di Massimo Introvigne
CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 27 settembre 2012 (ZENIT.org).- Dopo quella che ha definito «una lunga serie di catechesi sulla preghiera nella Scrittura», con l’udienza generale del 26 settembre Benedetto XVI è entrato in una nuova tappa della sua «scuola della preghiera», dedicata ora alla liturgia. Il Papa ha cominciato la sua meditazione ritornando sulla nozione stessa di una «scuola della pregherà». «Qual è questa scuola nella quale Egli [lo Spirito Santo] mi insegna a pregare, viene in aiuto alla mia fatica di rivolgermi in modo giusto a Dio?». Certo, la prima scuola della preghiera è la Sacra Scrittura, di cui il Pontefice ha parlato per molte settimane. C’è però «un altro prezioso “spazio”, un’altra preziosa “fonte” per crescere nella preghiera, una sorgente di acqua viva in strettissima relazione con la precedente. Mi riferisco alla liturgia, che è un ambito privilegiato nel quale Dio parla a ciascuno di noi, qui ed ora, e attende la nostra risposta».
Ma che cos’è la liturgia? Il Papa invita a cercare come di consueto la risposta nel «Catechismo della Chiesa Cattolica» – «sussidio sempre prezioso, direi e indispensabile» – dove si legge che etimologicamente la parola «liturgia» significa «servizio da parte del popolo e in favore del popolo» (n. 1069). Dunque «la teologia cristiana prese questo vocabolo del mondo greco», ma ne reinterpretò il significato. Il «servizio in favore del popolo» qui si riferisce a «un popolo che non esiste da sé, ma che si è formato grazie al Mistero Pasquale di Gesù Cristo. Di fatto, il Popolo di Dio non esiste per legami di sangue, di territorio, di nazione, ma nasce sempre dall’opera del Figlio di Dio e dalla comunione con il Padre che Egli ci ottiene». Il «Catechismo» aggiunge che «nella tradizione cristiana (la parola “liturgia”) vuole significare che il Popolo di Dio partecipa all’opera di Dio» (n. 1069). In effetti, il popolo di Dio non ha un’origine meramente sociologica: «il popolo di Dio come tale esiste solo per opera di Dio».
Com’è noto, il primo documento approvato e proposto al mondo dal Concilio Ecumenico Vaticano II, il 4 dicembre 1963, fu la Costituzione sulla liturgia «Sacrosanctum Concilium». «Che il documento sulla liturgia fosse il primo risultato dell’assemblea conciliare – afferma il Pontefice – forse fu ritenuto da alcuni un caso. Tra tanti progetti, il testo sulla sacra liturgia sembrò essere quello meno controverso, e, proprio per questo, capace di costituire come una specie di esercizio per apprendere la metodologia del lavoro conciliare». E tuttavia «senza alcun dubbio, ciò che a prima vista può sembrare un caso, si è dimostrata la scelta più giusta, anche a partire dalla gerarchia dei temi e dei compiti più importanti della Chiesa. Iniziando, infatti, con il tema della “liturgia” il Concilio mise in luce in modo molto chiaro il primato di Dio, la sua priorità assoluta». Non, dunque, una semplice coincidenza o una scelta tattica o politica. «Prima di tutto Dio: proprio questo ci dice la scelta conciliare di partire dalla liturgia. Dove lo sguardo su Dio non è determinante, ogni altra cosa perde il suo orientamento».
Il Concilio c’insegna che «il criterio fondamentale per la liturgia è il suo orientamento a Dio, per poter così partecipare alla sua stessa opera». Quale opera, precisamente? «La risposta che ci offre la Costituzione conciliare sulla sacra liturgia è apparentemente doppia. Al numero 5 ci indica, infatti, che l’opera di Dio sono le sue azioni storiche che ci portano la salvezza, culminate nella Morte e Risurrezione di Gesù Cristo; ma al numero 7 la stessa Costituzione definisce proprio la celebrazione della liturgia come “opera di Cristo”». Non solo non c’è qui una contraddizione, ma «in realtà questi due significati sono inseparabilmente legati. Se ci chiediamo chi salva il mondo e l’uomo, l’unica risposta è: Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, crocifisso e risorto. E dove si rende attuale per noi, per me oggi il Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo, che porta la salvezza? La risposta è: nell’azione di Cristo attraverso la Chiesa, nella liturgia». Possiamo dire così che «il Mistero Pasquale della Morte e Risurrezione di Cristo è il centro della teologia liturgica del Concilio».
È però necessario «un altro passo in avanti» per capire «in che modo si rende possibile questa attualizzazione del Mistero Pasquale di Cristo». Benedetto XVI cita la lettera apostolica «Vigesimus quintus annus», pubblicata dal beato Giovanni Paolo II (1920-2005) nel 1988, a venticinque anni dalla Costituzione «Sacrosanctum Concilium»: «Per attualizzare il suo Mistero Pasquale, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, soprattutto nelle azioni liturgiche. La liturgia è, di conseguenza, il luogo privilegiato dell’incontro dei cristiani con Dio e con colui che Egli inviò, Gesù Cristo (cfr Gv 17,3)» ( n. 7). E cita anche – e ancora – il «Catechismo della Chiesa Cattolica»: «Ogni celebrazione sacramentale è un incontro dei figli di Dio con il loro Padre, in Cristo e nello Spirito Santo, e tale incontro si esprime come un dialogo, attraverso azioni e parole» (n. 1153).
Alla fine, la risposta alla domanda su che cosa è essenziale nella liturgia è semplice. «La prima esigenza per una buona celebrazione liturgica è che sia preghiera, colloquio con Dio, anzitutto ascolto e quindi risposta». Benedetto XVI cita pure il motto di San Benedetto (ca. 480-547) in tema di preghiera liturgica: «mens concordet voci», «che la mente concordi con la voce». Questo significa, spiega il Papa, che «le parole devono precedere la nostra mente. Abitualmente non avviene così, prima dobbiamo pensare e poi quanto abbiamo pensato, si converte in parola. Qui invece, nella liturgia, è l’inverso, la parola precede. Dio ci ha dato la parola e la sacra liturgia ci offre le parole; noi dobbiamo entrare all’interno delle parole, nel loro significato, accoglierle in noi, metterci noi in sintonia con queste parole».
Dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium, il Pontefice cita ancora il passo secondo cui «è necessario che i fedeli si accostino alla sacra liturgia con retta disposizione di animo, pongano la propria anima in consonanza con la propria voce e collaborino con la divina grazia per non riceverla invano» (n. 11). Dunque l’«elemento fondamentale, primario, del dialogo con Dio nella liturgia, è la concordanza tra ciò che diciamo con le labbra e ciò che portiamo nel cuore. Entrando nelle parole della grande storia della preghiera noi stessi siamo conformati allo spirito di queste parole e diventiamo capaci di parlare con Dio».
A titolo di esempio Benedetto XVI cita le parole della Messa «Sursum corda», «innalziamo i nostri cuori al di fuori del groviglio delle nostre preoccupazioni, dei nostri desideri, delle nostre angustie, della nostra distrazione. Il nostro cuore, l’intimo di noi stessi, deve aprirsi docilmente alla Parola di Dio e raccogliersi nella preghiera della Chiesa». Lo sguardo va alzato verso il Signore, non abbassato verso preoccupazioni meramente umane. Se viviamo così la liturgia, «il nostro cuore è come sottratto alla forza di gravità, che lo attrae verso il basso, e si leva interiormente verso l’alto, verso la verità e verso l’amore, verso Dio». Ascoltiamo ancora il «Catechismo della Chiesa Cattolica»: «La missione di Cristo e dello Spirito Santo che, nella Liturgia sacramentale della Chiesa, annunzia, attualizza e comunica il Mistero della salvezza, prosegue nel cuore che prega. I Padri della vita spirituale talvolta paragonano il cuore a un altare» (n. 2655). «Altare Dei est cor nostrum».
Questo motto impegnativo c’insegna che «celebriamo e viviamo bene la liturgia solo se rimaniamo in atteggiamento orante, non se vogliamo “fare qualcosa”, farci vedere o agire, ma se orientiamo il nostro cuore a Dio e stiamo in atteggiamento di preghiera unendoci al Mistero di Cristo e al suo colloquio di Figlio con il Pad
re». Anche questa è scuola della preghiera.