"C'ero anch'io"

L’esperienza di padre Piero Gheddo, del Pime, al Concilio Vaticano II (1962-1965)

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di padre Piero Gheddo

ROMA, martedì, 25 settembre 2012 (ZENIT.org).- L’11 ottobre prossimo si celebrano i 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II. Avevo 33 anni ed ero nel giornalismo cattolico da dieci anni. Ho partecipato al Concilio come giornalista dell’Osservatore Romano e come “perito” delle missioni,nominato da Giovanni XXIII nel febbraio 1962 a far parte della commissione che doveva scrivere prima la bozza di lavoro e poi il testo del decreto missionario Ad Gentes. A Milano ero direttore di “Le Missioni Cattoliche”, ma nei mesi del Concilio vivevo quasi sempre al Pime di Roma e con rapidi viaggi notturni in treno venivo a Milano e tornavo a Roma.

Nel Radiomessaggio della Pasqua 1962 Giovanni XXIII aveva detto: “Il Concilio sarà come una novella Pentecoste, da cui riprenderanno vigore le energie apostoliche della Chiesa in tutta l’estensione del suo mandato e del suo giovanile vigore”. A questa visione ottimistica noi giovani aderivamo con entusiasmo. Cosa ricordo di quei tempi?  Ripensandoci, mi pare che il mondo cattolico fosse del tutto impreparato al Concilio, cioè a quei cambiamenti radicali, che lo Spirito ha ispirato e quasi imposto ad una Chiesa che stava chiudendosi in se stessa. Fra l’altro, si pensava che sarebbe durato due o tre mesi, invece durò quattro anni.

A quel tempo noi, preti giovani, l’abbiamo accolto con entusiasmo e lo stesso movimento missionario italiano viveva una stagione di fervore oggi inimmaginabile: in Italia c’era un pullulare di vocazioni e iniziative missionarie, unità e collaborazione tra le forze missionarie. Nel 1955 avevamo iniziato assieme la EMI (Editrice missionaria italiana) e l’équipe di missionari animatori dei seminari diocesani per l'”Unione missionaria del clero”; la Fesmi (Federazione stampa missionaria, 1956), il Suam (Segretariato unitario animazione missionaria, 1957) e altri organismi di collaborazione tra animatori e docenti dei seminari missionari; i Congressi missionari nazionali (il primo a Padova nel 1958) e la “Settimana di studi missionari” con l’Università cattolica (1960). Giovanni XXIII diffondeva ottimismo e dichiarava spesso di amare molto le missioni.

Negli anni cinquanta tre encicliche missionarie: due di Pio XII, la “Evangeliipraecones” (1951) e la “Fidei Donum” (1957), poi la “Princeps pastorum” (1959) di Giovanni XXIII. Nella Chiesa italiana si respirava un’atmosfera di fervore missionario; nei seminari e nel giovane clero c’era disponibilità a partire per le missioni. Nella preparazione al Vaticano II, la commissione delle missioni aveva iniziato i suoi lavori il 24 ottobre 1960. Io ci sono entrato nel febbraio 1962 come uno dei “periti”, mentre Raimondo Manzini mi invitava nella redazione dell’Osservatore Romano durante i mesi autunnali, incaricandomi di preparare le 2-3 pagine conciliari quotidiane con mons. Benvenuto Matteucci e don Paolo Vicentin.  

Il lavoro stressante che mi richiedevano l’Osservatore e “Le Missioni Cattoliche” a Milano mi impedì di dare il tempo necessario alla commissione delle missioni. Però, andavo a qualche incontro, avevo in mano i testi prodotti e intervistando vescovi ed esperti membri della commissione, mi ha permesso di seguire passo passo i contrasti e la maturazione del decreto missionario del Concilio.

I ricordi più belli del tempo conciliare riguardano gli incontri con i vescovi, che intervistavo per il quotidiano vaticano: le migliori interviste le ho pubblicate in “Concilio e terzo mondo” (Emi 1966), tradotto in francese (“Le Concile du Tiers Monde”, Centurion). Intervistavo i vescovi emergenti delle missioni: Zungrana, Gracias, Rugambwa, Gantin, Malula, Helder Camara, Lokuang, Zoa, Khoreiche, Mar Gregorios, Raymond, Cordeiro, Nguyen Van Binh, Larrain, Nagae, Gopu, Yamaguchi, Busimba, ecc.; inoltre, molti vescovi missionari di nazionalità italiana o europea e personalità del Concilio (Agagianian, Gilroy, Bea, Koenig, Lercaro).

Al lettore d’oggi questi nomi dicono poco ma a quel tempo erano personalità conosciute, a volte sorgevano problemi per pubblicare le loro interviste sull’Osservatore: alcuni tagli e due le interviste non pubblicate, al card. Bea e a mons. Helder Camara (che ho poi inserito nel libro). Quelle interviste ai vescovi del Concilio, lunghe e accurate, avevano buona risonanza nella stampa internazionale, portavano alla ribalta i problemi delle missioni.

Alcuni vescovi mi invitavano a visitare le loro Chiese, per scrivere sui giornali italiani, aprendomi orizzonti universali: Indonesia, India, Vietnam, Sud Africa, Angola, Cile, Congo, ecc. L’arcivescovo di Saigon, Nguyen Van Binh, mi dice: “Molti giornalisti italiani ed europei vengono in Vietnam per la guerra, ma nessuno intervista noi vescovi cattolici. Vieni in Vietnam per conoscere la nostra situazione, ti faremo visitare il paese e portare in Europa la voce dei vescovi e dei cattolici vietnamiti”. Poi, attraverso mons. Sergio Pignedoli, mi arriva una lettera d’invito da parte della conferenza episcopale vietnamita, che ha dato inizio alle mie avventure in Vietnam e Cambogia. Scrivevo articoli soprattutto su “L’Italia” (poi “Avvenire”) e un amico giornalista italiano a Saigon mi diceva: “Il tuo giornale ti pubblica queste realtà che vediamo anche noi. Ma se le mando al mio giornale non le pubblica, in Italia non si possono dire”.

Una delle personalità che più mi hanno impressionato durante il Concilio era mons. Helder Camara di Recife (Brasile), del quale sono stato fra i primi, credo, a scrivere articoli sulla stampa italiana. Mi ha invitato e sono andato a visitarlo nell’estate 1966: mi ha portato in giro nella sua archidiocesi; poi noi del Pime l’abbiamo chiamato a parlare in Italia e ho tradotto (con padre Luigi Muratori) il suo primo libro: “Terzo mondo defraudato” (Emi, 1968). Erano testi di suoi discorsi che mi aveva dato: bisognava completarli e aggiustarli perchè scritti in modo approssimativo (per poter parlare). Camara non voleva che il libro fosse pubblicato: poi ha accettato, è stato tradotto in 12 lingue e l’ha lanciato nell’opinione pubblica mondiale. Come è nato il decreto “Ad Gentes”? Lo dico nel prossimo Blog.

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ZENIT Staff

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