di Eugenio Fizzotti

ROMA, mercoledì, 30 novembre 2011 (ZENIT.org).- Con tre straordinarie conferenze di Mons. Gian Franco Poli, teologo, filosofo e psicoterapeuta e formatore per le dinamiche nella vita consacrata, con l’applauditissimo spettacolo teatrale e musicale “Il tempo è la tua nave”, realizzato dal maestro Michele Casella e soprattutto con una solenne concelebrazione che ha avuto luogo domenica 27 novembre 2011 nella cappella della Casa generalizia delle Suore Riparatrici del S. Cuore in Via Gregorio XI, si è concluso l’Anno Isabelliano, finalizzato a ricordare il centenario della morte, avvenuta l’11 agosto 1911 a Napoli, della Venerabile Madre Isabella De Rosis, fondatrice nel 1875 della Congregazione delle Suore Riparatrici del Sacro Cuore che ha come obiettivo l’impegno sistematico a riparare le offese fatte al Cuore di Gesù, ad accogliere orfani, bisognosi e poveri, a educare la gioventù attraverso la formazione scolastica senza mai stancarsi di annunciare il Vangelo, a diffondere la conoscenza del catechismo nelle campagne, nelle parrocchie e nelle contrade abbandonate.

Nata a Rossano Calabro in provincia di Cosenza il 9 giugno 1842 e, dopo aver fatto un’intensa esperienza di vita religiosa a Parigi dal 1867 al 1868 fra le Suore Figlie della Carità e a Napoli dal 1968 al 1869 nella comunità nascente di Caterina Volpicelli, Isabella De Rosis ha sempre manifestato di aver compiuto fin da bambina un cammino spirituale e culturale che, come scrive D. Antonio Di Nardo, attuale postulatore della causa di beatificazione, le permise di «sottrarsi alle frivolezze dell’ambiente familiare, di praticare le virtù cristiane, tra le quali la docilità, l’ubbidienza, la carità e l’amore alla preghiera, di maturare nel proprio animo i germi della pietà, di rinchiudersi nella stanza da studio per trascorrere lunghe ore in orazione o a scrivere e, soprattutto, di sentire chiaramente nel suo spirito l’ispirazione a fondare un Istituto con l’intento di riparare le offese fatte al Cuore di Gesù». Concentrate sull’amore e sulla riparazione al Sacro Cuore di Gesù le numerose comunità della Congregazione fondata da Madre Isabella sono presenti in 32 città italiane e in 19 città extraeuropee della Colombia, del Venezuela, dell’Argentina, dell’India e delle Filippine.

Nel corso della Messa di domenica 27 novembre, concelebrata, assieme a un nutrito gruppo di sacerdoti, da Mons. Marcello Bartolucci, Arcivescovo titolare di Bevagna e Segretario della Congregazione delle Cause di Santi, e presieduta da Mons. Michele Di Ruberto, Arcivescovo titolare di Biccari e Segretario emerito della Congregazione delle Cause dei Santi, è stato notevolmente avvertito il significato esistenziale ed ecclesiale dell’apertura di Isabella alla pluriforme missione della Chiesa nel mondo e, di conseguenza, è stata messa in evidenza l’attivazione di iniziative educative che, diffondendo il fermento dell’amore e della riparazione, favorissero la crescita del Regno di Dio nel mondo.

Come ha infatti ricordato nella sua omelia Mons. Di Ruberto Madre Isabella «fu attenta alle persone, alle loro parole, ai loro silenzi, alle domande mute e alla ricchezza dei loro doni, così come fu attenta al mondo, al peso delle lacrime, alla bellezza del mondo, all’acqua, all’aria, alle piante, alle piccole cose di ogni giorno, a ciò che accadeva nel suo cuore e nel piccolo spazio che le fu affidato». Ciò vuol dire che «vegliò contro la vita sonnolenta, contro l’ottundimento del pensare e del sentire, contro il lasciarsi andare. Vegliò perché credette nel futuro, perché visse una pienezza che non è contenuta nei nostri giorni, se non come piccolo seme. Vegliò perché c’era una prospettiva, una direzione e un approdo. Vegliò come un guardare avanti, uno scrutare la notte, uno spiare il lento emergere dell’alba, perché la notte che preme intorno non è l’ultima parola, perché il presente non basta a nessuno».

Sentendola profondamente partecipe di una comunità di fede in cammino verso Dio e in attesa amorosa del ritorno del Signore, Mons. Di Ruberto ha anche evidenziato che Madre Isabella ha proiettato «una splendida luce sulla sua interiore disponibilità, che è possibile chiamare una “spiritualità dell’attesa” e, poiché non è arrivata impreparata a quello che è l’avvenimento più importante della propria esistenza, avendo vissuto in pienezza il cammino della vita, nel momento della morte la casa del Padre le ha aperto i suoi battenti per accoglierla come “serva buona e fedele”, anzi come figlia amata».

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