di Angelo Marocco
ROMA, sabato, 17 marzo 2012 (ZENIT.org).- “Il sogno di Dèan” è il libro d’esordio del giovane scrittore Abiel Mingarelli. Un libro che nasce da un vero e proprio bisogno di farri emergere dall’agitazione dell’anima la voglia di non morire ogni giorno.
Si tratta, in fondo, di un desiderio di vivere e sentire scorrere l’energia travolgente che ti fa sentire forte anche quando forte non lo sei.
In fondo, potremmo dire che si tratta di un libro che nasce dalla necessità che un sogno ha nel mondo interiore dell’autore, ma anche un sogno che vuole rivolgersi a tutti, perché tutti siamo in grado di sognare.
Leggo nella sua biografia che nell’anno 2000 ha scritto e diretto un corto metraggio dal titolo Il sogno di Dèan, con Davide Rossi – tra gli altri – come attore protagonista. Il film ha ottenuto ottime recensioni e il produttore cinematografico Antonio Avati lo ha definito di stile “pasoliniano”.
Una prima domanda sorge spontanea. Molti film sono degli adattamenti di libri. Come mai lei invece ha deciso di fare il percorso inverso?
Il mio è un caso anomalo. È un percorso al contrario, non voluto, ma spontaneo, tanto che oggi sto partorendo il secondo romanzo e, guarda il caso già esiste una sceneggiatura da me sempre scritta.
Non so spiegarne il motivo di questo processo inverso ma evidentemente qualcosa nel mio interno mi induce a scrivere prima la sceneggiatura e successivamente il romanzo. È così. E non sempre nella vita bisogna trovare per forza delle risposte.
Una scrittura spontanea, non meditata, che nasce da quel mondo interiore che tra l’altro è origine dei sogni. E forse non è un caso che la parola chiave del suo romanzo può essere individuata proprio nel sogno…
Certo è proprio così. Però bisogna anche specificare bene cosa intendo quando uso la parola “sogno” nel romanzo. Non è il significato di un momento o di un pensiero vissuto ad occhi aperti, al contrario, vuole essere un obiettivo, un progetto da raggiungere e realizzare usando il pensiero positivo e tutta la fiducia che bisogna avere nei propri confronti e nei confronti appunto del proprio sogno. È sottinteso che per raggiungere un sogno bisogna sudare e lavorare sempre, ogni istante, fino a quando, un bel giorno ci renderemo conto che con l’aiuto dei nostri valori di uomini avremo salito la scala della vita, di gradino in gradino e mai di corsa, per non rischiare di saltarne qualcuno che alla fine poi si potrebbe rivelare quello più importante.
In una pagina del romanzo Lei scrive: “Da bambini sembra di stare come su un treno, dove la mente viaggia, viaggia e non si ferma mai. Le distanze tra noi e le cose sembrano infinite, e i sogni irraggiungibili. Ma quel treno, io non l’ho più visto!”. Abbiamo forse oggi perso la capacità di sognare?
Probabilmente crescendo diventiamo preda di certi meccanismi mentaliche molte volte rendono sterili le nostre emozioni e il nostro modo di concepire l’esistenza. Comunque secondo me le credenze che ci trasciniamo nell’età adulta limitano di molto la nostra fantasia ed è per questo che la mente di un bambino non essendo ancora contaminata riesce ad arrivare in luoghi inimmaginabili usando solamente la semplice magia del sogno.
Quanto mi sta dicendo, mi ricorda un passo del suo romanzo: “Quando si è giovani si ha l’aria spensierata di una dolce fanciullezza a primavera, si bruciano i giorni senza scottarsi, ci si sente padroni del proprio corpo, trascurando di quel corpo l’anima. Si naviga nell’illusione di un’eterna purezza”. È un passo estremamente denso… non c’è forse una tendenza di nostalgica tristezza?
È la saggezza accumulata negli anni che mi fa uscire quelle parole.
Tristezza e nostalgia?
Probabilmente. Non amo la fine di tutto ciò che mi entra nell’anima e che ogni giorno lotta per restarci, soprattutto quando dentro te senti di essere andato oltre il tempo solamente con il corpo en on l’essenza più vera del tuo essere. Comunque quel periodo dell’adolescenza l’ho vissuto bene e pretendo che anche i ragazzi di oggi debbano vivere quella fase così importante per la loro vita futura nel migliore dei modi. È un loro diritto.
A questo riguardo, so che Il sogno di Dèan non è solamente un corto metraggio e un libro, ma anche un progetto, un progetto rivolto proprio ai giovani.
Esatto. Dal libro “Il sogno di Dèan” nasce questa idea oggi divenuta un progetto già entrato inazione da qualche settimana. Il progetto si chiama: “Riaccendiamo i sogni dei giovani” ed è composto da uno staff di tre persone, di cui: il sottoscritto, il professore Diego Polani nonché psicologo della Nazionale Italiana di Nuoto, ed infine il mio editore Giancarlo Bruschini. Questo è un progetto benefico non a scopo di lucro che mira ad accendere di nuovo i sogni di quei ragazzi che purtroppo non sono più in grado di sognare chi per un motivo chi per un altro. L’obiettivo prefisso, a nostro avviso, è quello di ricostruire insieme ai giovani il simbolo del benessere della vita per eccellenza: “Il sogno”.
Perché il sogno?
Si è scelto come simbolo proprio “il sogno”, perché dal nostro punto di vista rappresenta la parte più sana e pulita della mente. Pur non avendo prove scientifiche dalla nostra, siamo pronti a giurare che la mancanza di un sogno da perseguire nel mondo interno di una persona, specialmente se di giovane età, può sicuramente farla deviare in pensieri ed azioni che non rispettano il normale percorso di costruzione e di crescita di un benessere psicofisico.
Il nostro team entra nelle scuole pubbliche italiane per portare i giovani a conoscenza del potere dei sogni e dei valori della vita, quei valori che ormai stanno tramontando sempre più. Oggi i giovani non riescono più a vivere la loro vita in maniera consona.
Ma cosa si intende per non riuscire a vivere?
Con questa, si intende semplicemente la mancanza dei valori fondamentali e dell’assoluta assenza di un percorso di formazione necessario a far sì che una persona possa essere pronta ad affrontare nella vita qualunque difficoltà e non solo. Noi crediamo che per ottenere una determinata serenità nel nostro interno, occorra essere passati prima attraverso un percorso preparatorio che sappia insegnare alla mente come si può conseguire qualsiasi risultato mantenendo costantemente il dovuto equilibrio, equilibrio che altrimenti verrebbe a mancare. Ed ecco che qui entra in gioco il valore e l’importanza del sogno pocanzi accennata nella mente di un giovane.
Qual è lo scopo finale del vostro progetto?
Lo scopo finale è quello di creare una nuova corrente della vita. Una riscoperta della buona quotidianità, del buon comportamento, del buon rispetto, del buon vivere senza la morte dovuta a quei messaggi che non fanno altro che allargare sempre di più quel vuoto esistenziale che soffoca ogni reazione umana. Vogliamo insegnare a perseverare con coraggio e sudore quel sogno che ogni volta è raro ed unico in ognuno di noi, che si contraddistingue pur avendo sempre la stessa matrice: la passione.
Volevo concludere riprendendo un passo del suo libro. Leggo: “Quando intorno a me c’era solamente il buio e il nulla del silenzio, io avanzavo con fede e con maggiore convinzione rispetto ai giorni di sole”. Secondo lei, cos’è che spinge ad andare avanti anche nei giorni bui e di silenzio?
Voglio rispondere con un aforisma di Abraham Lincoln con cui ognivolta apro gli incontri con i ragazzi delle scuole. E dice: “Credere in ciò che puoi vedere e toccare non è affatto credere; ma credere nell’invisibile è un trionfo e una benedizione.” Non c’è nulla di più potente della fede nei confronti di un nostro desiderio. Quando
noi crediamo e sentiamo questa forza che ci viene dal profondo dello stomaco possiamo affrontare e vincere ogni ostacolo, possiamo arrivare ovunque perché non abbiamo limiti se non quelli che ci creiamo noi stessi nella nostra mente.