ROMA, venerdì, 16 marzo 2012 (ZENIT.org) – Per tre decenni le sorti dello Zimbabwe sono state legate al presidente Robert Mugabe. Un accordo di condivisione del potere aveva suscitato speranze per un cambiamento delle sorti politiche del Paese africano ma finora è cambiato ben poco.
In collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), Marie Pauline Meyer ha intervistato per Where God Weeps (Dove Dio Piange) monsignor Martin Munyanyi, vescovo della diocesi di Gweru.
Qual è attualmente il clima politico nello Zimbabwe?
Monsignor Martin Munyanyi: Posso dire che dopo l’accordo politico le cose sono migliorate. Le tensioni sono diminuite. Le persone tendono a concentrarsi su ciò che stanno facendo, ad esempio, cercando un modo per promuovere il riscatto nazionale, la riconciliazione e lo sviluppo.
A volte sembra che non sia facile per i vescovi cattolici dello Zimbabwe di parlare della situazione politica nel Paese. Perché?
Monsignor Martin Munyanyi: Noi siamo, per così dire, non impegnati nella politica, ma ci stiamo aiutando a vicenda per trovare insieme una soluzione ai nostri problemi. E persino il governo, a volte, dice: “Abbiamo bisogno del vostro aiuto. Abbiamo bisogno delle vostre preghiere, lavoriamo tutti per il benessere del popolo”.
Talvolta i leader politici dicono che dovete occuparvi della Parola di Dio, della Bibbia e non interferire con la politica. Qual è la vostra risposta?
Monsignor Martin Munyanyi: Tocchiamo i settori che riguardano la morale. Cerchiamo di giudicare se quello che sta succedendo è moralmente buono o cattivo. Scoraggiamo ciò che è moralmente cattivo e incoraggiamo ciò che è buono: ad esempio, nella nostra lettera pastorale abbiamo ribadito la necessità di riscatto della nazione, riconciliazione e sviluppo.
Per quale motivo?
Monsignor Martin Munyanyi: Vogliamo la riconciliazione per il bene dello sviluppo e della pace. Se vogliamo la pace dobbiamo lavorare per la giustizia, non in termini di “occhio per occhio, dente per dente”, ma una giustizia che includa sempre perdono e riconciliazione. Questo è il nostro insegnamento.
Può darci un esempio di ciò che è andato storto?
Monsignor Martin Munyanyi: Eravamo abituati ad avere le nostre differenze tra tribù, che hanno causato sofferenza da entrambe le parti. Diciamo: perdoniamoci reciprocamente. Eravamo uniti durante la guerra di indipendenza, quando avevamo un nemico comune, il regime dei Bianchi. Dopo l’indipendenza è scoppiato un altro conflitto tra le tribù Shona e Ndebele. C’è stata una lotta terribile e spargimenti di sangue. Poi c’è stato un altro conflitto armato, dovuto all’affiliazione ai vari partiti politici. Vale la pena ripeterlo: cerchiamo di superare questo conflitto e riconciliamoci.
La gente è pronta a superare queste differenze?
Monsignor Martin Munyanyi: Alcuni lo sono, altri dicono che non è il momento giusto perché il conflitto è ancora in corso, ma tutti stiamo dicendo la stessa cosa: non c’è un momento più opportuno dell’attuale. Non è come fischiare e dire “riconciliatevi”. No, è un processo come qualsiasi famiglia in cui marito o moglie litigano e noi chiediamo loro di riconciliarsi, ma questo non significa che domani non saranno di nuovo in conflitto. Quindi stiamo cercando di fare le cose per bene, incoraggiando questo processo di riconciliazione, che dovrebbe includere anche l’uso del sacramento della Penitenza.
Qual è la più grande sfida che Lei affronta nella sua diocesi di Gweru?
Monsignor Martin Munyanyi: Una sfida perenne è come gestire la diocesi; i fondi sono difficili a reperire. La gente è volenterosa. Sono cresciuti in affidamento spirituale, ma non hanno le risorse finanziarie. La mia diocesi è circondata da miniere, che sono però chiuse, a causa del basso prezzo dei minerali. Le persone che costituiscono la comunità sono in gran parte disoccupate. Di conseguenza, non possono sostenere i nostri progetti, sono molto disponibili, ma non hanno le risorse. Persino nelle zone rurali dove la gente dipende dall’agricoltura, vengono spesso colpite da un cattivo raccolto a causa della mancanza di piogge in determinate stagioni. Queste sono le difficoltà che dobbiamo affrontare.
Cos’altro può offrire Lei a loro, al di fuori del cibo?
Monsignor Martin Munyanyi: Questa era la mia preoccupazione come sacerdote e seminarista, ma ho scoperto che hanno fame della Parola e più si dà loro la Parola, più tornano a casa soddisfatti, andando avanti con la Parola come loro guida. Porta loro la speranza anche nei momenti di sofferenza ed è per questo che godiamo la pace in mezzo ai problemi del nostro Paese.
Eppure, molta gente, soprattutto i giovani, lascia il Paese.
Monsignor Martin Munyanyi: Sì, molti hanno lasciato il Paese dal 2000, tra cui molti professionisti. Alcuni stanno pensando ad un ritorno a causa della situazione, che è promettente, ma non sono molti.
Lei stesso ha mai pensato di lasciare?
Monsignor Martin Munyanyi: Non mi è mai venuto in mente perché volevo stare con la mia gente, “che piova o non piova”. Ho sempre avuto una passione per il mio popolo.
Qual è il suo motto episcopale?
Monsignor Martin Munyanyi: “La Parola di Dio ci dà la vita” è il mio motto e vorrei che tutti gli uomini e le donne abbiano la vita, la vita che proviene dalla proclamazione della Parola. Il mio brano preferito della Bibbia è Numeri 11,25-30, ed auspico che tutti saranno riempiti dello Spirito Santo. Vorrei che tutti siano fedeli allo spirito di Dio, sappiano “parlare come profeti, essere predicatori”. E questo aiuterà tutto il popolo di Dio a raggiungere la Terra Promessa. Con la Parola di Dio proclamata da tutti, dovrebbe aiutare tutti ad entrare in cielo.
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Questa intervista è stata condotta da Marie Pauline Meyer per Where God Weeps, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network, in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre.
In rete:
Aiuto alla Chiesa che soffre: www.acn-intl.org
Aiuto alla Chiesa che soffre Italia: www.acs-italia.glauco.it
Where God Wheeps: www.wheregodweeps.org
[Traduzione dall’inglese a cura di Paul De Maeyer]