ROMA, sabato, 1 settembre 2012 (ZENIT.org).
Lettura
Nella prima lettera ai Corinti – che stiamo leggendo da giovedì di questa settimana – Paolo lancia uno sguardo acuto e sincero sulla comunità di Corinto. Quanti hanno aderito alla fede, in quella città di mare e di commercio, non sono né sapienti, né potenti, né nobili. Questo rivela il metodo di Dio, che sceglie «quello che è nulla» per confondere il mondo e fare risaltare la potenza della fede in Cristo, da cui viene ogni vanto e ogni salvezza. Nel Vangelo, concludiamo la lettura di Matteo per i giorni feriali, con la parabola dei talenti, dove Gesù attesta che ogni dono viene affidato da Dio alla nostra libertà, affinché lo facciamo fruttificare.
Meditazione
Quella dei talenti è la parabola che un tempo i vecchi parroci, quando le scolaresche cominciavano l’anno scolastico con la Messa in chiesa, raccontavano sempre ai ragazzi. Ci aiutavano così a riconoscere i doni di Dio, che poi avremmo dovuto sviluppare attraverso l’attenzione a scuola e lo studio a casa, per trovarci tutti più grandi e più bravi alla fine dell’anno scolastico. In realtà, tutti siamo ricchi di doni: la vita e la nostra stessa persona è un dono di Dio che – nel crearci – ha messo in gioco la sua onnipotenza e la sua provvidenza. Ora tocca a noi corrispondere con la nostra libertà. La storia dell’umanità e quella di ogni singola persona si gioca interamente nello sviluppare quanto abbiamo ricevuto: la struttura stessa della nostra persona, così come l’eredità trasmessa dalle generazioni che ci hanno preceduto e dalle persone che ci hanno messo al mondo, sono i talenti che ci sono stati consegnati. A livello personale, a quale dei tre personaggi della parabola sentiamo di assomigliare? Sia che abbiamo ricevuto molto, come i grandi santi e teologi della Chiesa, sia che abbiamo ricevuto poco, come san Paolo dice dei Corinti, sappiamo di dover rendere conto. Non come di fronte a un padrone, ma a un Padre che ci ha donato la vita, il mondo che ci circonda e i nostri stessi fratelli uomini. Il pigro o l’ignavo, chi è timoroso del giudizio del padrone o dei soci, si spreca nell’inutilità e nel vuoto, non arricchisce se stesso e non fa del bene agli altri. C’era un ragazzo che voleva utilizzare al meglio la propria vita, e per questo pensava di diventare medico o insegnante. Alla fine decise di diventare sacerdote, perché questo “impiego” dell’esistenza l’avrebbe preso tutto intero, anima e corpo, tempo ed energie, e avrebbe potuto ottenere il maggior risultato per il bene del prossimo.
Preghiera
O Signore, ti domando che il mio lavoro di quest’oggi sia un atto d’amore per te, per la mia famiglia e per il mondo. Concedimi di collaborare con te al tuo Regno, realizzando un mondo più giusto e fraterno.
Agire
Oggi avrò un’attenzione particolare a utilizzare i doni e le energie che il Signore mi ha donato.
Meditazione del giorno a cura di Don Angelo Busetto, tratta dal mensile Messa Meditazione, per gentile concessione di Edizioni ART. Per abbonamenti: info@edizioniart.it