di Nieves San Martín
MANAGUA, lunedì, 8 ottobre 2012 (ZENIT.org). – Pubblichiamo oggi la seconda parte dell’intervista con monsignor Silvio José Báez, OCD, vescovo ausiliare di Managua e segretario generale della Conferenza episcopale, rilasciata in vista delle elezioni comunali che si terranno domenica 4 novembre nel Paese centroamericano.
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Secondo Lei, da dove bisogna cominciare per far uscire dalla situazione di stallo il Nicaragua?
Monsignor Silvio José Báez: Il Nicaragua, le cui istituzioni statali sono sempre più corrotte e meno affidabili, potrà uscire dalla situazione di stallo quando la popolazione diventerà più consapevole del grave problema che sta vivendo, quando i governanti diverranno autenticamente democratici, quando i poveri non si lasceranno più incantare dai regalini ingannevoli che ricevono dal potere come briciole che cadono dalla tavola del riccone e quando tutti noi, indipendentemente dalla preferenza ideologica, ci sforziamo di lavorare uniti per una società migliore. E’ fondamentale per uscire dalla situazione di stallo che vive il Nicaragua impegnarsi per l’educazione integrale delle nuove generazioni, trasmettendo non solo conoscenza, ma insegnando cosa fare con questa conoscenza a favore di una società più giusta, più democratica e più solidale, soprattutto verso le persone più svantaggiate. E’ necessario aspirare ed educare ai grandi valori sociali e politici e in questo la Chiesa svolge un ruolo decisivo, che in parte abbiamo già iniziato ad assumere. Alla fine del messaggio diciamo che “crediamo fermamente nella bontà e nella capacità del popolo di Nicaragua per costruire un presente più dignitoso e un futuro più luminoso per tutti”. Come pastori abbiamo invitato tutto il popolo a “liberarsi dalla rassegnazione, dall’indifferentismo e dal conformismo, non lasciandosi mai trascinare dall’odio e dalla violenza” e, infine, rivolgiamo un appello vibrante per alimentare la speranza con la nostra fede.
In America Latina ed in altri Paesi del mondo ci sembra di vivere un’epoca di democrazie formali e dittature mascherate. Condivide questa affermazione?
Monsignor Silvio José Báez: Purtroppo questo è un fenomeno sociale vero in alcuni paesi in America Latina e il Nicaragua non è un’eccezione. In Nicaragua si è lottato per liberarsi da una dittatura sanguinosa e brutale che ha governato per oltre 50 anni, ma sfortunatamente né la rivoluzione sandinista che vinse nel 1979 e sollevò grandi aspettative di giustizia sociale e di democrazia, né i successivi periodi presidenziali governati da partiti di destra democratici negli ultimi anni, sono riusciti a smettere di esercitare il potere “come patrimonio personale e non come delega della volontà popolare”.
Non hanno saputo superare la gravissima situazione economica di povertà e di disoccupazione di cui il popolo soffre; non hanno potuto creare un vero e proprio progetto di nazione, con un piano strategico di sviluppo sociale ed economico sostenibile di cui tutti possano godere e soprattutto non si sono impegnati nell’educazione delle nuove generazioni, che è un tema di carattere prioritario.
Attualmente è al potere un regime che si presenta come una nuova edizione della rivoluzione del 1979, ma in realtà, come diciamo noi vescovi nel nostro messaggio “esercita l’autorità in modo autocratico e abusivo”, che si manifesta “attraverso la concentrazione del potere e il desiderio eccessivo di conservarlo e perpetuarsi ad esso” ad ogni costo. Il governo attuale del Nicaragua è arrivato al potere nel 2007 attraverso elezioni democratiche ma è stato rieletto nel 2011 in modo incostituzionale ed attraverso un processo elettorale fraudolento – un fatto che noi vescovi denunciamo e condanniamo con chiarezza – e ha già cominciato ad annunciare il suo desiderio di continuare a gestire il potere nel 2016.
L’episcopato dell’America Latina nel documento di Aparecida, al numero 74, descrive alla perfezione ciò che sta accadendo in Nicaragua e in altri paesi dell’America Latina: “Vediamo con preoccupazione l’accelerato avanzare di diverseforme di regressione autoritaria per via democratica che, in certe occasioni, si traducono in regimi di taglio neopopulista (…). Una democrazia senza valori, come quelle menzionate, si trasformano facilmente in una dittatura e finisce per tradire il popolo”. Purtroppo la democrazia ha le sue debolezze. Il Nicaragua è un chiaro esempio di come un governo arrivato al potere per via democratica ora si sta consolidando con politiche neopopuliste lentamente come una nuova dittatura.
Secondo Lei, qual è il contributo più importante della fede cristiana per accompagnare autentici processi democratici e liberatori?
Monsignor Silvio José Báez: Penso che il più grande contributo della fede e della Chiesa sono l’esperienza e la promozione della vita spirituale, intesa non come una parte della vita, ma come tutta la vita cristiana illuminata dall’azione dello Spirito che imprime in noi il dinamismo verso la conversione e la sequela di Gesù. Guardando alla realtà dell’America Latina e dei Caraibi, il Documento di Aparecida constatata che esiste, “come reazione al materialismo, una ricerca di spiritualità, di preghiera e di mistica che esprime la fame e la sete di Dio” (n. 99). Non ci può essere un lavoro di evangelizzazione che non abbia come punto di partenza un’esperienza di Dio, un’accettazione vitale del messaggio di Gesù Cristo e un’ apertura all’azione dello Spirito, cioè una spiritualità. Bisogna fare unachiara opzione per la spiritualità nella vita della Chiesa.
Io sono convinto come cristiano, come carmelitano teresiano e come vescovo che le oppressioni sociali, economiche, la corruzione e le forme illegali di esercitare il potere, non possono essere eliminate dalla pura attività socio-politica, economica, educativa o psicologica. Solo la liberazione interiore, che presuppone l’esperienza di Dio attraverso la luce della sua Parola e del suo Spirito che ci conducono alla sequela di Gesù, può garantire che i processi di liberazione storica siano autentici e che la politica non sia una forma di arricchimento per pochi privilegiati, ma un servizio al bene comune di tutto un popolo. Senza uomini liberi, purificati e convertiti dagli idoli, interiormente integri, onesti, capaci di fraternità e rispettosi della legalità e della giustizia, i processi di liberazione sociali sono precari e la politica diventa sempre di più un meccanismo di oppressione. Come affermò Giovanni Paolo: “una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo come dimostra la storia” (Centesimus annus, 46).
[La prima parte è stata pubblicata domenica 7 ottobre]
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Paul De Maeyer]