di Maurizio Soldini
ROMA, sabato, 10 marzo 2012 (ZENIT.org).- Il libro Fino a quando? La rinuncia ai trattamenti sanitari1, del bioeticista Mario Picozzi dell’Università dell’Insubria e delle sue collaboratrici Vanna Consolandi e Silvia Siano, uscito da poco per le Edizioni San Paolo, si pone come problematica di fondo l’identificazione di criteri clinici e morali da seguire nella pratica clinica soprattutto nei confronti di pazienti in situazioni di fine vita. Fino a quando è possibile da una parte rinunciare alle cure e dall’altra prendere atto della rinuncia? Con che criteri? I criteri sono ad uso soprattutto del medico, ma tengono in alta considerazione non solo una criteriologia clinica, dalla parte del medico, ma anche una criteriologia esistenziale, sia dalla parte del medico che da quella del paziente e dei suoi familiari. Un fatto è più volte sottolineato: il decisore ultimo è il paziente. Infatti si lascia spazio alla volontà del paziente, dando luogo ad uno spazio della libertà “rispettoso delle storie individuali, all’interno del quale è possibile scegliere l’azione buona”.
Gli Autori sono convinti che la criteriologia da loro adottata rientra “coerentemente nella posizione personalista e nell’insegnamento magisteriale, consentendo una sua più appropriata applicazione alla luce delle nuove possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico nella cura delle persone nella fase terminale della vita”. In sintesi i criteri sottolineano che la condizione morbosa del paziente sia irreversibile, ingravescente e a prognosi infausta; che il paziente abbia presentato forme di resistenza alla terapia; che si tenga presente la possibile gradualità della rinuncia ai trattamenti; che si riconosca il valore simbolico dei gesti di cura. Importante sottolineare la possibilità morale da parte del paziente di rinunciare ai trattamenti, che non significa una scelta di fatto, la quale implica comunque il giudizio e la volontà di tutti gli attori coinvolti, quale il medico stesso e i parenti, che possono avere anche loro la parola. Parola che si confronta dialogicamente ed empaticamente con quella del paziente ai fini dell’azione migliore possibile nel contesto di una vita buona per tutti gli agenti morali.
La finalità della trattazione del libro rappresenta anche un possibile risvolto normativo con il contributo della bioetica con angolazione personalistica alla legge sul fine vita in Italia, tenendo in considerazione come le riflessioni fatte nel libro siano consonanti con la legge francese del 2005 relativa ai diritti dei malati e alla fine della vita. Va però considerato che la cifra del libro di Picozzi e collaboratrici sta tutta nella sottolineatura dell’importanza degli aspetti teorici, antropologici e pratici, che tentano di dare fondamento alla trattazione del problema della rinuncia ai trattamenti sanitari nel tentativo di offrire un modello di ragionamento etico alla sua soluzione. Inoltre la cifra della trattazione sta tutta nell’importanza data alla narrazione, colta come momento essenziale alla base della criteriologia adottata, che sottolinea la complessità e l’irripetibilità di ciascuna storia, che soltanto prospettive filosofiche come la fenomenologia e l’ermeneutica riescono a far abitare nel contesto di un personalismo relazionale forte.
Difatti il relativismo e il solipsismo sono banditi da un approccio come quello di questo libro, che si accampa invece sulla dimensione della priorità dei vissuti che si crogiolano di quella relazione empatica, che rappresenta il sale della relazione biunivoca dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente in vista del rispetto dovuto ad una vita piena di senso nelle more di raggiungere la bontà della stessa, per se stesso e per l’altro.
Inoltre, ancora una volta, non va dimenticata l’importanza dell’etica delle virtù, in cui la fanno da padrone la virtù della prudenza e quella della misericordia. Al fine di raggiungere il bene, bene non solo medico, ma bene esistenziale, in primis per il paziente, ma anche per il medico. In una dimensione aderente alla concretezza casistica, e nel libro vengono offerti dieci casi clinici, dieci storie diverse, per rappresentare al meglio la complessità della singolarità di ciascuna persona, a scanso degli equivoci spesso creati da una trattazione asettica e astratta delle tematiche bioetiche.
Ogni storia, sia vera (presente nella realtà quotidiana) o fittizia (presente nelle storie della letteratura o del cinema), è troppo importante per la bioetica. Perché evidenzia la complessità dei caratteri. Caratteri non appiattiti sul biologismo e sul naturalismo, ma caratteri vivificati dalla spiritualità di una libertà, la quale rimane l’ultima spiaggia. Ma questo non significa che la libertà sia fissa e necessitata e irrelata. Tutt’altro. La libertà si gioca tutta sullo stretto rapporto della volontà e dell’intelligenza. E in questo il raccontare storie può fare molto nel dare dinamismo ai fini della plasticità di un carattere che può riuscire a mettere in atto le capacità a fare bene. E questo vale per tutti gli uomini, nel caso specifico per i pazienti come per i medici e per tutti gli operatori sanitari.
1 Mario Picozzi, Vanna Consolandi, Silvia Siano Fino a quando? La rinuncia ai trattamenti sanitari, Edizioni San Paolo, 2012 .