L'aborto e l'infanticidio

La riscoperta del pendio scivoloso

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di Padre John Flynn, LC

ROMA, lunedì, 12 marzo 2011 (ZENIT.org) – “Quando io uso una parola – disse Humpty Dumpty in tono piuttosto sprezzante – essa significa solo ciò che io voglio che significhi. Né più né meno”.

Sebbene questa citazione da Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, di Lewis Carroll, sia tratta da una fiction narrativa, è molto adatta per descrivere l’articolo pubblicato il 23 febbraio sul Journal of Medical Ethics dal titolo L’aborto dopo la nascita: perché il bambino dovrebbe vivere?.

Gli autori, Alberto Giubilini e Francesca Minerva, studiosi di base a Melbourne, in Australia, sostengono che “ciò che noi chiamiamo ‘l’aborto dopo la nascita’ (l’uccisione di un neonato) dovrebbe essere consentito in tutti i casi in cui lo è l’aborto, anche nei casi in cui il neonato non è handicappato”.

L’aborto è consentito di regola quando il feto è affetto da qualche tipo di malformazione o malattia, o persino per ragioni economiche, sociali e psicologiche, hanno dichiarato. E in Olanda, secondo il Protocollo di Groningen del 2002, i neonati che hanno una “prognosi senza speranza” possono essere uccisi.

Invece della terminologia, universalmente accettata, di infanticidio per descrivere tale procedura hanno adottato il neologismo “dopo la nascita”.

“Lo stato morale di un bambino è equivalente a quello di un feto, nel senso che ad entrambi mancano quelle proprietà che giustificano l’attribuzione di un diritto alla vita ad un individuo”, hanno proclamato gli autori.

Essi non hanno posto alcun limite su quanto tempo dopo la nascita il cosiddetto “aborto” dovrebbe essere consentito, salvo notare che normalmente qualsiasi tipo di disabilità viene scoperto nel giro di pochi giorni. Quando la giustificazione è per motivi non medici, gli autori hanno omesso anche qualsiasi periodo di tempo, dicendo che dipendeva solo dallo sviluppo neurologico dei neonati.

Discussione ragionevole

Non desta sorpresa che l’articolo di Giubilini e Minerva, abbia suscitato molte critiche. In risposta, l’editore del Journal of Medical Ethics, Julian Savulescu, ha scritto il 20 febbraio nel blog della rivista che non era inquietante la loro proposta di aggiungere “dopo la nascita” ma lo erano le reazioni ostili a ciò che ha definito “qualsiasi genere di discussione ragionevole”.

In una lettera aperta, pubblicata il 2 marzo sul sito web della rivista, gli autori dell’articolo si sono dichiarati stupiti per le reazioni ostili, dicendo che “doveva essere un puro esercizio di logica”.

La loro tattica di descrivere l’articolo come un esercizio intellettuale è stata anticipata da Bill Muehlenberg in un articolo pubblicato il giorno prima sul sito web australiano Line Opinion.

“Nei decenni precedenti all’Olocausto, ci sono state molte prese di posizioni accademiche e pronunciamenti, che hanno spianato la strada a quello che Hitler e i nazisti hanno fatto”, ha affermato.

“Utilizzare l’aula scolastica e le riviste accademiche per difendere il caso, con freddezza e con calma, di uccidere bambini non è indice di professionalità e di progresso – ha spiegato -. È un segno di barbarie e di regresso”.

Le idee hanno conseguenze, ha affermato, a sua volta, Trevor Stammers in un articolo pubblicato il 5 marzo sul sito Mercator Net.

“Per dirlo con parole semplici, ogni rivoluzione sociale inizia con un’idea e le idee di Giubilini e di Minerva non sono un’eccezione e hanno rilevanza al di là del mondo accademico”, ha detto.

Come genitore di un bambino con la sindrome di Down, i loro argomenti mi nauseano, ha dichiarato David Warren, scrivendo nell’edizione del 2 marzo del quotidiano canadese The Ottawa Citizen.

È vero, ha ammesso, che altri, come il bioeticista Peter Singer, hanno già sostenuto l’infanticidio. D’altronde, ha spiegato, Singer difende anche l’accettazione della bestialità.
Uccidere bambini e andare a letto con le scimmie: per la cricca etica è OK: è il titolo dell’articolo di Rod Liddle sul Sunday Times dello scorso weekend.

Descrivendo l’articolo come la resa imperfetta di Peter Singer, Liddle l’ha ridicolizzato, dicendo che mancava non solo di senso comune ma ogni logica.

In Scotland on Sunday, il commentatore Gerald Warner ha osservato che “il luogo più pericoloso sulla terra per un bambino scozzese è il grembo materno. Nel 2010, la mortalità infantile ha provocato la morte di 218 bambini; l’aborto ne ha ucciso 12.826”.

Nichilismo etico

Mentre la promozione dell’“aborto dopo la nascita” potrebbe essere un buon esempio di quello che ha definito “nichilismo etico”, Warner ha osservato che gli autori hanno fatto un favore alla causa pro-vita. “Abbandonano gli eufemismi subdoli, le bugie e le imposture anti-scientifiche della lobby pro-aborto e chiamano la spada una spada”, ha affermato.

Sull’australiano Daily Telegraph, Andrew Bolt ha scritto: “In effetti, non c’è un confine netto, una volta che hai cancellato la linea assoluta nella sabbia: non uccidere il bambino nel grembo materno”.

Il pendio scivoloso esiste, ha sostenuto, e questo caso dimostra quanto può diventare scivoloso.

Il 7 marzo, Barney Zwartz, editorialista religioso del quotidiano Age di Melbourne (Australia) ha scritto che un passo fatale è stato compiuto nel corso del dibattito sulla vita in cui il concetto di “qualità della vita” ha sostituito quello di “valore della vita” in tali discussioni.

Anche il padre di un bambino con Down, ha detto: “Non è in alcun modo una giustificazione rivendicare che si sta seguendo una logica. La logica è un mezzo, la cui utilità dipende dalle premesse con le quali funziona; non è un bene in sé”.

Questi fermi principi morali sono tacciati di essere “troppo rigidi”. L’episodio qui citato dimostra cosa diventa l’essere “flessibile”, quando si ha a che fare con i principi morali fondamentali.

[Traduzione dall’inglese a cura di Paul De Maeyer]

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ZENIT Staff

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