ROMA, sabato, 22 settembre 2012 (ZENIT.org).- Con la celebrazione eucaristica presieduta da mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, è iniziata la seconda giornata del Convegno dei Presidenti e Assistenti unitari diocesani e regionali dell’Ac. Oltre 350 i quadri dirigenti dell’associazione giunti a Roma da tutta Italia per confrontarsi sul tema “Legami di vita buona. Azione cattolica, Chiesa locale e Chiesa universale”.
Nella sua Omelia mons. Fisichella, commentando la Parabola del seminatore, ha voluto ricorda come «dopo Gesù ognuno di noi è seminatore della Parola di Dio» e come questo comporti innanzitutto «la responsabilità a non essere seminatori qualunque»; di più «il buon seminatore deve conoscere ciò che semina e il terreno su cui semina», solo così la sua azione sarà «veramente evangelizzatrice».
Il Presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione sottolinea che «non ci si improvvisa evangelizzatori, come non ci si improvvisa buoni seminatori, occorre formarsi a questo compito a cui tutti siamo chiamati. L’annuncio del Vangelo richiede rapporto costante con la Parola di Dio e conoscenza del fratello che andiamo ad incontrare». Mons. Fisichella non a caso usa i verbi andare e incontrare: «il buon seminatore non è colui che resta immobile. Come Gesù, è in continuo andare incontro all’altro. Dunque, non è più tempo di rimanere chiusi nelle nostre parrocchie. Bisogna uscire e andare lì dove l’uomo vive. Il che non vuol dire andare in Paesi lontani, ma al di là del nostro pianerottolo, dove vive il nostro vicino. Questa è la nuova evangelizzazione».
L’apertura dei lavori di questa seconda giornata di Convegno è stata caratterizzata dagli interventi di mons. Diego Coletti, vescovo di Como, e di Anna Maria Basile, presidente diocesana Ac di Andria dal 2005 al 2011, che hanno affrontato il tema dei laici “Al servizio della Chiesa e del Paese”.
Il vescovo Diego Coletti ha sottolineato come «L’unica e indivisibile missione della Chiesa si articola secondo tre prospettive principali, intimamente connesse tra loro, che possiamo chiamare secolare, profetica e pastorale». A ragione di ciò: «La fondamentale uguaglianza e l’unica “cospirazione” di tutti i battezzati vengono prima e sono più importanti di ogni distinzione e devono essere sempre considerate il fine “fraterno” di ogni legame buono tra i discepoli del Signore Gesù».
Per mons. Coletti: «La prospettiva secolare. È il modo di vivere ed esprimere l’unica e indivisibile missione della Chiesa permeando dello spirito evangelico la vita dell’uomo in tutti i suoi aspetti “secolari” ( famiglia, lavoro, economia, cultura, politica, scienza…); inserendo cioè in essi il sale e il lievito della nuova alleanza, stipulata da Dio nella Pasqua del suo Cristo».
«La prospettiva “profetica”. È il modo di vivere ed esprimere l’unica e indivisibile missione della Chiesa, manifestando in grado straordinario, nel proprio stile di vita, le esigenze radicali della sequela di Gesù, indicate nel Vangelo».
«La prospettiva “pastorale”. È il modo di vivere ed esprimere l’unica e indivisibile missione della Chiesa assumendo, con la forza dello Spirito Santo, il compito di dar vita alla comunità cristiana, di nutrirla con la Parola e i sacramenti, di coordinare i carismi e i ministeri, di curarne i difetti e le malattie, di vigilare per diffonderla e custodirla: in una parola, di edificare e condurre la comunità in quanto tale».
«Tra le varie forme che può assumere la vita cristiana» ha proseguito mons. Coletti, «una è particolarmente connotata dalla dedizione diretta, costante ed esplicita al compito pastorale dell’edificazione e della cura della comunità cristiana. Tale compito, vissuto da laici, viene svolto con una particolare attenzione alla dimensione secolare di cittadinanza attiva e di servizio alla vita buona di tutti, che dovrebbe essere lo scopo di ogni servizio pastorale alla vita della comunità.
Si configura così una vocazione apostolica non storicamente contingente, ma teologicamente motivata nella struttura stessa della Chiesa». Ecco perché: «La vocazione che abbiamo descritta richiede, di natura sua, di essere vissuta in una profonda comunione di intenti e in una dimensione ecclesiale e “oggettiva” di comunità fraterna, dentro cioè legami di vita buona. Le caratteristiche di una vera e propria associazione appaiono le meglio corrispondenti all’identità di tale vocazione e le più efficacemente utili a custodire e orientare la sua vivacità».
La dott.sa Anna Maria Basile nel suo intervento ha tracciato il profilo delle responsabilità a cui è chiamato il laico cristiano nel suo servizio alla comunità. A partire da tre verbi: custodire, tramandare, generare.
«Custodire: nel senso di custodire una tradizione, una storia, un pezzo di storia – con l’atteggiamento del custode, che è sempre attento, vigile, si prende cura, e non è geloso, non trattiene per sé, custodisce per tramandare, per restituire ciò che custodisce come lo ha ricevuto, anzi in modo più ricco».
«Tramandare: Una fede autentica nel Signore Gesù, che costituisce il centro della nostra fede e della vita cristiana, che è risposta ad una vocazione come battezzati. Un’esperienza associativa forte, dove si è sperimentato, tra la fragilità e le potenzialità di ciascuno, un amore forte per la Chiesa, che passa anche attraverso l’Associazione, quell’essere insieme, un gruppo di persone dove si sperimenta il calore di una casa, di una famiglia, dove si gareggia (S. Paolo) nello stimarsi a vicenda, dove si è aperti ad accogliere qualunque persona della nostra comunità e del nostro territorio. Uno stile di servizio gioioso, che è tutt’altro dal sentirsi superiori, più in alto, più bravi e più potenti degli altri. Gioioso anche nei momenti di difficoltà e di buio, di solitudine».
Uno stile di comunione con tutti – con il Vescovo, con gli Assistenti, con i soci, con altre presenze di associazioni, movimenti e aggregazioni presenti in diocesi, nel rispetto dello specifico di ognuno e nella consapevolezza che tutti lavoriamo per un bene maggiore, che va oltre la nostra povera persona – comunione e apertura con la Chiesa diocesana tutta e con il territorio. Uno stile di relazione profonda e di fraternità, vera, autentica e calda con tutti, senza escludere nessuno, senza preferenze di nessuno, che si concretizza nella prossimità e condivisione, accoglienza, stima, nel valorizzare l’altra persona. Uno stile di verità nella carità, dove ci si dice sempre e ogni volta i punti di forza, i punti di debolezza, i passi in avanti, le fatiche e le difficoltà».
«Generare: nel senso di passare la vita, non fermare la storia a noi. Attingere dal passato, dalla ricchezza di cui è portatore, quella linfa necessaria, senza farne perdere il sapore delle origini e la forza generatrice, però con gli occhi, le orecchie, mente e cuore radicati nel presente, per rispondere ai bisogni dell’uomo di oggi. Radicati nel qui e ora.
«Una storia, qualsiasi storia», sottolinea Anna Maria Basile, «comincia da un nome, è un intreccio di volti. Ma poi chiede che qualcuno la prenda per mano per portarla oltre. Pensiamo ai nomi e ai volti di ragazzi, giovani e adulti che pensano, operano e amano per il bene delle nostre Chiese e delle nostre città.
La dimensione Intergenerazionale diventa dunque strategica, ci fa guardare a quei compagni di strada che hanno tracciato il cammino prima di noi e li rende testimoni luminosi sulla nostra strada e a coloro che ancora, camminando al nostro fianco, danno impulso al nostro cammino, ci aiu
tano a capire meglio il tempo e il luogo in cui viviamo, ci fanno avere uno sguardo nuovo, oltre le difficoltà e le debolezze personali e comunitarie; ci aiuta a cercare “nel passato le radici del futuro”, attingendo quella linfa necessaria che, attraversando tanti volti, tanti nomi e tante persone, è giunta alle nostre fragili mani e chiede di essere consegnata ad altre mani senza farne perdere il sapore delle origini e la forza generatrice».