di Eugenio Fizzotti
ROMA, lunedì, 2 aprile 2012 (ZENIT.org) - «Il passare dei giorni scandisce l’approssimarsi del tempo di passione e risurrezione di Cristo, al quale in tanti guardano con sempre maggior disincanto, come se la storia del Dio fattosi uomo e crocifisso per la salvezza degli altri uomini, di tutti gli uomini, fosse evento circoscritto ai libri sacri o, ancor peggio, ad un passato tanto lontano quanto evanescente nei suoi contenuti e, perciò, non attuale».
Indirizzando una lettera ai dconfratelli nel sacerdozio e ai carissimi fedeli della sua Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, Mons. Vincenzo Bertolone mette in chiara evidenza che a differenza della festa di Natale, nella quale il ricordo di un evento cristiano emerge in forma massiccia ed anche particolarmente eccessiva attraverso le luci commerciali, il rito formale degli auguri e una certa memoria collettiva, a Pasqua «scivola quasi invisibile dal calendario e dalla memoria cristiana, mentre sempre più larga è l’arena ove battezzati non più credenti o indifferenti non si premurano di testimoniare la propria fede».
Ciò vuol dire che la tensione enorme alla mondanità «relega in un angolo il senso della morte e risurrezione di Cristo e del suo sacrificio», con la conseguenza di non cogliere in forma chiara la percezione di Dio che «infinito ed eterno per definizione sceglie di partecipare della fragilità e caducità legate alla condizione umana», a motivo della quale «noi tutti eravamo sperduti come un gregge senza pastore e ognuno di noi seguiva la propria strada, per cui il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì bocca; era come agnello mansueto condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori».
Nella consapevolezza che ricevono un castigo come effetto dei peccati commessi, i cristiani sanno benissimo che tale tragica situazione si è abbattuta su Gesù il quale dà loro la salvezza, proprio perché dalle sue piaghe sono stati guariti. Ecco perché, come affermava Dietrich Bonhoeffer, citato opportunamente da Mons. Bertolone, «Dio in Cristo non ci salva in virtù della sua onnipotenza. Ma in Cristo ci salva in virtù della sua impotenza». Nei Vangeli, infatti, c’è in forma molto evidente lo sforzo di riassumere in Cristo lo spettro della sofferenza umana, con riferimento esplicito alla paura della morte, alla solitudine, alla tortura, alla lunga agonia e, prima della morte, al silenzio del Padre.
Come fulcro del messaggio cristiano Mons. Bertolone indica che «Gesù non è indifferente alle disgrazie e ai peccati dell’uomo, e proprio per questo accetta di morire. Egli diventa così la grande figura che domina l’abside del cosmo. Il mondo intero lo contempla nella gloria della Resurrezione, ritrovando in quel la speranza della luce, di ciò che è oltre il dolore e la morte. Tuttavia, per riconoscerlo, è necessario un altro canale di conoscenza, che spesso sfugge all’occhio dell’uomo contemporaneo, incapace di andare oltre la patina superficiale delle apparenze: serve la fede nella quale ritrovare il germe della speranza nel Cristo Risorto che, attraversando il dolore e la morte, li ha irradiati di fecondità».
L’invito pasquale alla conversione e al cambiamento del proprio stile di vita in una direzione di apertura, di solidarietà e di compartecipazione, favorisce per l’Arcivescovo di Catanzaro-Squillace l’individuazione entusiasmante delle sorgenti di luce, di amore e di bellezza che promanano da Gesù e che vanno accolte e inserite nel proprio modo di esistere, aprendo la mente e il cuore, in un solo grande abbraccio, «ai deboli, agli emarginati, a quanti il meccanismo infernale del capitalismo senza coscienza né anima costringe a parlare ai morti, perché nessun vivo si ricorda e pensa più a loro».
Ecco perché il messaggio invita in toni particolarmente convincenti a non ritenere il cristianesimo come «una dottrina o una teoria sull’anima umana», come ammoniva il filosofo Ludwig Wittgenstein, ma come «la descrizione di un evento reale nella vita dell’uomo». Ecco perché i credenti, e più in generale tutti gli uomini e le donne di buona volontà, considerano la Pasqua di risurrezione e l’esempio di Cristo in croce non solo «un’ulteriore grazia che viene offerta a tutti per una profonda riflessione, ma anche l’occasione di gesti d’affetto, parole di vicinanza, ascolto partecipe».
La visione realistica e coerente di chi vive in profondità e fedeltà il dono della fede comporta, quindi, per Mons. Bertolone venir fuori dai cortili della quotidianità, della scuola, della società, del lavoro e della politica, per tradurre in concretezza quello che già l’apostolo Pietro suggeriva: «Siate pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. E questo sia fatto con dolcezza, rispetto e retta coscienza» (1 Pt 3,15-16), guardando con semplicità ed entusiasmo sia il Signore Risorto per ravvivare la propria fede e sia il povero per amarlo con rispetto e generosità.