Crisi finanziaria e conflitto di interessi (Seconda parte)

La proposta della Dottrina sociale della Chiesa

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di Carmine Tabarro

ROMA, giovedì, 30 agosto 2012 (ZENIT.org) – Dalla Nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale: “Ma cosa ha spinto il mondo in questa direzione estremamente problematica anche per la pace? Anzitutto un liberismo economico senza regole e senza controlli. Si tratta di una ideologia, di una forma di «apriorismo economico», che pretende di prendere dalla teoria le leggi di funzionamento del mercato e le cosiddette leggi dello sviluppo capitalistico esasperandone alcuni aspetti. Un’ideologia economica che stabilisca a priori le leggi del funzionamento del mercato e dello sviluppo economico, senza confrontarsi con la realtà, rischia di diventare uno strumento subordinato agli interessi dei Paesi che godono di fatto di una posizione di vantaggio economico e finanziario”.

La Nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace afferma l’esistenza di istituzioni ed imprese che, grazie e al loro potere e alle informazioni asimmetriche di cui “godono (o che “costruiscono”, ndr) assumono di fatto di una posizione di vantaggio economico e finanziario”, alias conflitto di interessi.

È il conflitto di interessi che ha permesso alla più grande banca d’affari, la Goldman Sachs, di passare indenne dai processi per i drammi sociali, economici e finanziari provocati con i mutui subprime, per le manipolazioni del mercato mondiale, per le responsabilità nell’aver provocato la nazionalizzazione dell’Aig (1) (con i soldi dei contribuenti), per aver stipulato polizze assicurative speculative a copertura di titoli finanziari falliti.

È il conflitto di interessi che ha dato vita al recente scandalo del LIBOR (London inter bank offered rate), il più importante tasso d’interesse interbancario che ogni mattina diciannove banche globali concordano stabilendo i tassi sui prestiti alle imprese e famiglie.

Nonostante tutti questi scandali e tutte queste rovine materiali e morali, per i responsabili non ci sarà nessuna conseguenza giuridica (al massimo una “piccola” sanzione economica), perché le grandi banche sono too big to fail (troppo grandi per fallire) e a loro non si applica il diritto vigente, quindi sarà sempre loro permesso un salvacondotto a causa del conflitto di interessi in gioco.

Abbiamo visto il declino morale delle elargizioni di cospicui bonus a manager anche quando questi hanno distrutto il tessuto economico delle società da loro guidate. Il conflitto di interesse, con l’ausilio dei grandi media (anche loro controllati nella proprietà dalla grande finanza), provoca il sonno della ragione e della morale, e spinge gli animal spirit (nel senso keynesiano) ad emergere contro il bene comune.

Quel che più impressiona è come non ci si accorga che insieme all’elementare ed errata ideologia che vede nel ‘mercatismo’ la risoluzione di tutti i problemi, non si comprenda come l’utilitarismo filosofico di Jeremy Bentham non sia la risposta al problema della crisi ma è piuttosto la causa della crisi.

Si è affermata la convinzione che la massimizzazione dell’utilità non valga soltanto per chi detiene poteri piccoli e grandi, ma addirittura che la logica del conflitto di interessi sia “normale” anche per i legislatori, i quali dovrebbero non pensare al proprio tornaconto ma al bene comune, sulla scia di quanto affermava De Gasperi: “il politico è quello che guarda alle prossime elezioni, lo statista è quello che guarda alle prossime generazioni”.

Pertanto si è diffusa in maniera endemica la logica aetica che ogni politica, legge, azione umana deve massimizzare la propria utilità, facendo così crescere una nuova falsità ideologica: l’idea che la felicità sia un atto individualistico ed egoistico. È ben chiaro, quindi, che una società non può reggere a lungo in questo perenne conflitto.

Questa teoria ha trovato la maggiore riflessione euristica nel pensiero di Robert Nozick (Anarchy, State and Utopia, 1974), che ha offerto una difesa filosofica dei principi libertari dopo Hayeck e Friedman, e una critica al concetto di giustizia distributiva.

La summa di questa riflessione possiamo sintetizzarlo nel seguente modo: può esistere solo uno Stato “minimo” e in quanto tale limitato a rendere esecutivi i contratti, proteggere il popolo contro la forza interna ed esterna, il furto e la frode, il resto è lasciato a chi è più capace di massimizzare le utilità.

Qualunque intervento ulteriore violerebbe i diritti della persona, che non può essere costretta a comportamenti del tutto ingiustificati che ledano il suo interesse. La prima conseguenza è che nessuno debba essere forzato ad aiutare altre persone. Tassare i ricchi per aiutare i poveri significa violare il loro diritto a far ciò che vogliono con la loro proprietà, e soprattutto, non v’è nulla di sbagliato nella crescita delle diseguaglianze economiche come tali, tanto da arrivare alla dichiarazione che “la tassazione dei guadagni da lavoro è pari al lavoro forzato” (p. 169).

Queste tesi, che giustificano la centralità del conflitto di interessi, oltre a distruggere i diritti e i valori fondamentali della civiltà occidentale fondata sui valori ebraico-cristiani, sebbene a volte neppure esplicitate, costituiscono le basi inconsce delle moderne e postmoderne visioni economico-politiche del pensiero unico dominante.

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NOTE

(1) Una delle più grandi compagnie di assicurazioni a livelli mondiale

[La prima parte è stata pubblicata giovedì 23 agosto. La terza ed ultima puntata sarà pubblicata giovedì 6 settembre]

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ZENIT Staff

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