La fede e il paese dei balocchi

Nuovo messaggio del Vescovo di Locri-Gerace in vista dell’Anno della fede

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di Eugenio Fizzotti

ROMA, venerdì, 9 marzo 2012 (ZENIT.org) – Continuando a sollecitare la preparazione per l’anno della fede Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, Vescovo di Locri-Gerace, ha inviato a tutta la diocesi un nuovo messaggio dal titolo “La fede e il paese dei balocchi” che egli stesso definisce sia “strano” che “espressivo” «per tradurre in una immagine certe attese sbagliate che alcuni ripongono nella fede».

E ritiene che «tali attese sono riscontrabili anche nell’espressione di Pietro a Gesù mentre si godeva lo spettacolo della Trasfigurazione (Lc 9, 28-36): Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè ed una per Elia. Pietro parlava pieno di entusiasmo, chiedendo che quell’esperienza non finisse mai, senza accorgersi, però, che nel frattempo Gesù, Mosè ed Elia parlavano di un fatto più drammatico, quello della prossima crocifissione e morte di Gesù.

L’abbinamento delle cose, se Pietro fosse stato attento, doveva essere un segno chiaro che la gioia della trasfigurazione era solo momentanea e, in funzione dello scandalo della croce, non poteva essere duratura. Ma Pietro era completamente fuori della realtà e non riusciva a capire la lezione che Gesù voleva impartire con quel prodigio». 

Con estremo realismo, ma certo non fonte di disistima e di disprezzo, Mons. Morosini ritiene che «molti cristiani pensano la fede in Dio come una sorte di immunità contro ogni difficoltà della vita, come una situazione di garanzia assoluta di fronte al male e di immunità di fronte ad esso.

Spesso si pensa che, se uno crede in Dio e osserva la sua legge e lo onora con il culto pubblico e privato, la sua vita deve scorrere felice e tranquilla, senza gli imprevisti del dolore e della morte, senza le difficoltà del lavoro, delle incomprensioni nelle relazioni reciproche, senza l’ingiustizia e la violenza: una sorte di paradiso terrestre, senza la maledizione dopo il peccato: la terra produrrà triboli e spine; con il sudore della fronte mangerai il pane (Gn 3, 16-19)».

 Un simile atteggiamento alimenterebbe «l’illusione che la fede segni l’ingresso nel paese dei balocchi, dove si può trovare solo divertimento e felicità e nel quale voleva andare a vivere il burattino Pinocchio, stanco delle fatiche scolastiche e di quelle nella bottega di mastro Geppetto».

La conseguenza sarebbe sia «la delusione, la sfiducia, la perdita della fede» che il dimenticare che «il superamento di ogni sofferenza e di ogni conflitto, la stessa sconfitta della morte, nella Bibbia sono riservate all’eternità, secondo il libro dell’Apocalisse: Vidi la città santa, la nuova Gerusalemme scendere dal cielo, da Dio… e tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate… io faccio nuove tutte le cose (Ap 21,1-5)».

Il vero cristiano, che riconosce il richiamo di Gesù a una valutazione del senso della vita, comprende anche che «il rapporto con il mistero della paternità di Dio non può limitarsi al tempo presente, ma deve abbracciare la vita dell’uomo nel tempo e nell’eternità».

E ciò comporta un prendere posizione chiara e decisa contro la cultura secolarizzata dei nostri giorni che «ha staccato la vita nel tempo da quella che ci attende nell’eternità santa e allora noi, che non riusciamo più a varcare l’orizzonte del tempo e dello spazio, vogliamo che Dio, se esiste, deve darci nel tempo quanto solo l’eternità può darci.

Vogliamo che la prova dell’esistenza di un Dio, che è Padre e Provvidenza, consista  nel fatto che questa vita sia lunga, felice, ricca, senza problemi, senza fatica, senza contrasti nel nostro anelito verso la felicità, al limite neanche senza quei contrasti che scaturiscono da una legge morale naturale e perciò assoluta».

 Dopo aver richiamato che «l’esperienza del limite per tanti è una prova che Dio non c’è o per lo meno che non è il Padre che ci ama e provvede ai nostri bisogni» il Vescovo di Locri-Gerace sottolinea che «potrebbe essere un’invenzione o per lo meno un essere astratto che nulla ha a che vedere con la storia degli uomini.

E tutto questo perché? Perché, come scolaretti ai quali non piace il sacrificio di stare tra i banchi, non ci conduce nel paese dei balocchi, dove è solo divertimento e spensieratezza».

 Molto opportuno e utile per la formazione è il richiamo ai grandi credenti della storia che hanno vissuto in profondità e coerenza il rapporto di fede con Dio, come ha fatto Abramo, considerato padre della fede, al quale Dio, nel quale egli credeva, «non ha mai garantito una vita facile e senza difficoltà o problemi e, quando lo ha invitato a lasciare la terra dove egli abitava per recarsi nella terra che gli avrebbe dato in dono, non gli promise una sorta di città dei balocchi, ma lo legò a sé con una promessa: Farò di te un grande popolo (Gn 12, 2); Guarda in cielo e conta le stelle… tale sarà la tua discendenza (Gn 15,5)».

E se Abramo fu lodato da Dio perché credette ancora nella sua promessa di dargli una lunga discendenza, è significativo il richiamo alla Scrittura che dice di lui: Ebbe fede sperando contro ogni speranza (Rm 4, 18).

Ecco perché Mons. Morosini ricorda a tutti i membri cattolici della sua diocesi che «Dio, chiamandoci a una fede che deve essere totale abbandono in lui, vuole che lo sentiamo vicino e nel mistero della morte e risurrezione di Gesù vediamo la prefigurazione di ogni nostra vicenda umana».

La vera fede è matura dunque nella misura in cui tutto ciò che accade venga contrassegnato dal passaggio dal dolore alla gioia, dalla morte alla vita, cosa che è ben altro che il paese dei balocchi!

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ZENIT Staff

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