ROMA, martedì, 21 agosto 2012 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la seconda parte dell'intervista a Marco Roncalli, autore della prima, completa, biografia critica di Giovanni Paolo I, del quale ricorrono il 34° anniversario della sua elezione a Pontefice (26 agosto), quello della morte (28 settembre) e il centenario della nascita (17 ottobre). La prima parte è stata pubblicata ieri, lunedì 20 agosto.
di Renzo Allegri*
E dopo il Seminario?
Marco Roncalli: Venne ordinato sacerdote a 23 anni. Per due anni lavorò in parrocchia come aiutante del parroco, svolgendo “quell’apostolato spicciolo tra la gente che mi piaceva tanto”. E poi tornò di nuovo in Seminario, come insegnante e come vicedirettore. Altri dieci anni di Seminario, dal 1937 al 1947. Sono gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Anni difficili, drammatici, soprattutto per l’Italia, Egli li visse intensamente, impegnandosi in attività anche fuori del Seminario. Riuscì, in quegli anni, anche a conseguire una laurea, summa cum laude, in teologia, alla Gregoriana di Roma. Ma studiava soprattutto gli eventi che stavano accadendo nel mondo, la vita degli uomini che erano fuori dal Seminario, per i quali egli stava preparando le guide spirituali del futuro.
Poi, nel 1947, arrivò la stagione dell’agire. In un momento difficile per la sua salute, perché, proprio in quel periodo aveva problemi gravi e fu ricoverato in sanatorio. Ma la stima dei suoi superiori era grande e fu egualmente nominato provicario della diocesi, poi vicario generale e, nel 1958, vescovo di Vittorio Veneto. Prese, come motto del suo stemma vescovile, la parola Humilitas, spiegando: “Io sono la pura e povera polvere; su questa polvere il Signore ha scritto la dignità episcopale dell’illustre diocesi di Vittorio Veneto”. Non ebbe mai grande considerazione di se stesso. Scrisse: “Alcuni vescovi assomigliano ad aquile, che planano con documenti magistrali ad alto livello; io appartengo alla categoria dei poveri scriccioli che, nell’ultimo ramo dell’albero ecclesiale, squittiscono”.
Nel 1962 iniziò il Concilio Vaticano II. Luciani era già vescovo, come lo visse?
Marco Roncalli: Con grandissimo entusiasmo, ma nel nascondimento. Non si conoscono suoi interventi diretti, ma fu sempre presente a tutte le sezioni. Guardava a quell’evento con stupore. Ne parlava esprimendosi con un linguaggio sportivo, paragonandolo a una “partita straordinaria” dove giocano “oltre 2000 vescovi” e “arbitro è il Papa”. Ma quell’evento ebbe un significato enorme per lui. Scrisse: “Il Concilio mi ha obbligato a farmi ancora studente e a convertirmi anche mentalmente”. Dopo il Concilio, la sua azione pastorale ebbe un’impennata di iniziative nuove, forti, che molti giudicarono, a volte, addirittura rivoluzionarie.
In che senso?
Marco Roncalli: Erano anni di cambiamenti, di progresso anche economico e nella vita dei cristiani si affacciavano molti problemi nuovi. Luciani si dimostra un vero pastore, che rifiuta di farsi incasellare nei soliti stereotipi di “conservatore” o di “progressista”. Fermo, quanto a dottrina e principi, ma pieno di comprensione per la fragilità umana, vicino ai problemi reali delle famiglie.
Uno dei problemi più scottanti in quegli anni, e lo è ancora oggi, riguarda il controllo delle nascite. La contraccezione era ed è proibita dalla Chiesa. Ma sono molte le coppie credenti che, avendo già dei figli e, per ragioni varie e anche gravi, non possono averne altri, ricorrono alla contraccezione vivendo in stato di peccato. Luciani soffriva per questa situazione. In varie discussioni espresse parole che dimostravano una sua prudente ma precisa apertura. Ipotizzava e auspicava un’evoluzione della dottrina cattolica su questo problema. Poi, però, arrivò l’enciclica di Paolo VI Humanae vitae che ribadiva la condanna della contraccezione e si adeguò. Era un innovatore, ma sempre pronto a obbedire alla Chiesa.
Era aperto anche al problema delle “coppie di fatto”. Scrisse: “Tutelata una volta la famiglia legittima e fatto ad essa un posto d’onore, non sarà possibile riconoscere, con tutte le cautele del caso, qualche 'effetto civile' alle 'unioni di fatto'?”.
Già allora erano in crescita nel nostro Paese le presenze di emigrati appartenenti a varie religioni. E lui guardava con il cuore di un padre anche a quelle persone. Scrisse: “Qualche vescovo si è spaventato: ma allora, domani vengono i buddisti e fanno la loro propaganda?… Oppure: ci sono quattromila musulmani a Roma: hanno diritto di costruirsi una moschea? Non c’è niente da dire: bisogna lasciarli fare”.
Comprensivo, disponibile, aperto, ma anche inamovibile quanto a rigore dottrinale e disciplina. Ha ribadito sempre l’inconciliabilità tra cristianesimo e marxismo. Ha condannato gli abusi di quanti rischiavano di far diventare il Concilio “un’arma per disobbedire, un pretesto per legittimare tutte le ‘stramberie’ che passano per la testa”. Fu sempre duro con i movimenti cattolici del dissenso. A Venezia, da cardinale, quando gli studenti universitari della FUCI si schierarono per il no alla abrogazione della legge sul divorzio, sciolse l’associazione. Proibì tassativamente ai gruppuscoli uniti da nostalgie preconciliari di celebrare la Messa in latino. Affermava: “Non esigiamo – situati a destra – che la Chiesa conservi oggi, in un mondo profondamente cambiato, tali e quali gli atteggiamenti e i riti, che andavano bene nel medioevo… Viceversa cerchiamo di non essere – situati a sinistra – troppo audaci e di non compromettere l’unità della fede e della Chiesa”.
Se Luciani avesse avuto un pontificato lungo, quali cambiamenti, secondo te, avrebbe realizzato all’interno della Chiesa?
Marco Roncalli: Durante i 33 giorni del suo pontificato ha continuato a comportarsi nella semplicità più assoluta, come aveva sempre fatto. Quando, subito dopo l’elezione, i cardinali gli chiesero che nome avrebbe voluto da Papa, scelse quello dei due Pontefici che lo avevano preceduto, per indicare che voleva mettersi nella scia della continuità. Alla domanda rituale rispose. “Mi chiamerò Giampaolo I”. Ma i cardinali gli fecero notare che quel nome, “Giampaolo”, era di tipo troppo “familiare” per un Papa, e così si adattò a cambiarlo in quello solenne di “Giovanni Paolo I”. Le sue prime parole ai cardinali furono: “Cosa avete fatto? Dio vi perdoni!”. Nei vari discorsi dei suoi 33 giorni di pontificato, continuò a richiamarsi alla essenzialità del messaggio evangelico, con sottolineature alla povertà e al retto uso della proprietà. Aveva per davvero metabolizzato la Popolorum progressio di Paolo VI e avrebbe certamente sistemato un po' la questione delle ricchezze vaticane, promuovendo una Chiesa più solidale con i poveri e una maggior comunione e condivisione ai vertici.
Fu il primo papa a chiedere di poter parlare alla folla al primo affacciarsi dalla loggia di San Pietro, impedito dall’allora maestro delle cerimonie Virgilio Noè; che rifiutò l’incoronazione, la tiara, come Paolo VI, e la sedia gestatoria, sulla quale qualche volta lo obbligarono nelle udienze generali.. Per parlare con spontaneità, accantonava i testi ufficiali, allarmando ambienti della curia romana e della diplomazia. Per dare lezioni di umanità, nelle udienze chiamava i bambini a dialogare con lui come ai tempi di Vittorio Veneto e di Venezia. Quei 33 giorni bastarono per creare un imprevedibile cambiamento di clima nella Chiesa, e, bandendo ogni forma di retorica, indicare con parole e gesti, la bellezza del cristianesimo. Se avesse avuto un pontificato lungo, avrebbe certamente lasciato un segno forte e inconfondibile .
Qual è la tua opinione sul giallo della morte di Papa Luciani?
Marco Roncalli: Dai documenti che ho esaminato, sono certo che la morte sia avvenuta per cause naturali. Certo al cento per cento. Ci sono state però tante ipocrisie: la prima a trovare morto il Papa nella sua camera da letto, fu la suora che gli portava il caffè, cioè una donna, cosa che parve disdicevole, per cui si cominciarono a raccontare frottole, ad aggiustare la verità, a emettere pasticciati comunicati stampa, e nacque una confusione che, insieme ad altri dettagli e inopportune dichiarazioni, alimentò l’ipotesi del complotto e dell’avvelenamento.
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*Renzo Allegri è giornalista, scrittore e critico musicale. Ha studiato giornalismo alla “Scuola superiore di Scienza Sociali” dell’Università Cattolica. E’ stato per 24 anni inviato speciale e critico musicale di “Gente” e poi caporedattore per la Cultura e lo Spettacolo ai settimanali “Noi” e “Chi”. Da dieci anni è collaboratore fisso di “Hongaku No Tomo” prestigiosa rivista musicale giapponese.
Ha pubblicato finora 53 libri, tutti di grandissimo successo. Diversi dei quali sono stati pubblicati in francese, tedesco, inglese, giapponese, spagnolo, portoghese, rumeno, slovacco, polacco, cinese e russo. Tra tutti ha avuto un successo straordinario “Il Papa di Fatima” (Mondatori).