Microcosmo cristiano a Roma (Terza parte)

Una visita al complesso dell’Abbazia delle Tre Fontane. I monumenti

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di Paolo Lorizzo*

ROMA, sabato, 6 ottobre 2012 (ZENIT.org).- La storia contribuisce notevolmente a suggestionare lo spettatore dinanzi ad un monumento. Una struttura ‘muta’ spesso suscita curiosità ma poca immaginazione. Più le vicende vissute sono chiare e suggestive più lo spettatore si cala in un ruolo tutto suo, spaziando con la fantasia e creandosi un una parte nella storia. Forse è proprio in desiderio di questa sensazione che ci spinge a placare la nostra sete di conoscenza, mettendoci alla ricerca di continue emozioni. 

Per chi entra per la prima volta all’interno dell’area dell’Abbazia delle Tre Fontane ha la consueta sensazione di respirare un’atmosfera di pace e di tranquillità, ripercorrendo come un dejà-vu un percorso mentale di una vita passata. Lo splendido giardino fa da cornice e introduce il complesso monumentale vero e proprio, armonico nella sua dislocazione ed enfatizzato da un ingresso monumentale, il  cosiddetto Arco di Carlo Magno. Si tratta di una massiccia porta d’ingresso ad arco costruita nel XIII secolo per difendere l’intera area dagli attacchi e dai saccheggi che all’epoca venivano spesso perpetrati ai danni di complessi isolati o in aperta campagna. Il nome deriva da alcune donazioni effettuate dallo stesso Carlo Magno e da papa Leone III nell’805 all’Abbazia di alcuni terreni della Maremma toscana in seguito ad un evento miracoloso scaturito dall’intercessione delle reliquie di S. Anastasio ivi conservate. Questo evento venne riprodotto nel ciclo pittorico le cui tracce (poche in verità) sono visibili nelle pareti interne laterali tra il primo ed il secondo arco del monumento d’ingresso. Fortunatamente nel 1630 il pittore Antonio Eclissi riprodusse dettagliatamente ad acquerello il ciclo pittorico, attualmente conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana.

Varcato l’ingresso si ha immediatamente una visione d’insieme dell’intera abbazia. A sinistra sono visibili le maestose costruzioni pertinenti al complesso monasteriale, con al centro la chiesa dei SS. Vincenzo ed Anastasio, mentre sulla destra sono visibili le chiese di S. Maria Scala Coeli e del Martirio di S. Paolo.

Per chi è a conoscenza dell’impostazione di un monastero, quello cistercense dell’abbazia è uno spazio dove il lavoro, la preghiera, la meditazione e il riposo rappresentano i capisaldi della vita di un monaco. La portineria, situata all’ingresso del monastero, oltre a rappresentare l’elemento di divisione tra il mondo esterno e la vita che si svolge all’interno del monastero, ha un significato religioso molto profondo di divisione tra il caos umano e l’ordine impartito dalla religione cristiana. Intorno al chiostro e alla chiesa si dislocano il refettorio, la sala comune, le officine e il dormitorio, oltre alla foresteria. Quest’ultimo rappresenta un altro elemento cardine della vita monastica in quanto l’accoglienza ai viaggiatori, oltre ad essere di storica tradizione, rappresenta quanto di più positivo un monaco possa fare oltre che produrre e pregare.

La chiesa dei SS. Vincenzo ed Anastasio rappresenta probabilmente uno dei pochissimi esempi di cultura romanica della capitale, troppo spesso modificati in epoca rinascimentale e barocca. Consacrata nel 1221 da papa Onorio III (evento ricordato da una lapide ancora visibile lungo la parete della navata sinistra), venne inizialmente dedicata a Sant’Anastasio e fu solo a partire dal 1370 che l’edificio venne dedicato anche a San Vincenzo, in occasione del trasferimento a Tre Fontane delle reliquie del Santo. Qui l’austerità dell’edificio spicca appena superato il tetrastilo vestibolo d’ingresso, la cui parete di fondo (che corrisponde al piano inferiore della facciata della chiesa) era un tempo decorata da affreschi, oggi quasi totalmente scomparsi.

L’interno è diviso in tre navate con arcate e pilastri in mattoni di tipo lombardo (le maestranze che vi hanno operato erano lombarde) sviluppato con una pianta a croce latina con abside quadrata posizionata sul fondo della navata centrale. Quest’ultima presenta una copertura a capriate, le navate laterali sono coperte da volte a crociera, mentre le quattro cappelle laterali presentano una copertura a sesto acuto. Seppur conservante l’originario aspetto di austerità tipico degli edifici ecclesiastici dell’epoca, nel tempo gli interni furono parzialmente decorati da affreschi rappresentanti gli Apostoli, mentre sui pilastri della navata centrale sono stati realizzati affreschi riproducenti “Il battesimo nel Giordano” e “Cristo e la Maddalena“. La chiesa attuale è stata edificata sull’originaria struttura di cui si conservano porzioni pavimentali all’altezza del lato sinistro del transetto risalenti al VII secolo e pochi altri resti, insufficienti per permettere di identificarne l’antica estensione e dislocazione.

* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

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ZENIT Staff

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