Dietro quel volto sfigurato si cela la Bellezza

Durante la seconda via crucis quaresimale ambrosiana, il cardinale Scola cita Jacopone da Todi e Charles Peguy

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MILANO, mercoledì, 7 marzo 2012 (ZENIT.org) – Se Dio è onnipotente perché esiste il male? È un interrogativo più che mai presente nella società contemporanea ed è stato al centro delle riflessioni del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, durante la seconda via crucis quaresimale celebrata ieri sera nel Duomo.

Come ricordato dal cardinale Scola nella monizione iniziale è il Catechismo a sancire che “Dio non è in alcun modo, né direttamente, né indirettamente, la causa del male” (CCC n°57). La fine di Gesù in croce, tuttavia, illumina il mistero del male, con Dio che, “nel Figlio incarnato, si carica sulle spalle il no degli uomini”.

La IV stazione – Gesù incontra la madre – è un emblema dell’autentica com-passione cristiana. “La Madre è venuta incontro al Figlio e si strugge per l’impotenza ad arrestarne il supplizio”, ha commentato l’arcivescovo di Milano.

Scola ha poi citato due grandi poeti, i cui versi immortali sono ispirati proprio alla IV stazione: Jacopone da Todi (“Figlio bianco e vermiglio”) e De Victoria (“I miei occhi sono annebbiati dalle mie lacrime: considerate, popoli tutti, se c’è un dolore come il mio”).

Indicando il quadro di Gaetano Previati, Via Crucis – Gesù incontra la madre, presente in Duomo per l’occasione, il cardinale Scola ne ha colto l’aspetto di Maria che precede la piccola compagnia che segue il Figlio, così come ogni madre è “chiamata a condurre il figlio al padre”.

Nella V stazione – Gesù è aiutato dal Cireneo – l’arcivescovo ha riflettuto sulla “straordinario privilegio di una collaborazione, benché minima, con l’opera di salvezza di Gesù”. Un incontro, quello tra Cristo e Simone di Cirene, di “assoluta gratuità”: pur segnato dal dolore e dalla sofferenza, questo evento “apre nell’esistenza umana lo spazio della felicità”.

L’episodio del Cireneo è un segno della com-passione che si trasforma in solidarietà, come “fattore di coesione sociale” che ci spinge fino a “farci carico del male e del dolore di coloro che non riescono a portarlo sulle proprie spalle”.

La Veronica, protagonista della VI stazione, è invece colei che riesce a riconoscere il santo volto di Gesù, “anche sotto la maschera ripugnante della sofferenza”. Proprio dietro quel volto sfigurato si cela la Bellezza, dell’“Impotente capace” (per usare un’espressione di Charles Peguy), del “Volto della misericordia”, “essenza del cuore dell’uomo, la più alta aspirazione della ragione”.

La seconda caduta di Gesù, commemorata nella VII stazione, è una conseguenza della scelta di obbedire al Padre, portando su di sé “con mite ma energica docilità, il nostro peccato”.

E se di fronte alle potenti manifestazioni del male – Scola ha citato i terremoti di Haiti e del Giappone e la “assurda tragedia” del Concordia – l’uomo è portato a “cercare un capro espiatorio”, pur di scaricare da se stesso le proprie colpe, il Figlio di Dio – innocente – accetta di essere trattato come tale.

Analogamente gli uomini, per ottenere l’autentico perdono di Dio devono riconoscere le proprie colpe, avendo la “disponibilità di espiarle”. Per questo, ha esortato il cardinale Scola, in conclusione, è opportuno, per affrontare il sacramento della penitenza, chiedere la “grazia del dolore dei nostri peccati” che non è un “semplice senso di colpa” bensì “un giudizio della ragione contrita e commossa”.

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ZENIT Staff

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