ROMA, martedì, 25 settembre 2012 (ZENIT.org) – Riprendiamo la versione ridotta del discorso pronunciato oggi dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, nel monastero di Pedralbes, a Barcellona (Spagna), in occasione del conferimento del Premio internazionale Conde de Barcelona, come pubblicata da L’Osservatore Romano. Il testo completo ed originale è disponibile sulla nostra edizione spagnola (http://www.zenit.org/article-43210?l=spanish).
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Non sono poche le questioni che riguardano la cosiddetta “diplomazia vaticana”, che storicamente ha ricevuto diversi appellativi, alcuni dei quali dettati con una certa precipitazione.
Per alcuni è come una reliquia del passato destinata a scomparire. Altri vedono in essa un riflesso di una Chiesa contrassegnata da scelte che non risponderebbero alla realtà o alle esigenze del nostro tempo. A volte, la si contempla più con l’immaginazione che con un’autentica conoscenza della Chiesa e del ruolo fondamentale che, al suo centro, svolge il Santo Padre, e anche i suoi collaboratori nella Segreteria di Stato e nelle Nunziature Apostoliche, per farsi interpreti e portavoce di quelle cause che salvaguardano la dignità umana, la concordia tra le nazioni e il giusto progresso di un ordine mondiale che ha le sue basi più solide nella pace, nella giustizia e nella solidarietà internazionale.
In realtà, la diplomazia della Santa Sede è una ricerca incessante di vie giuste e umane, tenendo allo stesso tempo conto dei diritti e delle responsabilità delle persone e degli Stati, il bene di ogni uomo che si ottiene solo salvaguardando il bene comune. L’azione diplomatica svolta dal Papa e dai suoi collaboratori dovrebbe essere considerata come una forma privilegiata di comunicazione, il cui fine è di favorire nel modo migliore possibile questo bene comune e l’intesa della comunità internazionale.
Di solito accade che, nel parlare dei rappresentanti pontifici, non si tiene sufficientemente conto della poliedricità del loro operato. Spesso le opinioni si limitano a quel che riguarda la loro attività presso i governi, senza pensare che hanno altri incarichi. Per esempio, una delle loro missioni più importanti è di essere araldi della parola e della vicinanza del Sommo Pontefice, rendendo presente in tutto il mondo la sua paterna sollecitudine e rafforzando i vincoli tra il Vescovo di Roma, Successore di san Pietro, e le Chiese particolari che peregrinano nel mondo, senza dimenticare il compito, sempre più urgente e decisivo, del dialogo ecumenico e interreligioso.
A tale proposito, vorrei citare un giornalista. Mi riferisco a Joseph Vandrisse, religioso dei Padri Bianchi, presenti soprattutto in Africa, il quale per molti anni è stato corrispondente a Roma del giornale «Le Figaro». In una delle sue cronache diceva che la diplomazia del Papa è semplicemente una necessità, di modo che — cito testualmente — «se non esistesse, bisognerebbe inventarla».
In effetti, il servizio diplomatico della Santa Sede, frutto di una prassi antica e consolidata, si è gradualmente strutturato nel corso dei secoli per essere uno strumento che opera a favore della libertas Ecclesiae, come pure per la difesa della dignità della persona umana e di una società che ne rifletta i valori più nobili. In tal senso, ricordo qui con piacere chela Spagna è la nazione la cui ambasciata pressola Santa Sede costituisce la missione diplomatica permanente più antica del mondo e che il suo Palazzo nella romana Piazza di Spagna, situato di fronte alla colonna dell’Immacolata (verità che questa nazione contribuì tanto a definire) è, nella Città Eterna, un emblema permanente di questa realtà storica.
Per comprendere in modo autentico la funzione dei nunzi apostolici, ben definita negli ultimi tempi dai Papi Paolo VI e Giovanni Paolo II, è necessario sottolineare che non è quella propria dei tecnocrati, né si deve confondere con quella dei politici. I nunzi o i delegati apostolici — in Paesi che non hanno relazioni diplomatiche piene conla Santa Sede— sono pastori, uomini di Chiesa, formati dal punto di vista umano, accademico e sacerdotale, per poter realizzare, con alti obiettivi, il proprio compito su tutti i fronti che la loro missione comprende.
Il numero dei Paesi rappresentati si è duplicato durante il Pontificato di Giovanni Paolo II, visto che nel 1978 — all’inizio del ministero petrino di questo amato Pontefice — erano solo ottantaquattro le nazioni che mantenevano relazioni conla Santa Sede, mentre ora sono centosettantanove. Pertanto la diplomazia del Papa ha raggiunto, nelle relazioni internazionali, una posizione di autentica universalità.
In questo ambito, la funzione della Segreteria di Stato, prima istituzione a collaborare con il Papa, per assisterlo nella sua suprema missione, ha un duplice aspetto. Da una parte, il suo lavoro tende a occuparsi di quel che si riferisce al servizio quotidiano del Santo Padre, a esaminare anche le questioni che trascendono la competenza ordinaria dei Dicasteri della Curia Romana, promuovendo le relazioni con essi e coordinandoli, e a guidare l’attività dei Legati della Santa Sede, in particolare per quel che concerne le Chiese particolari.
Dall’altra parte, è accanto al Romano Pontefice nel suo compito di continuare, sviluppare e intensificare le relazioni della Sede di Pietro con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali «per il bene della Chiesa e della società civile», come precisa la Costituzioneapostolica Pastor bonus, di Giovanni Paolo II, nel suo articolo 46. Perciòla Santa Sede si sforza ogni giorno di offrire il suo sostegno alla vita internazionale, secondo la propria specificità, affinché, ovunque, si rispetti la dignità dell’uomo e s’intensifichino il dialogo, la solidarietà, la libertà, la giustizia e la fraternità, sia all’interno delle nazioni sia nella sua proiezione esteriore.
Vi posso assicurare che la diplomazia del Papa lavora, in modo discreto ma costante, al servizio di molte realtà, e per salvare vite e rendere più umana e sostenibile la situazione di molte persone. Ciò si fa senza discriminazione alcuna, come un servizio per il bene di tutti coloro che sollecitano l’intervento — o persino a volte la mediazione — del Papa e dei suoi diplomatici. Vi confesso inoltre che il contatto assiduo con i Rappresentanti pontifici e i loro collaboratori, molti di essi giovani sacerdoti, mi ha portato ad ammirare il generoso dono di sé, l’abnegazione e la dedizione a quanto viene affidato loro, come pure la ferma volontà di costruire ponti e facilitare soluzioni, a volte a problematiche ardue e in situazioni tremendamente complesse.
Ribadisco qui quel che ho detto ai diplomatici all’inizio del mio servizio nella Segreteria di Stato: «Abbiamo bisogno di un impegno universale a favore dei più diseredati del pianeta, dei più poveri, delle persone che cercano, spesso invano, quello di cui hanno bisogno per vivere loro e le loro famiglie. La dignità, la libertà e il rispetto incondizionato di ogni essere umano nei suoi diritti fondamentali, in particolare la libertà di coscienza e di religione, devono essere tra queste preoccupazioni fondamentali, poiché non possiamo in alcun modo disinteressarci della sorte e del futuro dei nostri fratelli di tutta l’umanità, né restare impassibili di fronte alle sofferenze che sfigurano la persona umana e che ogni giorno abbiamo dinanzi ai nostri occhi».
Si tratta di edificare un mondo ogni giorno più umano e fraterno, com’è proprio dello spirito evangelico. Bisogna costruire un mondo in cui si rifletta meglio la compassione verso le persone deboli e indifese, secondo la tradizione cristiana e le migliori tradizioni religiose e umanistiche delle diverse culture. Per questo Papa Ben
edetto XVI non esita a sottolineare che «la vita, che è opera di Dio, non va negata ad alcuno, neppure al più piccolo e indifeso nascituro, tanto meno quando presenta gravi disabilità». Perciò non possiamo «cadere nell’inganno di pensare di poter disporre della vita fino a “legittimarne l’interruzione, magari mascherandola con un velo di umana pietà. Occorre pertanto difenderla, aiutarla, tutelarla e valorizzarla nella sua unicità irripetibile» (Angelus nella Giornata per la vita, 4 febbraio 2007).
In questo contesto, l’altra faccia della medaglia è più dolorosa. Si tratta di mettere in evidenza tutto ciò che è contrario alla vita, di far sì che scompaiano quei flagelli che colpiscono l’umanità, come la povertà, il narcotraffico, il terrorismo, l’estorsione, l’insicurezza civile o qualsiasi altro tipo di violenza. In questi ambiti, gli interventi della Santa Sede sono stati e sono copiosi e chiari. Si vuole gettar luce su piaghe che feriscono la parte più profonda della condizione umana, di fronte alle quali non si può tacere.
L’elenco è variegato. A quelle che ho appena menzionato potremmo aggiungere il maltrattamento che la donna subisce sotto molti aspetti; e non ignoro neppure le sofferenze di tanti bambini o l’abbandono che prostra molti anziani. Sono parecchie le regioni del mondo con carenze sanitarie enormi, dove la miseria, la disoccupazione, la fame e l’analfabetismo provocano a loro volta stragi. Non sarà mai abbastanza quello che si fa affinché la vita degli esseri umani si sviluppi in modo sereno e integrale, in focolari domestici dove famiglie fondate sul matrimonio tra un uomo e una donna la custodiscano, la educhino correttamente e le schiudano prospettive luminose di futuro. Se tutte queste radici si trascurano, se vengono tacciate di essere antiquate o non si alimentano con vigore, l’uomo e la sua armoniosa convivenza perderanno la loro reale consistenza.
E vorrei qui menzionare un’obiezione che generalmente si fa quando il Magistero della Chiesa affronta questioni non negoziabili come la tutela della vita umana, la famiglia fondata sul matrimonio o il diritto inalienabile dei genitori a offrire un’educazione religiosa ai propri figli. Si screditano rapidamente le sue proposte, come se si pretendesse d’imporre la percezione ecclesiale a tutti i cittadini di società pluraliste. Lungi dal fare ciò, nella Chiesa desideriamo rispettare tutte le persone e non abbiamo la pretesa di giudicare chi non condivide la nostra visione. Siamo aperti al dialogo, ma il nostro servizio alla società e alla verità ci chiede proprio di esporre le ragioni delle nostre convinzioni. E in tal senso,la Chiesa— come ricorda costantemente Benedetto XVI — non esita a ricorrere agli argomenti “di ragione” nel dialogo con la società. Così ha sempre fatto la tradizione migliore della Chiesa che, oltre ai contenuti della fede, è sempre ricorsa ad argomenti cosiddetti «di ragione», fondati sull’ordine naturale e iscritti nel cuore umano.
A quanto detto bisogna aggiungere l’impegno dei rappresentanti pontifici per promuovere la pace, che continua a essere un obiettivo prioritario della Santa Sede. Questo campo specifico si colloca tra il realismo e la profezia. Il realismo c’invita a prendere coscienza della crescente complessità delle situazioni sociali e dei loro conflitti. E la profezia ci spinge a non rinunciare a quello che, in un primo momento, potrebbe talvolta essere definito come utopico, ma che, con sguardo attento e speranzoso, può essere visto come possibilità reale. Malgrado le tante esperienze frustranti, dobbiamo credere in una lenta ma irreversibile maturazione etica dell’umanità.
A essa contribuisce il rispetto per la libertà religiosa, che è la via fondamentale per la costruzione della pace, poiché — con le parole del Papa — «la pace, infatti, si costruisce e si conserva solamente quando l’uomo può liberamente cercare e servire Dio nel suo cuore, nella sua vita e nelle sue relazioni con gli altri» (Discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 10 gennaio 2011). Alla luce di queste considerazioni, si comprende bene che il Santo Padre segnali che «non è certo espressione di laicità, ma sua degenerazione in laicismo, l’ostilità a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione; alla presenza, in particolare, di ogni simbolo religioso nelle istituzioni pubbliche» (Discorso ai partecipanti al 56° Convegno nazionale promosso dall’unione giuristi cattolici italiani, 9 dicembre 2006).
Perciò ogni giorno incoraggio i miei collaboratori nella Segreteria di Stato a non perdersi d’animo nel propugnare un’ampia visione delle relazioni sociali, che includa il dialogo della Chiesa con lo Stato, che rafforzi la collaborazione con le istituzioni civili per lo sviluppo integrale della persona e della sua dignità, che faciliti il libero esercizio della missione evangelizzatrice della Chiesa, e che indichi il dovere della società e dell’amministrazione pubblica di garantire spazi dove i credenti possano vivere e celebrare la loro fede. In questo contesto la Chiesachiede, nell’esercizio della sua missione nel mondo, manifestata in diverse forme individuali e comunitarie, lo stesso atteggiamento di rispetto e di autonomia che essa dimostra verso le realtà temporali (cfr. Discorso alla Conferenza Episcopale Spagnola, 5 febbraio 2009, n. 10).
Ricordiamo oggi le catastrofiche inondazioni avvenute il 25 settembre del1962 indiverse regioni della Catalogna, che causarono un elevato numero di morti e dispersi, il che suscitò un’autentica ondata di solidarietà dinanzi a tanta sofferenza. Da parte mia, desidero destinare l’importo economico di questo premio a fini solidali, consegnando il cinquanta per cento dello stesso alla lodevole iniziativa dell’Arcivescovado di Barcellona per i giovani senza lavoro, e l’altro cinquanta per cento ai progetti del Grupo Guadalupe del Nicaragua, un’iniziativa creata in questo Paese da Suor Guadalupe Caldera Ramírez, cappuccina della Madre del Divino Pastor, che all’età di novantatré anni continua a essere l’anima della sua fondazione, e per borse di studio a studenti di famiglie a basso reddito delle scuole di queste religiose fondate dal Beato José Tous.