Quale cultura per conciliare Chiesa e modernità?

Filosofi, scienziati e teologi ne hanno parlato in un Congresso alla Gregoriana

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di Antonio Gaspari

ROMA, sabato, 19 novembre 2011 (ZENIT.org).- Al termine di un percorso di gruppi di studio avviato nel 2007, la Pontificia Università Gregoriana (PUG) ha organizzato dal 16 al 19 novembre 2011 il Congresso internazionale “L’uomo dell’età moderna e la Chiesa”.

All’incontro hanno partecipato filosofi, teologi e storici provenienti dalla Gregoriana, da Università statali italiane (Roma, Torino, Urbino, Viterbo, Chieti-Pescara, Lecce) e di diverse nazioni (Parigi, Friburgo, Monaco, Zurigo).

I partecipanti differenti per formazione si sono trovati uniti dalla comune preoccupazione per la secolarizzazione, per le difficoltà incontrate dalla Chiesa cattolica nel diffondere la nuova evangelizzazione, e per una approccio culturare che sembra dimenticare le proprie radici cristiane.

Il prof. Michael Gallagher (PUG), ha esaminato le reazioni negative della Chiesa alla modernità negli ambiti dell’epistemologia e della soggettività.

Ha ricordato la crisi del modernismo considerandola come un periodo di grande tensione ed ha proposto una “rilettura” della modernità operata dal Vaticano II e il ruolo guida che hanno avuto vari Papi nel favorire un approccio più positivo particolarmente nei confronti dell’autorità dell’autonomia, e dell’ateismo.

Per il prof. Gallagher, “il Concilio è considerato come l’incarnazione di una conversione degli orizzonti ecclesiali” anche se secondo l’opinione d’intellettuali cattolici di rilievo come Taylor, Desmond e Sequeri, rimane una certa riserva nei confronti della modernità.

Il prof. Carlo Fantappiè (Urbino), ha approfondito la dimensione giuridica come veicolo della razionalizzazione nella Chiesa, spiegando che “la crisi dell’epistemologia aristotelica medievale su cui si fondava la scientia iuris e l’emersione dell’umanesimo giuridico pongono problemi strutturali di rifondazione e di ridefinizione del ‘campo’ del diritto canonico.

Il prof. Giancarlo Pani (Roma-Sapienza e PUG), si è chiesto: “La modernità del concilio di Trento. Il tema parrebbe obsoleto: che cosa ha di moderno il Concilio di Trento?”.

Ed ha risposto sostenendo che il Concilio di Trento (1545-1563) doveva far fronte alla sfida dei Luterani, ma doveva anche confrontarsi con una transizione epocale dal Medioevo all’Età  moderna: l’avevano sollecitata gli umanisti, la coscienza nuova della dignità dell’uomo e della sua centralità nella storia, e poi l’invenzione della stampa, le scoperte, il ruolo fino allora inedito svolto dal capitale finanziario, la nuova concezione del tempo.

“Oggi, – ha sottolineato il prof. Pani – dopo il Vaticano II, il concilio di Trento – pur con i suoi limiti – viene riscoperto come un segno di modernità della Chiesa; anzi, la sua importanza è cresciuta fino ad essere considerato il ‘concilio dei concili”.

Lo testimoniano i decreti sulla giustificazione e la cura animarum, l’attenzione a una formazione spirituale e culturale del clero, una maggiore libertà per i vescovi, e infine la possibilità di sviluppo al nuovo metodo della teologia positiva.

“Il Concilio vaticano II – ha concluso Pani – sembra anche porre le basi di una nuova antropologia; di certo ha segnato la storia moderna della Chiesa”.

Il docente dell’Università di Friburgo, Eberhard Schockenhoff, ha spiegato che la chiesa cattolica per molto tempo trovò difficile l’accettazione del principio moderno della libertà e dei diritti di libertà individuale che ne nascono.

“Abbracciando la libertà di coscienza e la libertà religiosa dopo il Concilio Vaticano II – ha aggiunto – essa riuscì a superare su un livello fondamentale lo scisma fra vangelo e cultura, chiesa e mondo”.

Il prof. José Funès della Specola Vaticana), nel trattare il rapporto tra la Chiesa e il mondo moderno, che riguarda le scienze fisico-matematiche, ha definito come “inevitabile che si riproponga il caso Galileo”.

Tenendo conto di questo importante nodo storico e di alcune delle conseguenze che ebbe nel rapporto tra Chiesa e scienze, il prof. Funes ha dato ragione alla speranza per il dialogo tra Chiesa e scienze.

Il professore dell’Università di Padova Maurizio Merlo, ha precisato come in direzione di una ragionevole separatezza tra autorità civile e chiesa, tra conoscenza e fede, è centrale una epistemologia probabilista e necessariamente plurale che fa della comunità di ricerca e della pratica della tolleranza il segno del più vero e profondo insegnamento evangelico.

Simone D’Agostino (PUG), ha concluso affrontando il nodo del metodo filosofico.

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ZENIT Staff

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