Cristiani discriminati nelle carceri pakistane

A lanciare l’allarme è l’associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre

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ROMA, giovedì, 17 novembre 2011 (ZENIT.org) – I detenuti di fede cristiana nelle prigioni pakistane subiscono gravi discriminazioni. A richiamare l’attenzione sulla loro sorte è l’avvocato cattolico, Moazzam Aslam Bhatti, la cui testimonianza è stata raccolta dall’organizzazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN), che segue vari progetti caritatevoli nel Paese asiatico.

Secondo il legale, che lavora a Faisalabad (nella provincia del Punjab), i cristiani sono vittime del diffuso pregiudizio anti-cristiano. Vengono emarginati in tutti i settori della società pakistana, ma nelle carceri la situazione è “particolarmente precaria”.

“I cristiani sono svantaggiati nella distribuzione di cibo, vestiti e medicine, così come nella possibilità di esercitare la loro religione”, ha confidato Bhatti al personale di ACN, che sta visitando i progetti sostenuti dall’organizzazione. “Questa situazione deve cambiare”, ha aggiunto l’avvocato.

Secondo Bhatti, la maggioranza dei cristiani che vengono messi in stato d’accusa non può permettersi un avvocato a causa della loro povertà e bassa posizione sociale. Per migliorare la loro situazione, bisogna rafforzare l’assistenza legale, ha affermato.

“È allarmante constatare – ha continuato Bhatti – che molte persone finite in carcere per reati minori avrebbero potuto essere rilasciate se fossero state in grado di pagare le multe inflitte a loro”.

“Vengono colpiti anche i bambini, costretti a rimanere in carcere insieme alle loro madri”, ha aggiunto Bhatti, che assieme con i Padri Domenicani visita regolarmente i detenuti cristiani di Faisalabad e fornisce loro assistenza legale.

Secondo il padre domenicano Iftikhar Moon, responsabile della cura pastorale dei detenuti nella diocesi di Faisalabad, la città ha una popolazione carceraria di 5.000 persone, delle quali tra 85 e 100 detenuti sono di fede cristiana.

Tra i cristiani della città dietro le sbarre spicca il negoziante Imran Masih, condannato all’ergastolo nel gennaio 2010 sulla base della discussa legge sulla blasfemia, dopo essere stato accusato di aver bruciato pagine di una copia del Corano, un’accusa respinta da Masih.

Prima del suo ritorno in Pakistan per lavorare accanto alle persone svantaggiate, Bhatti ha studiato in Inghilterra.

“Nonostante abbia ricevuto buone offerte di lavoro all’estero, sono ritornato in Pakistan per fare tutto quello che è nel mio potere per aiutare la gente”, ha raccontato ad ACN.

Ben sapendo che può fare poco per cambiare la situazione, Bhatti ha infine dichiarato di essere “orgoglioso di poter fare qualcosa per la gente in questa parte del mondo, dove i cristiani sono oppressi ed emarginati”.

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ZENIT Staff

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