ROMA, martedì, 27 marzo 2012 (ZENIT.org) – “La crisi provocata dalla finanza ci ha rubato il futuro. Lo ha letteralmente seppellito sotto le paure del presente. Tocca a noi riprendercelo”, ha scritto Marc Augé.
Il celebre etnologo ed antropologo francese sarà a Roma all’Institut français – Centre Saint-Louis, largo Toniolo 22, venerdì 30 marzo, alle ore 18.30, per presentare il suo ultimo libro Futuro, pubblicato da Bollati Boringhieri, occasione per parlare di uno dei temi centrali della modernità: il senso del tempo. Nell’incontro, organizzato in collaborazione con La Librairie française de Rome e l’editore, e con il sosotegno del Centre National du Livre, Marc Augé sarà intervistato dal filosofo Giacomo Marramao.
Nel mondo che conosciamo l’idea di futuro è ipotecata dalle carenze e dalle paure del presente. Sul futuro proiettiamo speranze di riscatto e attese di progresso; dal futuro temiamo qualche apocalisse. Forse, però, esiste un modo meno pregiudicato di guardare al tempo che verrà, liberandolo dai tanti chiaroscuri che finora si sono rivelati solo dei gravami, senza propiziare o sventare alcunché.
Dopo tutto, il mito del futuro è speculare a quello delle origini. Da antropologo, Marc Augé ha dimestichezza con una pluralità di luoghi e di tempi, e proprio per questo sa riconoscere i nonluoghi e il nontempo che ogni giorno attraversiamo. Chi, come lui, è abituato a confrontarsi sia con la pienezza sia con la bassa intensità di senso, ragiona sul futuro da una prospettiva diversa: è l’eccesso di visione, di rappresentazioni precostituite che impedisce di concepire il cambiamento a partire dall’esperienza storica concreta.
Con un vero colpo di ali, Augé coniuga scienza e futuro, ossia rimette in onore l’aspetto della scienza che più si discosta dalla tracotanza e dalla dismisura, e dai loro guasti planetari. Solo la sistematica messa in dubbio delle nozioni di certezza, verità e totalità permette infatti di rompere il cerchio magico che appiattisce l’avvenire su un eterno, allucinato presente.
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Marc Augé, tra i maggiori africanisti dei nostri tempi, negli ultimi vent’anni è diventato una figura di riferimento anche per un’antropologia della tarda modernità. Nato il 2 settembre 1935 a Poitiers, già allievo dell’École Normale Superieure, è stato direttore degli studi presso l’École des Hautes Etudes en Sciences Sociales (EHESS) dal 1985 al 1995.
Dopo aver contribuito allo sviluppo delle discipline africanistiche ha elaborato un’antropologia della pluralità dei mondi contemporanei attenta alla dimensione rituale del quotidiano e della modernità. Ha inoltre focalizzato la sua attenzione su una serie di esperienze contemporanee che attraversano la progettazione urbanistica, le forme dell’arte contemporanea e l’espressione letteraria.
Tra i libri tradotti in italiano: Un etnologo nel metrò (Eleuthera 1992), Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità (1993), Il dio oggetto (2002), Poteri di vita, poteri di morte. Introduzione a un’antropologia della repressione (2003), Il metrò rivisitato (2009), Che fine ha fatto il futuro? Dai non luoghi al nontempo (2009), Per un’antropologia della mobilità (2010) e Diario di un senza fissa dimora. Etnofiction (2011).
Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato: Disneyland e altri nonluoghi (1999), Il senso degli altri. Attualità dell’antropologia (2000), Finzioni di fine secolo, seguito da Che cosa succede? (2001), Genio del paganesimo (2002), Diario di guerra (2002), Rovine e macerie. Il senso del tempo (2004), La madre di Arthur (2005), Il mestiere dell’antropologo (2007), Casablanca (2008), Il bello della bicicletta (2009) e Straniero a me stesso. Tutte le mie vite di etnologo (2011).