di Josè Antonio Varela Vidal
ROMA, domenica, 4 marzo 2012 (ZENIT.org) - Riportiamo di seguito la seconda parte dell'intervista che Padre Enrique Sanchez, Superiore Generale dei Missionari Comboniani, ha rilasciato a ZENIT in cui racconta le sfide dellattuale missione ed i piani della sua famiglia religiosa - che ha cominciato ad avere una presenza significativa anche in Cina -commentando anche il prossimo viaggio del Papa a Cuba e in Messico. L'intervista fa parte di una serie iniziata a gennaio dedicata alla vita religiosa e alla nuova evangelizzazione come contributo di Zenit al Sinodo dei Vescovi della nuova evangelizzazione. Proseguirà, infatti, fino ad ottobre, mese in cui svolgerà l'incontro, con numerose altre interviste.
Qual è la situazione delle vocazioni tra i Comboniani?
Padre Sanchez: Siamo poco più di 1.600, presenti in quattro continenti. La maggior parte lavora in Africa, dove la tradizione e il carisma dell'istituto sono una presenza significativa lì. Come vocazioni, al momento abbiamo circa 120 studenti di teologia e alcuni fratelli religiosi. Un gran numero proviene dallAfrica, altri dall'America Latina; un gruppo molto piccolo, poi, è composto da cittadini europei e alcuni asiatici, ma pochi perché siamo solo nelle Filippine e a Macao e Taiwan. Questa presenza in Asia è molto importante per noi, specialmente per il significato che ha per la missione, perché lì - come nel mondo arabo musulmano - ci rendiamo conto che la missione deve essere fatta con grande umiltà, ascolto, scomparendo per imparare e scoprire la presenza di Dio nei posti dove veniamo inviati.
Cosa possiamo imparare quindi dai popoli asiatici?
Padre Sanchez: Possiamo imparare molto circa il rispetto agli altri, la sensibilità verso il sacro, lo spirituale, per tutto ciò che riguarda Dio. Possiamo imparare il senso di responsabilità, di impegno, di lavoro serio, e soprattutto la voglia di ricercare di un qualcosa che è oltre da noi stessi.
Tornando in Africa, la grande passione di Comboni, come valuta il lavoro che i Missionari Comboniani hanno svolto lì negli ultimi cento anni?
Padre Sanchez: I grandi frutti sono evidenti. Oggi, in Africa c'è una chiesa locale che è molto forte, vigorosa, ricca sotto molti aspetti. È una comunità viva che sa divertirsi e celebrare il Vangelo, che gode nellessere Chiesa e famiglia di Dio.
Ci sono molte famiglie religiose nate in Africa; cè un clero locale consistente e conferenze episcopali. In sostanza, l'Africa negli ultimi 150 anni ha visto un incredibile cambiamento e oggi è uno dei continenti, come ha detto il Santo Padre, che sta emergendo come continente di grande speranza.
La società, in molti paesi, sta facendo un cammino molto significativo di responsabilità e crescita, riappropriandosi della propria storia, con una vitalità che significa molto per la Chiesa.
Il limite che vedo è che l'Africa è considerata ancora come un continente che non ha grandi diritti o che non viene proprio riconosciuto. Ci sono molti pregiudizi contro la popolazione e un grande disprezzo della coscienza universale contro questo mondo. Ci sono anche tutti i vizi che troviamo nel mondo occidentale: la corruzione, la mancanza di opportunità per i giovani, lassenza di istituzioni, una grande insicurezza in molti servizi, ecc. Non vorrei sottolineare solo questo però: per l'esperienza che ho avuto in Africa, sono convinto che è un continente che ha molto da dare, da cui dobbiamo imparare ancora molto e che ci sorprenderà nel giro di pochi anni.
In termini di cristianesimo, qual è la maggior difficoltà quando si presenta Gesù Cristo alla cultura africana?
Padre Sanchez: C'è un lavoro che deve essere effettuato attraverso l'inculturazione del Vangelo, che entra nelle culture e da lì si pronuncia. Non vedo grossi ostacoli, perché penso che ci sia una grande apertura da parte dei popoli africani ad accogliere il Vangelo. Cè comunque bisogno di andare avanti come è accaduto in altri continenti, questo è normale, ma il Vangelo deve entrare nel cuore umano e noi dobbiamo renderci conto che la diversità in cui è chiamato il Vangelo a entrare è ciò che rende ricca la nostra umanità.
È per caso in corso il processo di canonizzazione di qualche comboniano?
Padre Sanchez: Abbiamo diversi fratelli e sacerdoti che hanno dato la loro vita. Ci sono i martiri che danno la loro vita ogni giorno in modo nascosto, molto intenso. Passando attraverso le province incontro tanti di questi fratelli: uomini di preghiera che hanno una grande passione per la Parola di Dio, appassionati per la gente, disponibili, utili, interamente dedicati alla missione, che però non fanno rumore, non fanno notizia. Ci sono poi quelli che sono morti violentemente, uccisi ad esempio in Brasile o in Mozambico, di cui si sta studiando la possibilità di aprire le cause.
È in corso, comunque, il processo di un sacerdote medico, Padre Giuseppe Ambrosoli, servo di Dio, morto in Uganda, dove ha lavorato in un ospedale che egli stesso ha fondato e a cui dedicato la sua intera vita, lasciando un eccezionale esempio di passione e dedizione missionaria. Ci sono poi l'arcivescovo Antonio Maria Roveggio, Padre Bernard Sartori e un altro fratello di cui si sta parlando tanto: un italiano di nome Giosuè dei Cas, un esempio di vera devozione, morto per lebbra in Sudan. Sono figure che ci stimolano e ci ricordano quale deve essere il nostro impegno e la nostra vocazione missionaria nel mondo di oggi.
Cosa diresti ai missionari nel mondo che leggeranno questa intervista?
Padre Sanchez: Dobbiamo essere grati per questo bel dono che abbiamo ricevuto dalla vocazione missionaria. Credo che oggi valga la pena più che mai vivere la missione, perché essa risponde a tutto ciò che il nostro cuore cerca e anela: incontrare il Signore ed essere felici in questo mondo. Invito coloro che si affacciano alla missione a capire che essa non è qualcosa di particolare, ma ciò che dobbiamo vivere come battezzati, noi come cristiani non possiamo rifiutare questa responsabilità! Abbiamo qualcosa di molto bello tra le mani: il Vangelo, il Signore, l'esperienza di Dio che dobbiamo annunciare allumanità perché ne ha fortemente bisogno.
Non possiamo non chiederle, da messicano, quali sono le sue aspettative per il viaggio del Papa in Messico e a Cuba?
Padre Sanchez: In Messico, stanno aspettando il Papa come sempre con grande affetto. Forse in questo momento ciò che attendono maggiormente è sentire da lui una parola che tocchi il cuore dei messicani, in particolare quelli che causano tanta violenza, dolore e morte. Il Papa è la persona giusta per toccare i cuori e per ricordarci di essere sostenitori della giustizia, della pace, del rispetto per la vita e per i diritti degli altri. Benedetto XVI lo farà bene perché è un uomo coraggioso, un uomo di Dio che non ha paura di dire la verità, in modo che possa essere riconosciuto da coloro che cercano di nasconderla e ignorarla.
A Cuba il viaggio un modo per confermare tutto il cammino che la Chiesa cubana ha fatto in questi anni di apertura, riconoscimento del valore come messaggero di giustizia, fratellanza e rispetto per gli altri. Avranno molto da dire per incoraggiare i nostri fratelli cubani che con amore sono sempre stati in grado di esprimersi con grande gioia ed entusiasmo.
(La prima parte dell'intervista è stata pubblicata venerdì 2 marzo)
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Salvatore Cernuzio]