di Luca Marcolivio
CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 7 marzo 2012 (ZENIT.org) – A conclusione del suo ciclo di catechesi sulla preghiera di Gesù, in occasione dell’Udienza Generale, papa Benedetto XVI si è soffermato sul valore del silenzio nel rapporto dell’uomo con Dio.
Il silenzio di Dio più eloquente, ha spiegato il Papa, è quello di Cristo in croce, dove “il Verbo ammutolisce, diviene silenzio mortale” (cfr. Verbum domini). Si tratta tuttavia di un silenzio che parla, poiché la crocifissione del Signore “è profondamente rivelatrice della situazione dell’uomo che prega e del culmine dell’orazione”.
Il silenzio è fondamentale per far spazio alla Parola di Dio: esso dovrà essere “interiore ed esteriore”. Il raccoglimento non è semplice nel nostro tempo, tanto è vero che talvolta “si ha l’impressione che ci sia paura a staccarsi, anche per un istante, dal fiume di parole e di immagini che segnano e riempiono le giornate”, ha osservato il Pontefice.
Citando ancora la Verbum Domini, il Santo Padre ha ricordato la “grande tradizione patristica” che ci insegna che “i misteri di Cristo sono legati al silenzio e solo in esso “la Parola può trovare dimora in noi, come è accaduto in Maria, inseparabilmente donna della Parola e del silenzio”.
Il tema del silenzio, ha sottolineato ancora Benedetto XVI, è fondamentale anche per la liturgia: “per facilitare un ascolto autentico”, le messe devono essere “ricche di momenti di silenzio e di accoglienza non verbale”. E a tal proposito ha citato Sant’Agostino che affermava: Verbo crescente, verba deficiunt (“Quando il Verbo di Dio cresce, vengono meno le parole umane”).
Il silenzio è “capace di scavare uno spazio interiore nel profondo di noi stessi, per farvi abitare Dio, perché la sua Parola rimanga in noi, perché l’amore per Lui si radichi nella nostra mente e nel nostro cuore, e animi la nostra vita”, ha proseguito.
Oltre all’apertura all’ascolto, che implica il silenzio dell’uomo davanti a Dio, c’è l’aspetto del silenzio di Dio che, tuttavia, “non segna la sua assenza”. Il silenzio è fondamentale per aprirci a Dio e “conoscerlo realmente”, come sperimenta Giobbe che, dopo aver perso tutto quello che ha di più caro, ammette che prima conosceva Dio solo per “sentito dire” (Gb 42,5).
Gesù ci insegna a pregare, mostrandoci “la purezza del cuore, che cerca il Regno e perdona i nemici; la fiducia audace e filiale, che va al di là di ciò che sentiamo e comprendiamo; la vigilanza, che protegge il discepolo dalla tentazione” (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n°54).
Nell’esempio di Cristo apprendiamo la preghiera come momento cruciale per “interpretare la nostra vita”, per “operare le nostre scelte”, per “accogliere la nostra vocazione” e per “scoprire i talenti che Dio ci ha dato” per compiere la Sua volontà e realizzare la nostra esistenza.
Il momento culminante della preghiera di Cristo al Padre è però soprattutto il grido che Gli rivolge dalla croce, nel quale confluiscono “tutte le angosce dell’umanità di ogni tempo, schiava del peccato e della morte, tutte le implorazioni e le intercessioni della storia della salvezza”, che alla fine il Padre accoglie e, “al di là di ogni speranza, le esaudisce risuscitando il Figlio suo” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2598).