Teologia dell'amore

La scissione e la correlazione tra “eros” e “agape” nel pensiero cristiano

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di Robert Cheaib

ROMA, lunedì, 1 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Se «Dio è amore» (cf. 1Gv 4,16); se l’essenza della Torah secondo Gesù si riassume nel duplice comando dell’amore di Dio e del prossimo come se stessi (cf. Mt 22,37-39; Mc 12,29-31; Lc 10,27); se il «nuovo comandamento» di Gesù è quello di amarci gli uni gli altri come egli ci ha amato (cf. Gv 13,34)… allora parlare dell’amore diventa un discorso teologico centrale e fondamentale. Poche sono le opere teologiche che si avventurano nel parlare specificamente dell’amore. È più comune che il tema dell’amore venga trattato in opere di spiritualità. È allora che risulta sorprendete ed emozionante confrontarsi con un libro che decide di portare il titolo audace: «teologia dell’amore».

Il volume del teologo Werner G. Jeanrond, Teologia dell’amore, edito dalla Queriniana, è una trattazione documentata e paziente dell’amore nella teologia cristiana. L’autore affronta l’incantevole argomento dell’amore con disincanto, schiettezza e senso critico smantellando alcuni luoghi comuni – tanto diffusi quanto insostenibili – che pretendono far risalire l’invenzione dell’amore al cristianesimo.

L’amore è un sentimento, un atteggiamento, una volontà e una decisione che esige di diventare vita e azione. Niente può sostituire «gli atti dell’amore» per usare il titolo di una celebre opera di Kierkegaard. Ciò nonostante, non è del tutto inutile parlare e riflettere sull’amore. Anzi è alquanto necessario e urgente in un mondo che «ama l’amore» – come la mette Aurelio Agostino – e trova nell’amore delusioni tanto grandi quanto le sue illusioni. «Riflettere sull’amore può aiutarci a capire meglio che cosa facciamo quando amiamo o quando pensiamo di amare. La riflessione critica e autocritica su questa pratica e sulle sue diverse e mutevoli espressioni ci può aiutare a valutare meglio le promesse e le ambiguità dell’amore nel passato e nel nostro tempo. Può anche aiutarci ad aguzzare lo sguardo per scoprire esempi di pseudo-amore, di distorsioni dell’amore e di aspettative non realistiche dell’amore e le relativi delusioni. Può porci di fronte alle ombre e alle sofferenze dell’amore» (p. 14).

Jeanrond effettua uno sforzo di enucleazione fenomenologica delle coordinate dell’amore. Così l’amore si delinea come un fenomeno alla ricerca di una collocazione sociale, come una realtà che richiama ed esige l’io incarnato con l’inalienabile sua identità sessuata (non riducibile alla mera dimensione genetica) ed erotica. L’amore è necessariamente un plurale perché ci sono varie reti e tipi di amore: genitoriale, filiale, caritatevole, religioso…

L’autore attira l’attenzione su una concezione incompleta nella tradizione cristiana che vedeva nell’amore un atteggiamento piuttosto che una relazione. «L’amore è stato considerato in genere come l’atteggiamento di una persona verso un’altra, invece che come la relazione tra due persone». In verità, la realtà dell’amore esige l’alterità e non si fonda sul polo relativo dell’atteggiamento. Inoltre, l’amore per sua natura richiede la reciprocità, che non è necessariamente simmetria.

L’analisi dell’autore percorre le varie concezioni bibliche dell’amore e in particolare lo sviluppo che attraversa il NT. Il testo mette in evidenza la multiformità del fenomeno dell’amore che ha per sua natura vari volti e manifestazioni. In particolare, l’autore mette in risalto le sfide che la Bibbia lancia alla nostra visione dell’amore. La principale tra queste sfide è il coinvolgimento del corpo e dell’anima nelle varie relazioni d’amore e soprattutto nella relazione d’amore tra l’uomo e Dio. Nella Bibbia, è la persona intera che ama Dio e non vi è la separazione netta tra erotismo e devozione destinata a sparire gradualmente nello sviluppo storico del concetto d’amore. Così il canone biblico «potrebbe servire come sollecitazione incoraggiante a integrare la sessualità umana e il desiderio erotico in una teologia che contempli la rete della relazione d’amore divino-umana» (p. 52).

Dopo l’analisi della tradizione biblica, l’autore ripercorre le tappe fondamentali dello sviluppo della teologia dell’amore in sant’Agostino, san Bernardo san Tommaso d’Aquino, Martin Luther. Questa fase – soprattutto la fase agostiniana alla quale l’autore dedica un capitolo intero – vive un difficile rapporto di integrazione tra desiderio e amore, sessualità e amore, ma ha il pregio di aver messo in chiaro ciò che possiamo definire come la gerarchia divina dell’amore, ovvero, di aver stabilito Dio come fondamento, milieu e fine dell’amore. Così, anche in ambito di amore nuziale tra uomo e donna, Agostino delinea la strada da seguire e il senso da inverare nell’amore umano: «Il motivo essenziale per cui vi siete insieme riuniti è che viviate unanimi nella casa e abbiate unità di mente e di cuore protesi verso Dio». È l’amore di Dio Sommum Bonum che dà la verità a ogni altro amore, anche l’amore di se stessi. Così Agostino spiega: «Amiamo tanto più noi stessi quanto più amiamo Dio. È dunque con una sola ed identica carità che amiamo Dio e il prossimo; ma amiamo Dio per se stesso, noi stessi invece ed il prossimo per Dio».

Jeanrond raccoglie i fili di alcuni importanti contributi sull’amore nella storia della teologia e del pensiero cristiano intorno a due tendenze: la tendenza di creare una netta distinzione tra l’amore cristiano inteso nella sua vera essenza come pura agape. E la tendenza opposta che presenta una convergenza e una correlazione tra eros e agape nell’esperienza dell’amore cristiano. La prima tendenza è rappresentativa dell’approccio protestante radicato nella visione di Lutero e che ha i suoi epigoni più famosi in S. Kierkegaard, A. Nygrens – l’autore dell’opera controversa quanto famosa: Eros e agape. La nozione cristiana dell’amore –, K. Barth e E. Jungel. La seconda tendenza, che ha trovato più fortuna in seno al cattolicesmo è illustrata dal nostro autore in dialogo con P. Tillich, K. Rahner, J.-L. Marion e Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus caritas est.

Gli ultimi capitoli dell’opera si concentrano rispettivamente sulle istituzioni dell’amore (matrimonio, famiglia); sulla dimensione «politica» (da polis) dell’amore, che tocca quindi il suo volto interpersonale, dedicando spazio al volto della philia (amicizia) nell’esperienza d’amore cristiano; e, in fine, sull’amore di Dio che rimane coronamento, quadro di riferimento e fine dell’amore cristiano.

Chi si aspetta, attirato dal titolo, un’enciclopedia dell’amore cristiano nella storia della teologia, deve ricredersi. Il libro non ha queste pretese e non potrebbe averle dato il numero di pagine che non supera i 300. Così non si riscontra in esso uno sviluppo adeguato della nozione patristica dell’amore (ci vengono in mente i Padri orientali con i loro commentari sul Cantico e l’eros potentemente presente nella teologia mistica di Gregorio di Nissa, per fare solo un nome). Non si parla neanche della disputa dell’amour pur di un Fénelon. Nondimeno, il libro di Jeanrond è un interessante contributo che focalizza l’attenzione della teologia sul cuore della prassi credente e sull’essenza del Dio rivelato in Gesù Cristo.

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ZENIT Staff

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