La storia di Duns Scoto in DVD

Il professore francescano che si oppose a Filippo il Bello, pur di difendere il Papa

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di Paul De Maeyer

ROMA, sabato, 17 marzo 2012 (ZENIT.org).- Il lungometraggio “Duns Scoto”, vincitore al festival cattolico internazionale Mirabile Dictu come migliore film e attore protagonista, è disponibile da pochi giorni in DVD nel circuito delle librerie cattoliche.

Essendo un’opera prima dalla storia molto originale, abbiamo intervistato il produttore, padre Alfonso M. Bruno, responsabile dell’Ufficio Comunicazione del suo Istituto Religioso, per conoscere la genesi e le motivazioni che hanno condotto i Francescani dell’Immacolata (www.immacolata.ws) a cimentarsi nel cinema.

Come nasce questo progetto?

L’idea del film sul beato Giovanni Duns Scoto nasce nel 2007, da un vago desiderio degli studenti di filosofia e teologia dei Francescani dell’Immacolata. Lo scopo era quello di far conoscere maggiormente al grande pubblico il maestro di una scuola di pensiero, nell’approssimarsi del settimo centenario della sua morte. L’anno successivo il progetto ha iniziato a prendere corpo grazie a un lavoro metodico e dedicato che mi ha visto coinvolto per passione, per formazione accademica e per ruolo d’ufficio nella comunicazione del mio Istituto religioso. Dall’idea, quindi si è passati a un progetto e il progetto ci ha condotti verso provvidenziali incontri con “addetti ai lavori” del mondo cinematografico.

Ci racconti il suo incontro con il regista Fernando Muraca.

Il carattere cosmopolita, ma anche la tradizione cinematografica e culturale di una città come Roma, da dove siamo partiti per la pre-produzione, ci ha permesso d’incontrare una serie di persone e personaggi che vivono di cinema. Per un progetto come il nostro, tuttavia, oltre alle capacità artistiche e tecniche era necessaria anche una certa sensibilità religiosa. Interpretare la vita di un religioso del quale la Chiesa riconosce la pratica eroica delle virtù, non poteva prescindere da un minimo di conoscenza ed empatia col mondo del francescanesimo e del medioevo cristiano. Quest’esigenza ha affievolito notevolmente la “rosa dei candidati”, ma paradossalmente proprio questo ci ha permesso di conoscere Fernando Muraca. Pochi, infatti, sono i registi cattolici che si dichiarano tali e che trasmettono i valori della loro fede nella professione. In lui abbiamo intuito da subito la capacità di portare a termine il progetto, grazie alle sue motivazioni professionali, ma anche alla sua fede personale. La scelta in questo caso è stata gratificata. Se da parte dei frati c’è stato l’ottimismo del neofita, da parte del regista c’è stata la sfida di costruire un film qualitativamente valido, dove la logica del profitto non fosse né la priorità, né il movente dell’azione.

Cosa ha portato un frate francescano a voler produrre un film?

C’è sempre stata in me la consapevolezza di quanto lo strumento cinematografico incida sulla cultura della società e la formazione delle coscienze.

Di fronte a un innegabile deficit di contenuti umanizzanti nel nostro cinema contemporaneo, ho sentito la vocazione di scendere in campo personalmente con il supporto del mio istituto religioso.

Il carisma francescano è infatti l’evangelizzazione alle masse con la parola e con l’esempio. Il cinema, come “settima arte”, sintetizza le varie forme di creatività e di espressione artistica, capaci di elevare l’animo umano nella contemplazione del bello, del buono e del vero. Presentare un personaggio realmente esistito, che ha concluso il suo ciclo storico lasciando non solo dottrina, ma esempi di virtù, esplicita questa missione.

Aveva già avuto esperienze lavorative di questo genere?

Il mio istituto religioso, ispirandosi a S. Massimiliano Maria Kolbe, da circa quarant’anni è impegnato nell’attività di apostolato attraverso i mass-media (editoria, radio, televisione). Avevamo già prodotto diversi documentari per la TV, ma per il cinema si è trattato di una prima esperienza di lungometraggio.

Come è stato finanziato questo progetto? Come si è svolta la raccolta dei fondi?

Il film è stato finanziato grazie a una vasta azione di solidarietà che rientra nella dinamica della “questua francescana”. C’è stato il concorso di tantissime persone di buona volontà che cumulando i loro sforzi ci hanno permesso di raggiungere il budget operativo. C’è però da aggiungere che tutti coloro che hanno prestato la loro azione professionale nella realizzazione del film si sono dimostrati poco esosi ed è doppiamente lodevole il fatto che questo non abbia influito negativamente sulla qualità.

Come si è svolta la preparazione logistica del film e quali sono stati i mezzi impiegati?

Per la location la scelta è caduta sull’abbazia di Montelabate, nei pressi di Gubbio. L’ambiente paesaggistico e la presenza di un antico monastero, rispondevano alle nostre esigenze. Alcuni mesi prima dell’inizio delle riprese, il regista stava effettuando in quel luogo il back stage per una grande produzione. Il reggente dell’abbazia, coinvolto e sensibilizzato sulla natura del progetto ha volentieri ceduto a titolo gratuito i luoghi. Premetto che la produzione che ci ha preceduti ha pagato 20mila euro per settimana per la messa a disposizione degli stessi luoghi.

Per gli alloggi, a mezz’ora di automobile da Montelabate, disponevamo di due foresterie annesse al santuario mariano di Canoscio (PG) affidato alla cura pastorale del mio istituto religioso. I miei confratelli hanno volentieri messo a disposizione gli spazi per il pernottamento di attori e troupe.

Per il servizio catering abbiamo improvvisato sul set una cucina nei locali del frantoio dell’abbazia di Montelabate. Per le derrate alimentari abbiamo contato sulla solidarietà di vari conventi di zona e per i cuochi abbiamo coinvolto alcuni confratelli e volontari, studenti di un istituto professionale alberghiero.

Gli spostamenti sono stati assunti dai pulmini dei nostri seminari e dalla buona volontà di confratelli che si sono prestati da autisti.

Anche la logistica prova come con un’azione congiunta e solidale si siano potute sopprimere, ad esempio, le spese alberghiere.

Quali sono le maggiori difficoltà che ha dovuto affrontare?

Penso che la maggiore difficoltà è stata rappresentata dalla logistica e dalla preoccupazione sul set di ottimizzare le risorse disponibili con una certa qualità estetica da dare al film. Altro elemento d’incomodo è stato il clima particolarmente rigido durante le riprese, compresi alcuni giorni di neve. C’è da dire tuttavia che proprio il periodo climaticamente avverso ha facilitato la disponibilità di persone e luoghi che difficilmente avrebbero forse lavorato nei primi giorni di gennaio.

Si occupa anche lei della distribuzione del film ?; quali strade sono state intraprese fino ad ora e quali ha intenzione di percorrere?

Per la distribuzione del film, prima di parlare del circuito dell’home video, vorrei premettere che in fase di post produzione la Technocolor di Roma ha voluto regalarci la pellicola. Normalmente una pellicola costa settemila euro, ma gli impresari di questa società, dopo essere venuti a conoscenza della storia singolare di questo film, lodando la qualità fotografica, hanno voluto gratificarci con questo dono inaspettato. Il fatto di disporre di una pellicola di celluloide ci offre la possibilità di fare proiezioni anche nelle sale cinematografiche e infatti abbiamo presentato delle anteprime ad Ischia, Ferrara, Pesaro, Torino. Altro colpo di scena è stata la proposta degli organizzatori della Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid 2011 di presentare questo film nelle giornate culturali a Fuencarralles. Coltiviamo il desiderio di far vedere il film al papa Benedetto XVI, data la sua particolare sensibilità
culturale e filosofica. Nei nostri progetti, dopo la distribuzione nel circuito home video in atto, c’è il desiderio di approdare a qualche rete televisiva nazionale, in Italia e all’estero, continuare a concorrere a qualche festival cinematografico del settore e tentare il circuito delle sale parrocchiali che rappresentano una quota non trascurabile di potenziali spettatori.

Ha intenzione di ripetere l’esperienza e di cimentarsi ancora nella produzione di altri film?

Stiamo già lavorando al soggetto di altre produzioni cinematografiche. La prima presenterà la storia di due sposi italiani, i coniugi Manelli, dei quali è in corso il processo di beatificazione per la loro generosa apertura alla vita. Accolsero numerosi figli sotto la guida spirituale di un santo come p. Pio da Pietrelcina. L’adesione della loro volontà a un progetto di vita che richiedesse tanta fede e sacrificio è un esempio oggi a quei giovani che mancano di speranza e di fede e traducono questo loro vivere nell’incertezza decisionale da un punto di vista affettivo e genitoriale.

Come si è sentito quando ha trovato degli artisti e tecnici disposti a realizzare il film?

Ho pensato che malgrado tutto, c’è ancora tanta bontà su questa terra. Ho scoperto un mondo nuovo, di persone a cui piace il proprio lavoro, piene di talenti, ma anche non per questo avide. Il bene, purtroppo non fa notizia, ma è il motore della nostra società e merita maggiormente di essere propagandato. Oltre ad evangelizzare attraverso il cinema, penso che il mondo stesso del cinema sia un luogo di evangelizzazione. Se aiutassimo gli operatori del cinema a valorizzare la propria vita spirituale, potremmo trasformare anche i contenuti dal cinema stesso da banali e dissacranti a umanizzanti ed edificanti. Ho celebrato ogni giorno la S. Messa sul set. Da tre persone iniziali siamo arrivati a trenta e qualcuno si è anche confessato in tutta spontaneità e libertà.

La cultura cristiana ha tanto da dare anche al mondo del cinema e spero che con il nostro esempio, altri produttori d’ispirazione cristiana possano percorrere la stessa esperienza in una nobile emulazione.

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ZENIT Staff

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