Tragedie e prodigi sullo sfondo della Chiesa post-conciliare

Alessandro Zaccuri racconta come è nato il suo ultimo romanzo, “Dopo il miracolo”

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di Luca Marcolivio

ROMA, sabato, 6 ottobre 2012 (ZENIT.org) – La storia di una tragedia e quella di un prodigio si intrecciano provvidenzialmente in Dopo il miracolo (Mondadori, 2012, pp. 260), l’ultimo romanzo di Alessandro Zaccuri, giornalista di Avvenire e scrittore.

Siamo a metà degli anni ’80: la serenità e la rispettabilità della famiglia Defanti, facoltosi titolari di un’azienda vinicola ai piedi dell’Appennino tosco-emiliano, è sconvolta dall’inaspettato suicidio di Beniamino, ultimo di dodici figli voluti dal padre Attilio per rispettare un voto alla Madonna.

Il ragazzo si è impiccato alla cancellata del seminario della Vrezza, dove studia il fratello Guido, provocando lo sgomento nel paese. Come è stato possibile che l’ultimogenito di una famiglia così numerosa e notoriamente felice abbia potuto commettere un gesto tanto disperato?

Le indagini condotte dal commissario Canova non fanno che aggravare la posizione di Attilio Defanti: il succinto e criptico messaggio d’addio lasciato dal figlio, sembrerebbe stendere un’ombra sulla specchiata ed indiscutibile moralità del padre.

Una serie di circostanze, indirettamente legate alla morte di Beniamino, porteranno all’apparizione alla Vrezza di Maria Sole, una ragazza madre, con un irrequieto passato da sessantottina, divenuta poi cattolica fervente: quattro anni prima, a Roma, sua figlia Miriam ha miracolosamente ripreso conoscenza, a seguito di un incidente e il merito viene attribuito dalla donna a don Alberto, il sacerdote che aveva benedetto la bambina quando sembrava non ci fosse più nulla da fare, e che ora insegna nel seminario.

La narrazione di Zaccuri è molto scorrevole, chiara e priva di retorica: al soggettivismo ultraintrospettivo tipico di molta letteratura contemporanea, l’autore contrappone un realismo avvincente, quasi “manzoniano”, reso colorito dall’efficace caratterizzazione dei personaggi. Su tale sfondo emergono numerosi temi legati alla storia recente della Chiesa e alle problematiche della fede nell’epoca moderna.

Intervistato da Zenit, Alessandro Zaccuri ha raccontato ulteriori particolari e spunti che hanno dato vita al suo ultimo romanzo.

In Dopo il miracolo è descritto un certo ambiente della provincia padana: cosa rappresenta questo mondo per lei? Che tipo di ambiente è?

Alessandro Zaccuri: È una parte d’Italia che un po’ conosco, che è sempre stata battuta dai protagonisti di un cristianesimo problematico e visionario (penso a Silvio D’Arzo ieri e a Giovanni Lindo Ferretti oggi) e che mi pare rappresenti bene la persistenza di alcuni caratteri tradizionali, se non addirittura arcaici, all’interno della nostra modernità.

L’anno di ambientazione è il 1985: ci sono quindi nella storia elementi autobiografici o riferimenti alla sua infanzia o gioventù?

Alessandro Zaccuri: Non sono mai stato in seminario, ma ho avuto amici seminaristi in quel periodo e penso di ricordare abbastanza il bene il clima di allora, con tutti gli entusiasmi e le contraddizioni del caso. Erano, tra l’altro, i primi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, il cui magistero era accolto in modo niente affatto unanime. Esattamente come accade oggi con Benedetto XVI.

Il tema scelto fa pensare, tra le altre cose, a quanto affermava G.K.Chesterton, quando diceva che chi crede nei miracoli ha prove a loro favore mentre chi non vi crede ha delle teorie contro di essi. È questo lo spirito della storia?

Alessandro Zaccuri: Il mio desiderio era di testimoniare a favore di un mondo in cui la possibilità del miracolo non sia esclusa. Si tratta di una questione di fede e, quindi, di umanità: un mondo così è più vasto, più interessante e perfino più divertente di un universo nel quale tutto avvenga secondo regole prestabilite e immutabili.

Qual è il personaggio di Dopo il miracolo in cui si identifica di più?

Alessandro Zaccuri: So di assomigliare un po’ a Guido, il ragazzo che fa da tramite fra il seminario e la famiglia Defanti, che è l’altro polo del racconto: in quegli anni anch’io, come lui, mi misuravo con un lutto straziante. Il mio modello è però don Guglielmo, il vecchio prete che abita il suo tempo come un lungo presente, in cui nulla è davvero occasione di scandalo e tutto è ricompreso nella misericordia di Dio.

Sorprendentemente (ma non troppo) nel romanzo il personaggio più tenacemente scettico verso il miracolo è un sacerdote, don Alberto, emblema di un certo cattolicesimo post-conciliare, che pare ormai anteporre la ragione alla fede e l’erudizione all’esperienza vissuta. Don Alberto è anche pieno di limiti, fragilità, incoerenze. Cosa ha voluto rappresentare, tratteggiando un personaggio di questo tipo?

Alessandro Zaccuri: Ognuno vive la fede in maniera unica e irripetibile, ma ho l’impressione che ci siano due grandi famiglie di credenti: quelli di testa e quelli di cuore. La testa da sola non basta e con il cuore, spesso, non si arriva lontano. Ma sbagliare con il cuore è, in un certo senso, meno grave di quanto possa essere sbagliare con la testa. Il percorso di don Alberto va dalla testa al cuore, appunto, ed è la conquista di un’umanità piena, presente a sé stessa anche nell’esperienza del dolore.

Le vicende umane dei tre presbiteri – don Alberto, don Guglielmo e don Vincenzo – e del seminarista Guido, si intrecciano con i dilemmi della Chiesa post-conciliare e delle sue difficoltà a rapportarsi con un mondo profondamente cambiato. Nei prossimi giorni ricorre proprio il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. Ha senso contrapporre ancora la Chiesa di ieri con la Chiesa di oggi?

Alessandro Zaccuri: In materia ecclesiale, secondo me, le contrapposizioni hanno sempre poco senso. Certo, il Concilio è un evento grandioso, la cui portata ancora ci sfugge. Per chi, come me, è nato nei primi anni Sessanta, molte delle novità introdotte dal Vaticano II erano date per scontate, oggi ci rendiamo conto che il cammino è appena iniziato. Sotto questo profilo, il romanzo descrive una situazione ancora attuale.

Consiglierebbe la lettura di Dopo il miracolo anche ad un lettore non credente?

Alessandro Zaccuri: Direi che il libro si rivolge anzitutto al non credente o, meglio, a chi pensa che i miracoli siano “roba da preti”. Gesù, nel suo ministero terreno, ha fatto ricorso a un duplice linguaggio, e cioè alle parabole e ai miracoli. In entrambi i casi, ha toccato quanto di più profondo si annida nell’uomo: il bisogno di ascoltare una storia e la speranza di essere salvato, legati tanto saldamente tra loro da risultare indistinguibili. Ecco, è su questo mistero dell’umanità che credenti e non credenti dovrebbero tornare a confrontarsi.

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ZENIT Staff

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