di Massimo Introvigne
ROMA, venerdì, 5 ottobre 2012 (ZENIT.org) – Benedetto XVI ha voluto iniziare le celebrazioni del cinquantenario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II ricordando un avvenimento, oggi ampiamente dimenticato ma a suo avviso essenziale, che a quell’apertura fu preliminare. Il 4 ottobre del 1962, il beato Giovanni XXIII (1881-1963) si recò in pellegrinaggio al santuario della Santa Casa di Loreto per affidare alla Madonna il Concilio, una settimana prima della sua inaugurazione. A cinquant’anni di distanza, Benedetto XVI ha voluto anch’egli recarsi a Loreto, dove ha celebrato la Messa, per ricordare quell’atto di affidamento del Concilio alla Madonna, di cui ben pochi si ricordano ma che secondo il Pontefice fu invece un avvenimento d’importanza cruciale. Lo fu – certo – nell’ordine spirituale, ma anche dal punto di vista storico tornare su quel pellegrinaggio del beato Giovanni XXIII a Loreto aiuta a capire le sue intenzioni per il Concilio che in quel mese di ottobre 1962 stava per aprirsi.
Il Papa ha ricordato che il beato Giovanni XXIII, «Papa indimenticabile», «nutriva una filiale e profonda devozione alla Madonna» e ha rievocato le parole pronunciate cinquant’anni fa dal suo predecessore a Loreto: «Oggi, ancora una volta, ed in nome di tutto l’episcopato, a Voi, dolcissima Madre, che siete salutata Auxilium Episcoporum, chiediamo per Noi, Vescovo di Roma e per tutti i Vescovi dell’universo di ottenerci la grazia di entrare nell’aula conciliare della Basilica di San Pietro come entrarono nel Cenacolo gli Apostoli e i primi discepoli di Gesù: un cuor solo, un palpito solo di amore a Cristo e alle anime, un proposito solo di vivere e di immolarci per la salvezza dei singoli e dei popoli. Così, per la vostra materna intercessione, negli anni e nei secoli futuri, si possa dire che la grazia di Dio ha prevenuto, accompagnato e coronato il ventunesimo Concilio Ecumenico, infondendo nei figli tutti della Santa Chiesa nuovo fervore, slancio di generosità, fermezza di propositi».
Lo scopo di questo pellegrinaggio del cinquantenario di Benedetto XVI a Loreto è stato anche quello di «affidare alla Madre di Dio due importanti iniziative ecclesiali: l’Anno della fede, che avrà inizio tra una settimana, l’11 ottobre, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e l’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, da me convocata nel mese di ottobre sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”». Non è un esercizio di mera retorica devozione le affidare queste iniziative alla Madonna. Se l’Anno della fede ha lo scopo di ravvivare, appunto, la fede, si tratta di un anno in cui tutti dobbiamo «metterci alla scuola di Maria, di lei che è stata proclamata “beata” perché “ha creduto” (Lc 1,45)». E neppure partire da Loreto è casuale. «Questo Santuario, costruito attorno alla sua casa terrena, custodisce la memoria del momento in cui l’Angelo del Signore venne da Maria con il grande annuncio dell’Incarnazione, ed ella diede la sua risposta. Questa umile abitazione è una testimonianza concreta e tangibile dell’avvenimento più grande della nostra storia: l’Incarnazione». Maria è la prima maestra della fede, perché «ha offerto la propria carne, ha messo tutta se stessa a disposizione della volontà di Dio, diventando “luogo” della sua presenza, “luogo” in cui dimora il Figlio di Dio». Come risulta già dalla sua risposta all’angelo nell’Annunciazione, «la volontà di Maria coincide con la volontà del Figlio nell’unico progetto di amore del Padre e in lei si uniscono cielo e terra, Dio creatore e la sua creatura. Dio diventa uomo, Maria si fa “casa vivente” del Signore, tempio dove abita l’Altissimo».
Ma non è casuale neppure che il beato Giovanni XXIII sia venuto a Loreto cinquant’anni fa e abbia affidato il Concilio a Maria. Sì, molti hanno dimenticato questo affidamento, ma questa è una ragione di più per ricordarlo oggi. A Loreto, per citare ancora le sue parole del 1962, il beato Giovanni XXIII invitava a «riflettere su quel congiungimento del cielo con la terra, che è lo scopo dell’Incarnazione e della Redenzione», e continuava – aggiunge Benedetto XVI – «affermando che lo stesso Concilio aveva come scopo di estendere sempre più il raggio benefico dell’Incarnazione e Redenzione di Cristo in tutte le forme della vita sociale». Ancora una volta, insiste il Pontefice, non si trattava di una clausola di stile che come tale sarebbe di scarso interesse per chi studia il Concilio, ma di «un invito che risuona oggi con particolare forza. Nella crisi attuale che interessa non solo l’economia, ma vari settori della società, l’Incarnazione del Figlio di Dio ci dice quanto l’uomo sia importante per Dio e Dio per l’uomo». Questo voleva essere, nelle intenzioni del beato Giovanni XXIII, l’aspetto essenziale del Concilio, e questo in ogni caso dobbiamo ricavare dal Concilio oggi. «Senza Dio l’uomo finisce per far prevalere il proprio egoismo sulla solidarietà e sull’amore, le cose materiali sui valori, l’avere sull’essere. Bisogna ritornare a Dio perché l’uomo ritorni ad essere uomo. Con Dio anche nei momenti difficili, di crisi, non viene meno l’orizzonte della speranza: l’Incarnazione ci dice che non siamo mai soli, Dio è entrato nella nostra umanità e ci accompagna».
Dal pellegrinaggio del beato Giovanni XXIII a Loreto, Benedetto XVI ha ricavato tre altri importanti spunti per un’interpretazione del Concilio e dei suoi scopi alla luce del suo affidamento a Maria da parte di Papa Roncalli. Questi spunti ruotano attorno a un’idea fondamentale del beato Giovanni XXIII. Le ideologie moderne avevano seminato equivoci a proposito del tema decisivo del rapporto tra Dio e la libertà dell’uomo. Il Concilio avrebbe dovuto dissiparli.
Il primo spunto parte dalla Casa di Loreto e dal «dimorare del Figlio di Dio nella “casa vivente”, nel tempio, che è Maria» per concludere che il Concilio voleva offrire al mondo intero e all’uomo contemporaneo quella speciale «casa» che è la fede. «È la fede, allora, che ci dà una casa in questo mondo, che ci riunisce in un’unica famiglia e che ci rende tutti fratelli e sorelle. Contemplando Maria, dobbiamo domandarci se anche noi vogliamo essere aperti al Signore, se vogliamo offrire la nostra vita perché sia una dimora per Lui; oppure se abbiamo paura che la presenza del Signore possa essere un limite alla nostra libertà, e se vogliamo riservarci una parte della nostra vita, in modo che possa appartenere solo a noi». Questo, come aveva intuito il beato Giovanni XXIII, è il grande dramma dell’uomo moderno, cui le ideologie hanno fatto credere che Dio sia un ostacolo alla libertà dell’uomo. «Ma è proprio Dio che libera la nostra libertà, la libera dalla chiusura in se stessa, dalla sete di potere, di possesso, di dominio, e la rende capace di aprirsi alla dimensione che la realizza in senso pieno».
Il secondo spunto viene dal luogo stesso in cui il beat Giovanni XXIII scelse di recarsi in pellegrinaggio per l’affidamento del Concilio a Maria: la Santa Casa di Loreto. «Come sappiamo, essa fu collocata sopra una strada. La cosa potrebbe apparire piuttosto strana: dal nostro punto di vista, infatti, la casa e la strada sembrano escludersi». Invece «proprio in questo particolare aspetto, è custodito un messaggio singolare di questa Casa. Essa non è una casa privata, non appartiene a una persona o a una famiglia, ma è un’abitazione aperta a tutti, che sta, per così dire, sulla strada di tutti noi». Ecco un altro messaggio essenziale del Concilio al mondo: abbiamo tutti un posto nella casa che è la Chiesa, la libertà trova il suo compimento e la sua meta proprio in questa casa, perché in fondo «siamo tutti pellegrini, che dobbiamo essere sempre in cammino verso un’altra abitazione, verso la casa definitiva, verso la Città eterna, la dimora di Dio con l’umanità redenta».
Infine, u
n terzo spunto. Il pellegrinaggio del beato Giovanni XXIII poneva il Concilio sotto il segno dell’Annunciazione. Tutti conosciamo il racconto dell’Annunciazione, nota Benedetto XVI, eppure c’è «un aspetto che non finisce mai di stupirci: Dio domanda il “sì” dell’uomo, ha creato un interlocutore libero, chiede che la sua creatura Gli risponda con piena libertà». E il Papa cita san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), che in un celebre sermone così si rivolge a Maria: «L’angelo attende la tua risposta, perché è ormai tempo di ritornare a colui che lo ha inviato… O Signora, da’ quella risposta, che la terra, che gli inferi, anzi, che i cieli attendono. Come il Re e Signore di tutti desiderava vedere la tua bellezza, così egli desidera ardentemente la tua risposta affermativa… Alzati, corri, apri! Alzati con la fede, affrettati con la tua offerta, apri con la tua adesione!». Nell’Annunciazione c’è già tutta la risposta che, secondo il beato Giovanni XXIII, il Concilio doveva dare agli equivoci sulla libertà dell’uomo indotti dalle ideologie. «Certo, il “sì” della Vergine è frutto della Grazia divina. Ma la grazia non elimina la libertà, al contrario, la crea e la sostiene. La fede non toglie nulla alla creatura umana, ma ne permette la piena e definitiva realizzazione».
Riparte dunque dalla Santa Casa di Loreto il cammino della retta interpretazione del Concilio nell’Anno della fede. Occorre tornare, insiste Benedetto XVI, a proporre a tutti l’autentica nozione della libertà. Occorre tornare a mostrare – secondo quello che il beato Giovanni XXIII si attendeva come messaggio essenziale del Concilio – che Dio non è il nemico, ma è l’amico della libertà degli uomini, «perché ogni uomo possa diventare dimora di Dio» come lo fu la Santa Casa di Loreto.