MILANO, lunedì, 3 settembre 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo di seguito il testo dell’omelia pronunciata questo pomeriggio dal cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, durante la celebrazione delle esequie del cardinale Carlo Maria Martini.
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1. «Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me» (Lc 22, 28-29). La lunga vita del Cardinal Martini è specchio trasparente di questa perseveranza, anche nella prova della malattia e della morte. Ed ora Gesù as-sicura lui e noi con lui: “Io faccio con te, come il Padre ha fatto con me”. Per lui è pronto un regno come quello che il Padre ha disposto per il Figlio Suo, l’Amato. Il fatto che non sia un luogo fisico, a nostra misura, non ci autorizza a ridurre il paradiso ad una favola. Il Cardinal Martini, che ha annunciato e studiato la Risurrezione, l’ha più volte sottolineato. Con parole tanto semplici quanto potenti San Paolo ne coglie la natura quando scrive: «Per sempre saremo con il Signore» (1Ts 4, 17). Il nostro CardinaleCarlo Maria, tanto amato, non si è quindi dileguato in un cielo remoto e inaccessibile.
Egli, entrando nel Regno partecipa del potere di Cristo sulla morte ed entra nella comunione con il Dio vivente. Per questo, in un certo vero senso, si può dire di lui ciò che Benedetto XVI ha scritto di Gesù asceso al Padre: «Il suo andare via è al contempo un venire, un nuovo modo di vicinanza a tutti noi” (cfr. J. Ratzinger, Gesù di Nazaret 2, 315).
Carissimi, siamo qui convocati dalla figura imponente di questo uomo di Chiesa, per esprimergli la nostra commossa gratitudine. In questi giorni una lunga fila di credenti e non credenti si è resa a lui presente.
Caro Padre, noi ora, con i molti che ci seguono attraverso i mezzi di comunicazione, ti facciamo corona. E lo facciamo perché nella luce del Risorto, garante del tuo compiuto destino, sappiamo dove sei. Sei nella vita piena, sei con noi. Questa è la nostra speranza certa. Non siamo qui per il tuo passato, ma per il tuo presente e per il nostro futuro.
2. «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46). Il terribile interrogativo di Gesù sulla croce è in realtà implorante preghiera. Estremo abbandono al disegno del Padre. E qual è questo disegno? Che il Crocifisso incorpori in Sé tutto il dolore degli uomini. Il Figlio di Dio ha assunto tutto dell’uomo, tranne il peccato, a tal punto che la Sua drammatica invocazione finale abbraccia l’umano grido di orrore di fronte alla morte per placarlo.
Alla morte di Gesù ben si addice la preghiera del poeta Rilke: «Dà, o Signore, a ciascuno la sua morte. La morte che fiorì da quella vita, in cui ciascuno amò, pensò, sofferse» (R. M. Rilke, Das Buch von der Armut und vom Tode, Das Stundenbuch 1903). Chi muore nel Signore, col Signore è destinato a risorgere. Per questo la sua morte è un fiorire. La morte del Cardinale è stata veramente personale perché destinata alla sua personale, inconfondibile risurrezione, al suo personale modo di stare per sempre con il Signore e in Lui con tutti noi.
Niente e nessuno ci può strappare questa consolante verità. Neppure la dura, sarcastica obiezione di Adorno che liquida la preghiera di Rilke come «un miserevole inganno con cui si cerca di nascondere il fatto che gli uomini, ormai, crepano e basta» (T. W Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino 1988, 284). A smentirla è l’imponente manifestazione di affetto e di fede di questi giorni verso l’Arcivescovo.
3. Il Cardinal Martini non ci ha lasciato un testamento spirituale, nel senso esplicito della parola. La sua eredità è tutta nella sua vita e nel suo magistero e noi dovremo continuare ad attingervi a lungo. Ha, però, scelto la frase da porre sulla sua tomba, tratta dal Salmo 119 [118]: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino». In tal modo, egli stesso ci ha dato la chiave per interpretare la sua esistenza e il suo ministero.
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me non lo respingerò» (Gv 6, 37). La luce della Parola di Dio, sulla scia del Concilio Vaticano II, abbondantemente profusa dal Cardinale su tutti gli uomini e le donne, non solo della terra ambrosiana, è il dono attraverso il quale Gesù accoglie chiunque decide di seguirLo. Perché – aggiunge il Vangelo di Giovanni – la volontà del Padre è che Egli non perda nulla, ma lo risusciti nell’ultimo giorno (cfr. Gv 6, 39). Dio è veramente vicino a ciascun uomo, qualunque sia la situazione in cui versa, la posizione del suo cuore, l’orientamento della sua ragione, l’energia della sua azione. Dobbiamo però definitivamente superare un atteggiamento molto diffuso circa il dono della fede. Il nostro Padre Ambrogio a proposito del Salmo scelto dal Cardinale, afferma: «Per certo quella luce vera splende a tutti. Ma se uno avrà chiuso le finestre, si priverà da se stesso della luce eterna. Allora, se tu chiudi la porta della tua mente, chiudi fuori anche Cristo. Benché possa entrare, nondimeno non vuole introdursi da importuno, non vuole costringere chi non vuole… Quelli che lo desiderano ricevono la chiarezza dell’eterno fulgore che nessuna notte riesce ad alterare» (Ambrogio, Commento al Salmo 118, Nn. 12. 13-14; CSEL 62, 258-259).
Affidare al Padre questo amato Pastore significa assumersi fino in fondo la responsabilità di credere e di testimoniare il bene della fede a tutti. Ci chiede di diventare, con lui, mendicanti di Cristo. Dolorosamente consapevoli di portare il tesoro della nostra fede in vasi di creta, gridiamo al Signore: «Credo; aiuta la mia incredulità»(Mc 9, 24).
Questo è il grande lascito del Cardinale: davvero egli si struggeva per non perdere nessuno e nulla (cfr. Gv6, 39). Egli, che viveva eucaristicamente nella fede della risurrezione, ha sempre cercato di abbracciare tutto l’uomo e tutti gli uomini. Lo ha potuto fare proprio perché era ben radicato nella certezza incrollabile che Gesù Cristo, con la Sua morte e risurrezione, è perennemente offerto alla libertà di ognuno.
4. Oggi la Chiesa celebra la memoria del papa San Gregorio Magno. Dalla sua celebre opera La regola pastorale, il Cardinal Martini ha tratto il suo motto episcopale: «Pro veritate adversa diligere», per amore della verità, abbracciare le avversità (II, 3, 3). In questa scelta brilla lo spirito ignaziano del Cardinal Martini: la tensione al discernimento e alla purificazione, come condizioni ascetiche per far spazio a Dio e per imparare quel distacco che solo garantisce l’autentico possesso, cioè, il vero bene delle persone e delle cose. Così il pastore che ora affidiamo al Padre ha amato il suo popolo, spendendosi fino alla fine. Anch’io ho potuto far tesoro del suo aiuto fin nell’ultimo affettuoso colloquio, una settimana prima della sua morte. Nell’attitudine salvifica, pienamente pastorale, del suo ministero egli ha riversato la competenza scritturistica, l’attenzione alla realtà contemporanea, la disponibilità all’accoglienza di tutti, la sensibilità ecumenica e al dialogo interreligioso, la cura per i poveri e i più bisognosi, la ricerca di vie di riconciliazione per il bene della Chiesa e della società civile.
Nella Chiesa le diversità di temperamento e di sensibilità, come le diverse letture delle urgenze del tempo, esprimono la legge della comunione: la pluriformità nell’unità. Questa legge scaturisce da un atteggiamento agostiniano molto caro al Cardinale: chi ha trovato Cristo, proprio perché certo della Sua presenza, continua, indomito, a cercare.
5. Facciamo ora nostra di tutto cuore
la preghiera del Prefazio di questa solenne liturgia di suffragio: «È nostro vivo desiderio che il tuo servo Carlo Maria venga annoverato nel regno celeste tra i santi pastori del tuo gregge e possa raggiungere la ricompensa di coloro con i quali ha condiviso fedelmente le fatiche della stessa missione». Pensiamo alla lunga catena dei nostri arcivescovi, soprattutto a Sant’Ambrogio e a San Carlo. Caro Arcivescovo Carlo Maria, la Madonnina, l’Assunta, con gli Angeli e i Santi che affollano il nostro Duomo, ti accompagni alla meta che tanto hai bramato: vedere Dio faccia a faccia. Amen.