di Eugenio Fizzotti
ROMA, martedì, 6 marzo 2012 (ZENIT.org).- Lunedì 12 marzo dalle ore 15.00 alle ore 19.00 nell’Aula A02 dell’Università Pontificia Salesiana di Roma avrà luogo un seminario di studio a partire dal volume Preti sul lettino (Editrice Giunti) di Giuseppe Crea e Fabrizio Mastrofini, finalizzato all’individuazione di quali problemi hanno oggi i preti italiani, come se la cavano rispetto alle proprie dinamiche personali e alle richieste di aiuto formulate dai fedeli, che cosa fare per accrescere in loro la sicurezza, la resilienza, l’empatia e le relazioni autentiche con la comunità.
Giuseppe Crea, sacerdote e missionario comboniano, è uno psicologo e psicoterapeuta che da molti anni lavora nel campo della formazione permanente come docente presso alcune Università Pontificie e riceve numerosi sacerdoti che, vivendo situazioni fortemente traumatiche, si trovano ad attraversare momenti di angoscia, di ansia, di disfattismo e di rancore e li aiuta a recuperare la propria identità e a prendere posizione nei confronti dei condizionamenti deliranti.
Fabrizio Mastrofini, giornalista, si occupa di informazione religiosa e di comunicazione, tema sui quali ha pubblicato svariati volumi, presta molta attenzione alle situazioni di crisi in cui piombano molti preti e le descrive con serenità e onestà professionale, favorendo così la consapevolezza che è quanto mai opportuno rivolgersi a uno psicoterapeuta per recuperare il livello di ben-essere interiore, senza coperture o sovrastrutture ideologiche.
Negli interventi che faranno il prof. Hans Zollner, Vice Rettore della Pontificia Università Gregoriana, la prof.ssa Lucetta Scaraffia, docente a La Sapienza, il prof. Zbigniew Formella, direttore dell’Istituto di Psicologia dell’Università Salesiana, emergerà senz’altro che i preti sono importanti, sono una ricchezza per la chiesa intera e il loro ministero sacerdotale è un dono da accogliere ma anche una risposta concreta da dare ogni giorno attraverso la testimonianza schietta e autentica del Vangelo, vissuta e realizzata con uno stile di vita pastorale che lasci trasparire l’amore di Dio nelle diverse situazioni in cui ognuno opera.
Ed è interessante evidenziare che in questi tempi di «emergenza educativa» si avverte un diffuso bisogno di speranza, necessario per ravvivare il significato profondo dell’identità del sacerdozio, perché l’essere e il fare di questo ministero siano integrati, come si legge nell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis, «nello spirito e secondo lo stile di Gesù buon Pastore» (n. 73). Infatti, quanti sono invitati al ministero pastorale, diocesani o religiosi che siano, sono chiamati a custodire con amore vigile e attento il dono della verità che portano dentro di loro, e lo fanno vivendo nella carità il servizio che è loro affidato. E il libro di Giuseppe Crea e Fabrizio Mastrofini, partendo dalla ricchezza del dono sacerdotale, fa molto riflettere sui rischi e sulle fragilità dei chiamati, quando la loro fedeltà vacilla dinanzi alle problematiche psichiche individuali e al sovraccarico del contesto pastorale dove operano.
Infatti, in quanto pastori, i presbiteri rispondono a questa chiamata per il bene degli altri, «in un clima di costante disponibilità a lasciarsi afferrare, quasi “mangiare”, dalle necessità e dalle esigenze del gregge» (Pastores dabo vobis, n. 28), fino a essere assorbiti completamente dalla missione apostolica e talvolta si rinchiudono in una visione privatistica e riduttiva della propria vocazione con una massiccia e problematica ricaduta sul coinvolgimento emotivo e sul processo di crescita affettiva che viene a subire dei notevoli e pericolosi blocchi.
Partendo dall’esperienza clinica, Giuseppe Crea conferma che a volte anche i sacerdoti possono sentirsi sopraffatti dalle tante sfide pastorali, al punto da sottostare a condizioni di superlavoro che con il tempo si rivelano nocive dal punto di vista psicologico, come del resto si legge nel numero 14 del decreto conciliare Presbyterorum Ordinis: «Anche i presbiteri, immersi e agitati da un gran numero di impegni derivanti dalla loro missione, possono domandarsi con vera angoscia come fare ad armonizzare la vita interiore con le esigenze dell’azione esterna».
Ecco perché il libro si sofferma con attenzione su questo interrogativo angosciante che l’autore non esita a definire esistenziale perché tocca il senso stesso della vita presbiterale, quello cioè di armonizzare la costruzione di una chiara identità personale con un ambiente che spesso mette a dura prova le sue certezze e le sue stesse fragilità intrapsichiche.
Se i preti non riescono a recuperare nella profondità del proprio sé individuale le energie necessarie rischiano di entrare nel vortice delle cose da fare, fino a sentirsi stressati e svuotati emotivamente: è una sindrome che va al di là della singola stanchezza o dello specifico malessere, e può diventare una vera e propria nevrosi pastorale.
Per questo occorre che alimentino una costante attenzione a se stessi, ai propri bisogni umani e psicologici, ma anche una costante attenzione a Colui che li chiama a farsi servi, Gesù buon Pastore, che conosce a tal punto le disponibilità e i limiti di ciascuno da poter rivolgere al momento opportuno l’invito salutare presente nel Vangelo di Marco: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un poco» (Mc 6, 31).
Ecco perché ogni sacerdote deve saper vigilare sul modo di vivere la carità pastorale, per integrare la chiamata vocazionale con le proprie realtà umane e psicologiche, partecipando così attivamente al proprio processo di conversione e di crescita da realizzare nel quotidiano.
Guardando al futuro occorre quindi integrare l’entusiasmo per una vocazione che non tramonta con un sano realismo che tiene conto dei tanti interrogativi che emergono dal lavoro di testimonianza dell’amore di Dio nei diversi areopaghi della missione pastorale. A questo proposito, come emerge dal libro di Crea e Mastrofini, serve ripensare profondamente la formazione permanente dei presbiteri, svincolandola da una concezione pressappochista e superficiale, oppure da una visione semplicistica e poco competente che la relega a eventi straordinari di aggiornamento o a miracolistici anni sabbatici. Bisogna invece riscoprirla come un vero metodo di vita, che aiuti le persone a integrare le diverse dimensioni umane (compresa quella affettiva) con il cammino di conversione spirituale, perché con questa prospettiva di crescita integrale le persone possano imparare a essere fedeli al proprio progetto vocazionale.