La via umanista della fantascienza

Un genere letterario che accomuna fantasia, scienza e fede

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di Antonio Scacco

ROMA, sabato, 28 aprile 2012 (ZENIT.org).- Si sa che la fantasia è una “risorsa naturale” di noi esseri umani e che ci è indispensabile per un normale sviluppo psicologico. Se ne veniamo privati – scriveva Bruno Bettelheim in Il mondo incantato – «la nostra vita rimane limitata; senza fantasie che ci diano speranza non abbiamo la forza di affrontare le avversità della vita». Da questa esigenza interiore, sono nati alcuni capolavori della letteratura europea: Ludovico Ariosto, Orlando furioso (1516-1532), Miguel de Cervantes Saavedra, Don Chisciotte della Mancia (El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha, 1605-1615), Jean de La Fontaine, Favole (Fables, 1668-1694), Johann Wolfgang von Goethe, Faust (1797-1808), John R.R.Tolkien, Il signore degli anelli (The Lord of the Rings, 1954-1955).

Come è facile notare, tutte queste opere hanno in comune l’elemento fantastico, la creazione di mondi e personaggi immaginari, la proiezione dei nostri ideali, utopie e aspirazioni, ma anche delle nostre fobie e miserie, in una realtà altra, deformata, stravagante, mirabolante, chimerica, ma pur sempre legata geneticamente alla nostra quotidianità.

Sorge spontanea la domanda: perché queste opere vengono accettate dalla massa dei lettori senza pregiudizi e remore di sorta, mentre opere, che utilizzano lo stesso elemento fantastico, come i romanzi di fantascienza, vengono pesantemente discriminate? perché li si giudica con due pesi e due misure? è diversa la fantasia creatrice di un letterato da quella di uno scienziato? o quest’ultimo è negato alla capacità immaginativa?

Niente di più errato! Sentite ciò che dice uno scienziato, Peter Brian Medawar, premio Nobel per la medicina nel 1960:

Tutti i progressi della conoscenza scientifica, ad ogni livello, cominciano con una avventura speculativa, una preconcezio­ne immaginativa di ciò che potrebbe essere vero – una pre-concezione che sempre e necessariamente va un po’ oltre (e talvolta molto oltre) tutto ciò di cui abbiamo un’evidenza logica o fattuale. È l’invenzione di un mondo possibile, o di una minuscola frazione di tale mondo. L’ipotesi è successi­vamente sottoposta al vaglio critico per scoprire se quel mondo immaginato è in qualche modo simile a quello reale. Il ragionamento scientifico è perciò a tutti i livelli una intera­zione fra due episodi di pensiero – un dialogo a due voci, l’una immaginativa, l’altra critica, un dialogo, se volete, tra il possibile e il reale, tra la proposta e la realtà, l’ipotesi e la critica, fra ciò che può essere vero e ciò che di fatto è1.

Date queste premesse, non c’è da stracciarsi le vesti, né gridare allo scandalo, se a scrivere romanzi di fantascienza sia un fisico come Gregory Benford –Il grande fiume del cielo (Great Sky River, 1987) – o un matematico come Vernor Vinge – Alla fine dell’arcobaleno (Rainbows End, 2006).

Ma di che cosa parlano questi scrittori nelle loro opere? Di argomenti di viva attualità: l’innesto di elementi elettronici nel corpo umano, della realtà virtuale, dei buchi neri, dei viaggi nel tempo, ecc. Coloro che hanno un’idiosincrasia congenita per la fantascienza, potrebbero obiettare che a loro i discorsi di tipo teoretico astratto, l’epistemologia, la storia della scienza, il luogo e il momento della sua nascita, ecc. non interessano affatto. Interessa, semmai, aiutare il prossimo, i bisognosi, i disoccupati, i drogati, ecc… Occuparsi, insomma, di opere caritative, anziché discutere dei “massimi sistemi”. Grave errore, soprattutto per due ordini di motivi.

Anzitutto, lo sceintismo è il nodo centrale della grave crisi umanistica che l’Europa e l’Occidente stanno attraversando. La nascita della scienza, come sappiamo, ha provocato un formidabile shock culturale senza precedenti. L’andamento della civiltà, a partire dalla fine del sec. XVIII, ha preso un andamento accelerato e le nostre società da agricole si sono trasformate in industriali. Ma l’avvento dello scientismo ha indotto nell’errore di confondere la modernità con il modernismo e di credere che, poiché cambiano i sistemi di produzione e si modificano i rapporti e le classi sociali, cambia anche il nostro rapporto con i valori.

Lo scientismo con il suo continuo progredire e sotto l’influsso di filosofie atee e materialiste, ha messo in crisi la gnoseologia, che è diventata incerta e relativistica. Nasce così la dittatura del relativismo, figlia dello stravolgimento della scienza in scientismo. E nasce anche la decadenza morale e culturale dell’Occidente cristiano.

Dunque, ignorare il problema “scienza” non è possibile: significa nascondere la testa nella sabbia come lo struzzo e, in definitiva, misconoscendo la verità, non è possibile operare correttamente, come non ha mancato di sottolineare Benedetto XVI nella sua enciclica Caritas in veritate:

La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire […]. Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione. Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori – talora nemmeno i significati – con cui giudicarla e orientarla. La fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr Gv 8,32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa la ricerca, l’annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi2.

Non vogliamo sostenere la tesi che la verità della scienza sia coincidente con la verità della fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo e vero Salvatore del genere umano. Scienza e fede si occupano di due ambiti diversi e distinti. Tuttavia, c’è un punto che le accomuna: lo sviluppo della grande scienza è coincidente con il Cristianesimo. Questo dato incontrovertibile è stato appurato da diversi studiosi, tra cui citiamo Edward Grant, Le origini medievali della scienza moderna (The Foundantions of Modern Science in the Middle Ages, 1996) e Stanley L.Jaki, Cristo e la scienza (Christ and Science, 2000). In particolare, ci preme ricordare il saggio del filosofo e teologo Enrico Cantore, L’uomo scientifico. Il significato umanistico della scienza, che individua le radici cristiane della scienza nella sua capacità di accrescere l’umanità dell’uomo, a patto che non sia stravolta in scientismo.

Tesi, questa, che da decenni cerchiamo di divulgare attraverso i nostri scritti: Fantascienza umanistica, Critica pedagogica della fantascienza, ecc. e, soprattutto, mediante la nostra rivista Future Shock.

*

1 PETER BRIAN MEDAWAR, L’immaginazione dello scienziato, in ANDREA BATTISTINI (a cura di), Letteratura e scienza, Zanichelli, Bologna 1977, p.57.

2 BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, pp.12-13.

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ZENIT Staff

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