Quella "Caritas Romana" descritta da Abraham B. Yehoshua

“La scena perduta”, un romanzo tra Israele e Santiago de Compostela

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di Antonio D’Angiò

ROMA, sabato, 31 marzo 2012 (ZENIT.org).- Si ha spesso l’opportunità di seguire in Italia le conferenze dello scrittore israeliano Yehoshua, tra le ultime, la sua partecipazione alla prima edizione di “Libri Come” nel marzo 2010 all’Auditorium di Roma con una lezione su “Come scrivo i miei libri” oppure a settembre 2011 alla quarta edizione del “Festival della Letteratura Ebraica” con un “Viaggio nella letteratura ebraica”.

Si ha, quindi, la possibilità di poter intuire il senso più profondo che anima l’opera letteraria del settantaseienne scrittore israeliano, potendone ascoltare la voce e i silenzi.

Anche chi, nel corso degli anni, ha sempre apprezzato i libri di Yehoshua, da “L’Amante” sino a “Fuoco Amico”, rimane intimamente colpito da quest’ultima opera, “La scena perduta” edita da Einaudi.

E’ la storia di un uomo colto o dell’intellighenzia culturale israeliana, il regista Yair Moses, il quale è invitato nella città spagnola di Santiago de Compostela per assistere ad una retrospettiva sui suoi primi film. Questo gli impone non solo un percorso a ritroso nelle motivazioni delle sue prime e dimenticate produzioni artistiche, ma anche, una volta ritornato in Israele, di ripercorrere quei luoghi e quegli attimi che definirono alcune scelte che determinarono la sua vita.

Tra queste scelte, la rottura umana e professionale con lo sceneggiatore dei primi film di Moses, cioè Shaul Trigano, causata (ma non sia detto motivata) dalla mancata realizzazione di una scena, in un film, vagamente ispirata alla storia della “Caritas Romana” di Valerio Massimo (la giovane figlia Pero che allatta il padre Cimone incatenato in prigione e condannato a morire di fame).

Le visite nella cattedrale e le passeggiate nel centro storico di Santiago de Compostela, i percorsi in macchina nel desertico sud di Israele, sono altrettanti momenti di scavo dentro la vita del regista e degli altri protagonisti che si contrappongono all’apparente fissità di quel quadro e di quella scena della “Caritas Romana” che nel libro è rappresentata dal pittore olandese Meyvogel.

“Caritas Romana” che, come dice l’anziana ed esperta professoressa di storia dell’arte che fornisce al regista alcune notizie sul quadro: “Romana, non italiana. Roma è stata più grande dell’Italia e la sua storia proviene da lì”.

La “Caritas Romana”, come ricordava la professoressa e che Yehoshua descrive in modo intrigante dalle pagine 102 a 109, è stato un tema che dal Rinascimento in poi ha attratto molti pittori, tra questi anche Rubens e Caravaggio. E’ proprio sull’opera del Caravaggio e sul presunto amore edipico dell’opera che lo scrittore fà pronunciare alla professoressa: “Nel meraviglioso dipinto di Caravaggio Le sette opere di misericordia (…) la figlia allatta il padre attraverso le sbarre di una cella e perciò, anche se l’uomo è forte e attivo, è comunque inoffensivo. Un dipinto magnifico come quello poteva trovare collocazione anche in una chiesa”.

La chiesa nella quale si trova l’opera del Caravaggio è quella del Pio Monte della Misericordia di Napoli, nella centralissima via dei Tribunali; nell’azione di Pero a Cimone si rappresentano due profondissime e spirituali opere di misericordia: visitare i carcerati e nutrire gli affamati.

“La scena perduta” è soprattutto la narrazione di ciò che poteva essere ma che non è stato e di come quest’omissione può essere e si voglia espiare a distanza di tempo. Yehoshua, prendendo come spunto l’opera artistica, la fa tracimare naturalmente nella quotidianità di ognuno; Il pentimento e la riparazione, verso se stessi e verso gli altri.

Tra i tanti, facciamo riferimento a due dialoghi particolarmente intensi: il primo che si svolge in un appartato confessionale della Cattedrale di Santiago tra l’anziano regista ed il giovane sacerdote, uno degli organizzatori della retrospettiva cinematografica; il secondo, a distanza di decenni dalla rottura artistica e umana, tra il regista e l’ex sceneggiatore Trigano, in un Kibbutz vicino alla striscia di Gaza. Sono momenti di dura contrapposizione e di umano smarrimento, necessari però alla comprensione e propedeutici al compimento di quegli atti, anche simbolicamente riparatori.

E’ un libro dove i partecipanti sono bambini e anziani, ragazzi con handicap, famiglie povere o normali, uomini e donne mature; ebrei, cattolici e musulmani, in un affresco che supera la singola identità, come quel “Romana, non italiana” che l’anziana professoressa spiega descrivendo la Caritas.

Quella “Caritas Romana” che se ricorda ad ognuno di noi quanto possa essere naturale nutrire gli affamati, mette scomodamente di fronte ai drammi rimossi della carcerazione e di come alleviarne le pene, anche attraverso atti realmente straordinari.

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ZENIT Staff

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