoniano le tele dipinte nell’arco della sua lunga vita.
Il mondo classico, degli dei, degli eroi e dei filosofi, assunse in lui una espressione di equilibrio che oscillava tra il reale e il divino (Enea ed Anchisse, Omero, Diogene), quasi vetero-attuali personaggi che esprimono fede nella Verità suprema. E poco importa che non fossero figure cristiane, perché l’amore paterno (Anchisse), l’Olimpo omerico e la ricerca interiore dell’uomo, tesa a fini alti (Diogene), fanno parte di quella coscienza che, dopo la venuta di Cristo, permise di evitare la perdizione dell’umanità.
L’ambiente rude della terra bruzia fece conoscere a Mattia Preti il mondo della sofferenza, della realtà esistenziale fatta di gente umile, temprata dalla fatica quotidiana e dalla fronte corrugata che accetta questa condizione e questo mondo con il lume della fede, che è l’unico fondamento certo del vivere.
Nella concezione teologica pretiana, anche quell’atto esecrando della vendetta, retaggio di un mondo ancestrale, viene inteso come forma eroica di riscatto verso il Bene superiore: quasi sempre, a compiere tale atto, sono le donne-eroine, che, nel mondo dell’artista, perdono ogni forma di sensualità morbosa, a vantaggio dell’azione etica.
Se in Caravaggio dominava, almeno al tempo dei dipinti della Cappella Contarelli, il travaglio causato dal tema della salvezza e della predestinazione, in Preti il tema si sposta sulla capacità etica di ogni singolo, che ha in sé le potenzialità per conquistare quella salvezza: a tutti è aperta la via del cielo.
Già nell’affresco di S. Carlo ai Catinari e successivamente in quelli di S. Andrea della Valle, la potenza fisica della figura non è una iperbole per emulare Michelangelo, ma è espressione di potenza (aristotelicamente intesa) che l’umanità possiede e che l’eroe-Santo ha già messo in atto. Ed ecco che i Santi delle tele di Mattia hanno volto umano e non idilliaco, sono persone reali e veritiere, sono individui nel senso caravaggesco dei quali si privilegia il lato etico e poco quello miracolistico.
Quanto si è lontani dal mondo raffaellesco, ma anche da quello del Carracci!
Non più ricerca della perfezione ideale, ma realtà colta “in fieri”.
E nemmeno ricerca di equilibrio tra uomo e natura, ma ricerca di equilibrio nell’ “historia”: e questo è il classicismo pretiano.
A Roma, dove Preti era giunto nel 1630, e dove non si era ancora spenta l’eco per la morte di Giordano Bruno (arso nel 1600 a “Campo dei Fiori”), il pittore respirò l’aria nuova portata dalle idee “eretiche” del filosofo e ne comprese e colse il senso profondo. Bruno non aveva allontanato Dio, anzi lo aveva ritrovato.
Fu soprattutto, però, il senso dell’infinito, idea tormentata del mondo barocco, ma presente, insieme a quella di immortalità, sin dalla notte dei tempi nella mente dell’uomo, che lo assillava, spinto in questo anche dalle cupole dell’Urbe, soprattutto da quella che era stata affrescata dal Lanfranco.
L’infinito bruniano per il nostro non fu altro che l’irradiamento dell’Essere, lo sperdersi ed il ritrovarsi nella divinità attraverso la fede: il reale e la vita questo sono e l’arte pittorica, così come pure chiedeva la tradizione tridentina, ha tale nobile funzione.
Questo messaggio sarebbe bene fare conoscere, nel 400° anniversario della nascita, perché l’arte, affascinando, conquisti a nobili virtù specialmente le nuove generazioni.
Si spera che una grande mostra a Taverna, annunciata per il 24 febbraio 2013, dia la possibilità di cogliere dal vivo gli innumerevoli imput del genio pretiano.