Solo per essere con me e come me

Vangelo della Domenica della Passione del Signore

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, giovedì, 29 marzo 2012 (ZENIT.org).- “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è il Signore!”, a gloria di Dio Padre.” (Fil 2,6-11).

Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: “Il re dei Giudei”. Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.(…) E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano. Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.(…) Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 14,1–15,47).

Molte ginocchia sulla terra, nel nostro tempo, non si piegano, o non si piegano più a riconoscere con fede che il Crocifisso “è il Signore” (Fil 2,11).

Quando Gesù fu inchiodato sulla Croce, questo atto fondamentale per ogni credente fu compiuto anzitutto da Maria, che si trovava a un passo dal corpo straziato del Figlio, immersa anche Lei nel “buio di tutta la terra” (Mc 15,33).

Giovanni Paolo II l’ha descritta così:

La madre di quel Figlio, memore di quanto le è stato detto nell’Annunciazione.. porta in sé la radicale “novità” della fede: l’inizio della Nuova Alleanza.(…) Allora si era sentita dire: “Sarà grande…, il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre…, regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”(Lc 1,32-33). Ed ecco, stando ai piedi della Croce, Maria è testimone, umanamente parlando, della completa smentita di queste parole. Il suo Figlio agonizza su quel legno come un condannato. “Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori…; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima”: quasi distrutto (Is 53,3-5). (…) Ai piedi della Croce, Maria partecipa mediante la fede allo sconvolgente mistero della spoliazione del Figlio di Dio” (Enciclica Redemptoris Mater, n. 18).

La fede eroica di Maria fu azione potente nella sua anima della grazia che la colmava sin dal concepimento, ma il Vangelo rivela che presso la Croce di Gesù due ginocchia improvvisamente si piegarono nel vederlo agonizzare: quelle di un malfattore e quelle di un centurione pagano.

Il malfattore era uno dei due condannati crocifissi con Gesù. In un primo tempo anche lui insultava il Signore come l’altro, ma poi, sconvolto dalla Sua mitezza, cambiò totalmente atteggiamento, tanto da rivolgersi a Gesù con questa umile richiesta: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42).

Il secondo a piegare le ginocchia fu il centurione romano che si trovava in servizio d’ordine sul Golgota. Costui conosceva solo per sentito dire l’inaudita pretesa divina di Gesù, ma vedendolo morire come un bambino che si accascia tra le braccia del Padre, intuì qualcosa dello sconvolgente Mistero che stava accadendo ed esclamò: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39).

Vediamo dunque che il primo a piegare le ginocchia stava insultando il Signore, ed il secondo le piegò mentre assisteva indifferente al supplizio: cosa avvenne nel cuore di entrambi da sconvolgerli tanto profondamente?

Posso rispondere che essi ricevettero “grazia su grazia” (Gv 1,16) dalla pienezza del Signore ed intuirono in qualche modo che Gesù, oltre a non aver fatto “nulla di male” (Lc 23,41), stava compiendo una misteriosa, cosmica, infinita opera di bene, riguardante l’umanità ed ognuno di loro. Ecco di che cosa si tratta:

E un giorno Dio non ha più sopportato. Dio non ha più potuto trattenersi. E allora ha impugnato il seme d’Adamo, e si è messo a gridare insieme ai suoi figli lo stesso grido di nostalgia, radicato nell’angoscia, radicato nel sangue e nell’amore, e si è incarnato. Ed è salito sulla croce.

Solo per essere con me e come me. Solo perché io possa essere con Lui e come Lui. Essere in croce è ciò che Dio deve, nel suo amore, all’uomo che è in croce. L’amore conosce molti doveri. Ma il primo di questi doveri è di essere con l’amato. Solo un Dio sale sul legno ed entra nella morte, perché là va ogni suo amato. E qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato in una falsa idea di Dio. Solo la croce toglie ogni dubbio. Sono i giorni del nostro destino, i giorni della “vendetta” di Dio: quando Dio si vendica di tutta la lontananza, di tutta la separazione, di tutta l’indifferenza inventando la croce che solleva la terra, che abbassa il cielo, che raccoglie i quattro orizzonti, crocevia di tutte le nostre strade disperse. La croce è l’abisso dove Dio diviene l’amante. Ciò che fa credere è la croce (Pascal), ma ciò in cui crediamo è la vittoria della croce: “ In verità io ti dico: oggi sarai con me nel Paradiso” (Lc 23,43).” (dal pieghevole Cristo Crocifisso, Basilica di San Carlo al Corso, Frati Servi di Maria, Milano. A cura di Hermes M. Ronchi).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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