di Luca Marcolivio
CASTEL GANDOLFO, domenica, 2 settembre 2012 (ZENIT.org) – La Legge di Dio, elemento essenziale sia della religione ebraica che di quella cristiana, nel Nuovo Testamento “trova il suo pieno compimento nell’amore”. Lo ha detto stamattina papa Benedetto XVI introducendo l’Angelus.
La Legge di Dio, ha spiegato il Santo Padre, è espressione della Parola di Dio stesso che “guida l’uomo nel cammino della vita”, lo libera “dalla schiavitù dell’egoismo” e lo introduce “nella «terra» della vera libertà e della vita”.
Nella Bibbia, pertanto, “la Legge non è vista come un peso, una limitazione opprimente, ma come il dono più prezioso del Signore, la testimonianza del suo amore paterno, della sua volontà di stare vicino al suo popolo, di essere il suo Alleato e scrivere con esso una storia di amore”.
Nell’Antico Testamento è Mosè a trasmettere la Legge di Dio al Popolo: per mezzo della Legge, i fedeli potranno così vivere ed entrare in possesso della terra che il Signore sta per dare loro (cfr Dt 4,1).
Il problema sorge quando il popolo, una volta stabilitosi nella terra e diventato depositario della Legge, “è tentato di riporre la sua sicurezza e la sua gioia in qualcosa che non è più la Parola del Signore: nei beni, nel potere, in altre ‘divinità’ che in realtà sono vane, sono idoli”, ha osservato il Papa.
Con il risultato che la Legge di Dio passa in secondo piano o “diventa piuttosto un rivestimento, una copertura, mentre la vita segue altre strade, altre regole, interessi spesso egoistici individuali e di gruppo”.
Parimenti la religione “smarrisce il suo senso autentico che è vivere in ascolto di Dio per fare la sua volontà - che è la verità del nostro essere - e così vivere bene, nella vera libertà, e si riduce a pratica di usanze secondarie, che soddisfano piuttosto il bisogno umano di sentirsi a posto con Dio”.
Nemmeno il cristianesimo è immune dal rischio di un riduzionismo secolare e di una banalizzazione. “Perciò – ha detto a tal riguardo il Pontefice - le parole di Gesù nel Vangelo di oggi contro gli scribi e i farisei devono far pensare anche noi”.
Ciò è palese quando Cristo fa proprie le parole di Isaia: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Mc 7,6-7; cfr Is 29,13). E subito dopo aggiunge: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» (Mc 7,8).
Anche San Giacomo, nella seconda lettura di oggi, “mette in guardia dal pericolo di una falsa religiosità”. «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola – scrive l’Apostolo - e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi» (Gc 1,22).