ROMA, lunedì, 28 novembre 2011 (ZENIT.org).- Il 24, 25 e 26 Novembre si è svolto a Roma all’Auditorium dell’Antonianum il Secondo convegno internazionale su “Le nuove forme di vita consacrata; fra tradizione e innovazione”.
Organizzato dalla Facoltà di Teologia della Pontificia Università Antonianum, dalla Fraternità Francescana di Betania e dal Coordinamento Storici religiosi il convegno ha preso spunto dalla crescita delle nuove fondazioni ed espressioni di vita consacrata, le quali assumono sempre maggiore rilievo nel ricco panorama della consacrazione.
Secondo gli organizzatori esse istituiscono vie alternative e suggeriscono modelli diversi di sequela evangelica.
Per aver e un idea di quali i temi in discussione riportiamo la sintesi dell’intervento di Fra Roberto Fusco, della Facoltà Teologica Pugliese e della Fraternità Francescana di Betania.
È ormai assodato che, nella teologia della vita consacrata, un ruolo di primo piano è assegnato alla formazione. Se tale discorso sulla formazione assume un ruolo determinante per il futuro della vita religiosa, questo vale in modo ancor più decisivo per NFVC: se esse avranno o no un futuro, dipenderà in gran parte dalla qualità della formazione che esse saranno in grado di offrire ai loro membri.
La loro credibilità è chiamata a questo banco di prova: al di la dei facili entusiasmi o di un atteggiamento di diffidenza, ciò che assicurerà alle NFVC la sopravvivenza nella Chiesa dipende, in larga parte, proprio da questo aspetto centrale. Dare la giusta centralità alla formazione significherà aver chiarito alcuni aspetti imprescindibili del proprio ruolo nella Chiesa: la propria identità carismatica, l’organizzazione giuridica, il ruolo del fondatore e il suo apporto alla nuova fondazione, e l’indole dell’apporto pastorale e ministeriale nella Chiesa stessa.
Per comprendere l’evoluzione dei modelli formativi e dei suoi percorsi nella VC negli ultimi cinquant’anni, dobbiamo fare riferimento anzitutto al Concilio Vaticano II: tale evento ecclesiale ebbe una portata tale da influire, negli anni a venire, in tutti gli ambiti della vita ecclesiale.
Tale approfondimento si trova proprio in una costituzione dogmatica, cioè la Lumen Gentium (LG): un intero capitolo – il sesto – è dedicato alla realtà della VC. È la parte in cui la riflessione dei padri conciliari verte su tematiche di natura ecclesiologia, e in questa essi attribuiscono alla VC un ruolo di assoluto rilievo.
Di tutto il VI capitolo della LG che si occupa della VC, vi è una parte che riteniamo particolarmente importante, soprattutto per le successive implicazioni: al n. 46 si afferma il valore positivo della consacrazione e il ruolo pedagogico dei voti verso la maturazione armonica della persona umana in tutte le sue componenti umane e cristiane.
Il testo rappresenta una risposta alle teorie psicologiche selfiste e soprattutto alla loro applicazione alla VC: LG pone in luce come la rinuncia a beni apprezzabili e in sé buoni rappresenta un grande giovamento per colui che sceglie tale atto di vita, rispondendo all’impulso dello Spirito Santo. Questo passaggio è importante perché in esso troviamo abbozzate alcune tematiche teologiche che, negli anni a venire, verranno poi riprese e approfondite soprattutto nell’ambito della teologia della VC, che si occuperà da allora a più riprese del discorso riguardante la formazione.
I documenti che seguirono ebbero il compito di dare soprattutto delle linee di attuazione di quanto emerso precedentemente. Man mano, però, in questi documenti l’aspetto della formazione veniva via via chiarito e il suo significato teologico approfondito. Il 1966 è l’anno nel quale Paolo VI promulgò il motu proprio Ecclesiale Sanctae (ES), contenente norme per l’applicazione del decreto conciliare sulla VC.
Paolo VI sottolinea la necessità di non esaurire la formazione iniziale al periodo del noviziato. Inoltre, il testo di Paolo VI offre un’ulteriore riflessione: l’apporto formativo non deve essere solo teorico, bensì anche pratico. Esso non può non avere un riscontro nella pratica, e deve prevedere attività o incarichi che permettano un’effettiva dimostrazione di come il consacrato stia interiorizzando la sua identità religiosa e la sua appartenenza all’istituto. Paolo VI aveva dunque tracciato due caratteristiche importanti della formazione: essa doveva evitare di ridursi a mera teoria e non doveva finire con il noviziato.
Come si può notare, diviene sempre più chiara l’idea che il percorso formativo sia un processo integrale rivolto alla globalità della persona. Queste osservazioni richiedevano un’ulteriore approfondimento, per cui nel 1969 venne pubblicata l’istruzione Renovationis Causam (RC). Si può dire che questo è il primo documento che ha come oggetto diretto la formazione e in molti punti sarà superato dalla legislazione canonica successiva. RC presenta diversi spunti interessanti: in esso si riprende l’idea della gradualità del processo formativo, inteso sempre più come cammino verso la piena identificazione con Cristo, piuttosto che trasmissione di contenuti concettuali.
Un documento che aggiunse ottimi spunti di riflessione riguardo la formazione fu quello scritto da Giovanni Paolo II all’indirizzo dei religiosi statunitensi nell’anno santo 1983: il titolo del documento era Elementi essenziali dell’insegnamento della Chiesa sulla vita religiosa negli istituti dediti alle opere di apostolato. Il primo apporto significativo del documento a proposito della formazione riguarda la sua comprensione come un continuum, cioè come qualcosa che abbraccia tutta la vita del religioso, per cui essa non è più considerata soltanto come un evento circoscritto e legato alle tappe formative del noviziato e postnoviziato.
Di seguito a questo documento, l’anno 1990 vide la pubblicazione di un testo di importanza capitale per il percorso formativo alla VC: Potissimum Institutioni (PI), il 2 febbraio 1990.
Esso è il primo documento magisteriale sull’insieme della formazione propriamente religiosa, ed è il frutto di un lunghissimo lavoro di consultazione e di redazione. In fondo, il merito di questo documento è proprio quello di aver assunto le grandi ricchezze dei precedenti documenti sulla VC.
L’affermazione che apre il capitolo I di PI è programmatica: “Il fine primario della formazione è quello di permettere ai candidati alla vita religiosa ed ai giovani professi di scoprire prima, di assimilare ed approfondire poi, in che cosa consista l’identità del religioso”. Dunque il modello formativo sottostante è basato su una conoscenza, ma ancora di più su un processo di assunzione e interiorizzazione, del significato vero della VC: tale significato sta nella piena configurazione a Cristo, per mezzo dello Spirito. Per aiutare questo processo, PI propone una riflessione sulla pedagogia progressiva ai tre voti che serve per aiutare i candidati a trasformarsi in persone consacrate.
Le indicazioni concrete per vivere il voto di castità, di povertà, e di obbedienza rappresentano ben più che semplici istruzioni pratiche: esse mirano a creare una serie di condizioni favorevoli affinché, attraverso la pratica dei voti, il candidato possa fare sue le caratteristiche e gli impegni della VC. Il documento chiarisce chi siano gli attori principali della formazione, tra i quali al primo posto pone lo Spirito Santo. L’azione dello Spirito pur non identificandosi direttamente con la storia visibile e con la psicologia, lavora anche attraverso di esse.
Ritorna con chiarezza l’assunto di un processo formativo integrale, dove non esistono compartimenti stagni. Di fatto, una formazione che permetta un’autentica trasformazione in Cristo deve abbracciare la dimensione fisica, morale, intellettuale e spirituale. Tra queste, però, il documento privilegia quest’ultima: fine ultimo della formazione, pertanto, è quello d
i “immergere i religiosi nell’esperienza di Dio e aiutarli a perfezionarla progressivamente nella propria vita”. Un ulteriore rilievo che si può cogliere da quest’istruzione: in ultima istanza, l’esito del processo formativo e del suo modello dipende dal candidato stesso. È sua la responsabilità di dire sì in maniera piena e convinta a Dio che lo chiama, accettandone le conseguenze.
Anche l’istruzione Ripartire da Cristo (RDC), chefa seguito alla Plenaria della CIVCSVA del 2001 e pubblicata nel 2002, riprende gli aspetti teologici più importanti già espressi in Vita Consecrata e li ripropone con efficacia. Anzitutto, il n. 65 di Vita Consecrata asserisce con chiarezza che l’obbiettivo del percorso formativo è la preparazione alla consacrazione di sé a Dio, attuata effettivamente nella sequela di Cristo, a servizio della missione.
È appurata in Vita Consecrata l’idea della matrice cristocentrica della formazione: essa è da considerarsi come configurazione a Cristo, attraverso una progressiva assimilazione ai suoi sentimenti. Tale aspetto è ripreso anche da RDC: secondo l’istruzione, “la formazione, dovrà avere le caratteristiche dell’iniziazione alla sequela radicale di Cristo. Dal momento che il fine della VC consiste nella configurazione al Signore Gesù, è necessario mettere in atto un itinerario di progressiva assimilazione dei sentimenti di Cristo verso il Padre”.
Dunque, il percorso formativo, secondo Vita Consecrata deve essere totale (in quanto interessa sia i comportamenti che le intenzioni), perenne (dura tutta la vita) e completo (perché coinvolge tutti i campi della vita cristiana e consacrata). RDC completa questa concezione della formazione in maniera adeguata, quando dice che la formazione, nella sua integrazione di conoscenze teoriche con la vita spirituale e apostolica dell’istituto di appartenenza, è scuola di santità. Questa scuola di santità serve ai candidati affinché radichino nel proprio cuore valori umani, spirituali e carismatici necessari a renderli capaci di un’autentica fedeltà creativa.
Al n. 66, Vita Consecrata insiste sull’idea di formazione intesa come assimilazione dei consacrati ai sentimenti del Figlio. Questa parte si conclude con una bella definizione del cammino formativo: “La formazione è un processo vitale attraverso il quale la persona si converte al Verbo di Dio fin nelle profondità del suo essere e, nello stesso tempo, impara l’arte di cercare i segni di Dio nelle realtà del mondo”.
È innegabile che, negli ultimi cinquant’anni abbiamo assistito a un’evoluzione riguardo il senso della formazione: essa, da essere intesa come un insieme di conoscenze e comportamenti da ricevere e coltivare, è divenuta un percorso con tappe e obiettivi a medio e lungo termine. Parliamo perciò di modelli formativi – più che di formazione – poiché ciò implica porre in luce la presenza di un riferimento da tenere, di un’immagine da riprodurre; il modello è qualcuno a cui uniformarsi per divenire simile a Lui, o più uguale possibile. Ecco il senso della formazione: non tanto un insieme di concetti da trasmettere, quanto un percorso che dura tutta la vita nel quale il candidato ha come modello e immagine Gesù Cristo, il consacrato del Padre. Per questo le espressioni “modello formativo” e “percorso formativo” riescono a esprimere meglio la realtà dinamica del processo di trasformazione in Cristo di ogni consacrato.
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