di Paolo Lorizzo*
ROMA, sabato, 17 marzo 2012 (ZENIT.org).- Nonostante la piccola e dimessa facciata tardo-cinquecentesca, la chiesa di S. Omobono a Roma nasconde al suo interno e sotto di essa millenni di storia cristiana e pagana ancora non del tutto svelati, a pochi passi da un altro interessante edificio ecclesiastico, quello della chiesa di S. Maria della Consolazione.
La chiesa di S. Omobono e l’attigua area archeologica sono situate in un’area quasi completamente nascosta a chi è coinvolto dal caos cittadino romano. Solo con un po’ d’attenzione sono infatti visibili all’altezza di quella che un tempo veniva definita ‘via del Mare’ (le attuali via Petroselli e via Teatro di Marcello), a poca distanza dal ben più noto Teatro di Marcello e dalla chiesa di S. Nicola in Carcere.
Alla fine degli anni ’30 del secolo scorso, l’intero isolato, comprendente anche la chiesa di S. Omobono, era destinato ad una radicale sistemazione con l’abbattimento di tutti gli edifici esistenti per costruirvi al loro posto uffici del Governatorato. Fortunatamente i primi ritrovamenti indussero le autorità a modificare radicalmente il progetto, prevedendo non soltanto le indagini archeologiche, ma anche la tutela dell’edificio ecclesiastico.
Gli scavi rivelarono una situazione stratigrafica estremamente interessante, ponendo in luce strutture riconducibili ad un periodo storico piuttosto arcaico. La fase più antica infatti (escludendo quella relativa alle capanne protostoriche e a un podio cultuale di cui ormai non rimane alcuna traccia), databile intorno al 575/550 a.C., consiste nella fondazione di un podio che probabilmente accoglieva due unità templari ben distinte.
Le fonti fanno risalire la fondazione del tempio di tipo etrusco-italico ad opera di Servio Tullio, dedicandolo alle divinità della Fortuna e della Mater Matuta, quest’ultima protettrice delle natalità e dea della luce del mattino. La piattaforma era quadrata e sormontata da una struttura costruita in mattoni crudi con due colonne all’ingresso e un tetto in legno e paglia.
In seguito ad una radicale ristrutturazione (probabilmente in seguito ad un incendio) il tempio venne posizionato sopra una piattaforma rettangolare. E’ questa la fase che ha restituito, tra l’altro, una straordinaria quantità di materiale archeologico consistente in grandi placche e lastre di rivestimento in terracotta con processione dei carri e un deposito votivo con materiale d’importazione proveniente dall’Etruria, dalla Grecia e dall’Egitto.
Uno dei reperti di assoluto valore storico-scientifico è una placchetta in avorio raffigurante un leone e riportante sul retro una breve iscrizione etrusca.
Con la fine del periodo regio e l’avvento della Repubblica (tradizionalmente iniziata nel 509 a.C.) l’area venne sopraelevata di quasi sei metri e la superficie rivestita di lastre di ‘cappellaccio’, al di sopra della quale vengono ricostruiti i due templi con orientamento differente rispetto ai precedenti. Entrambi presentavano quattro colonne in antis, cioè inserite nel perimetro del tempio e fiancheggiate dai muri laterali, con la cella cultuale addossata alla parete di fondo.
Un’ulteriore rifacimento avvenne all’inizio del IV secolo a.C. con la costruzione nella parte antistante la facciata dei templi di un’area rettangolare ai cui lati due are cultuali orientate ad est e al centro un donario, una sorta di podio destinato ad accogliere alcune statuette di bronzo.
Numerosi rifacimenti caratterizzano la storia dell’area templare (fino addirittura al IV-V secolo in piena epoca cristiana), quando l’intera area venne abbandonata per circa un secolo fino alla costruzione, sulle rovine del tempio di Mater Matuta della chiesa di S. Omobono, avvenuta nel VI secolo. Gli scavi al di sotto della pavimentazione della chiesa hanno rivelato alcune precedenti pavimentazioni tra cui una realizzata dai Cosmati del XII-XIII secolo e un’altra in lastre di marmo di recupero, probabilmente pertinente alla fase più antica, quella paleocristiana.
I più antichi documenti ufficiali della chiesa risalgono al 1470, poco prima di un totale rifacimento avvenuto nel 1482 grazie ad una donazione di Stefano de Baronilis, la cui tomba è stata collocata all’interno. L’edificio venne letteralmente ‘ruotato’ in direzione del vicus iugarius, la strada che anticamente collegava il foro Boario con le pendici meridionali del Campidoglio, facendogli assumere l’attuale aspetto. Venne inizialmente dedicata a S. Salvatore in Portico e successivamente, a partire dal 1575 a S. Omobono, quando venne concessa all’Università dei Sarti, il cui stemma è ancora visibile nella cupola absidale.
L’interno è a navata unica (di andamento irregolare perché condizionata dalle sottostanti costruzioni romane) con un’abside poligonale e copertura a cupola e presenta al suo interno un magnifico affresco di Pietro Turini della scuola di Antoniazzo Romano, rappresentante il Salvatore in Gloria e la Madonna in trono col Bambino tra i Ss. Stefano e Alessio. Interessante la presenza nella lunetta della terza arcata di sinistra un’originale iconografia del Padre Eterno, nel ruolo di ‘sarto divino’ che infila una pelliccia ad Adamo, il primo uomo, del XVII secolo.
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.