di Salvatore Cernuzio
ROMA, lunedì, 14 novembre 2011 (ZENIT.org) – In un mondo secolarizzato, in una società quasi totalmente lontana dalla fede, dove i giovani per primi sono pronti ad attaccare il Papa e la Chiesa, sembra quasi impossibile che un ragazzo, al giorno d’oggi, possa sentire il desiderio di affidare la propria vita a Cristo, di rispondere ad una chiamata del Signore.
Riguardo a questa situazione di “crisi” delle vocazioni, ZENIT ha intervistato don Fabio Rosini, direttore del Servizio diocesano per le vocazioni del Vicariato di Roma.
Don Fabio, com’è possibile, nel mondo di oggi, risvegliare la fiamma della vocazione?
Rosini: La vocazione è una seconda fase, la prima cosa da accendere è l’emozione provocata dalla straordinaria esperienza dell’incontro con Gesù Cristo. E’ vero che questa attuale situazione di difficoltà crea tanti problemi, ma dà anche la possibilità di rispiegare nuovamente le cose. Il problema più grande, infatti, non è quello di non conoscere affatto la fede, ma di credere di conoscerla, di averla decodificata secondo parametri completamente estranei, però, a ciò che è realmente cristiano.
Qual è, quindi, il lavoro svolto dal Servizio per le vocazioni e da lei stesso in questa direzione?
Rosini: Un lavoro che, ad esempio, devo svolgere costantemente è quello della demistificazione, una “divertente” demistificazione delle cose cristiane; ovvero spiegare come in realtà stanno le cose: molto più belle di come vengono descritte! Allora, partendo dal fatto che è meraviglioso seguire il Signore Gesù Cristo, si passa ad una seconda fase che è il come e cosa fare per seguirlo. In ogni caso, il primo compito è annunziare Gesù Cristo e farlo capillarmente, per questo stiamo attuando delle iniziative nelle Prefetture, nelle Parrocchie per far sì che i giovani vivano esperienze di grande impatto.
Ad esempio?
Rosini: Ad esempio io porto avanti questa esperienza dei “Dieci Comandamenti”, a Roma, nelle parrocchie della Gran Madre di Dio e di San Marco, a cui partecipano centinaia di giovani. È un ciclo di catechesi in cui, nei vari incontri, viene “sviscerato” ogni comandamento per farlo comprendere a chi è lontano dalla dottrina della Chiesa e far capire quanto siano meravigliosi e non limitativi. Queste sono esperienze legate, però, ad un’iniziativa singola; bisogna moltiplicare questo genere di proposte, ma soprattutto bisogna collaborare.
In che senso?
Rosini: Al problema della carenza di vocazioni ci sono due modi sbagliati di rispondere: innanzitutto pensare che le vocazioni siano solo quelle sacerdotali. No! Il problema è la chiamata cristiana, la fede cristiana, quindi anche il matrimonio, ad esempio, è una vocazione. In secondo luogo non è un tipo di problema a cui risponde un singolo prete, ma risponde un presbiterio. Io devo collaborare in mille forme, mettermi a disposizione, secondo le mie esperienze e le energie che Dio mi dà, per lavorare insieme ai sacerdoti delle Parrocchie e fare delle esperienze giovanili. Il percorso vocazionale non è uno spot, ma l’evoluzione naturale di un processo: la formazione cristiana, che è il primo compito da svolgere.
In che modo si può realizzare?
Rosini: Rivitalizzando le proposte esplicite della fede rivolte ai giovani. Non dobbiamo cadere nella trappola del lasciarci condizionare dallo status quo delle cose, ma vanno fatte proposte radicali, serie, che mirino a toccare il centro del cuore spersonalizzato di questa generazione. A Roma, per esempio, viviamo nella realtà di una metropoli dove una persona, per motivi strutturali e soprattutto mediatici, non è nessuno, non conta niente. Dobbiamo, quindi, far comprendere che la chiamata alla fede cristiana è una chiamata “personale” alla straordinarietà. Il nemico del cristianesimo è proprio la mediocrità, il fare le cose senza amore, senza zelo. Fare delle proposte di questo tipo, che mostrino ai giovani la bellezza di una vita alta, nobile, preziosa agli occhi di Dio è di grande impatto.
Quale potrebbe essere una proposta di questo genere?
Rosini: Ad esempio, sto portando avanti dei progetti con alcune Prefetture per cominciare un ciclo di incontri dove i giovani, per capire cos’è la fede cristiana, possono misurarsi con la persona che più ha avuto fede su questa terra: la Beata Vergine Maria. Accogliendo il Vangelo di Luca come “canovaccio” del lavoro, possiamo riscoprire l’esperienza della fecondità di Maria a partire dall’aver accolto l’iniziativa di Dio, dall’aver detto sì alla Sua volontà per aprirsi alle prospettive più alte. Mi sembra peraltro che sia una cosa piuttosto “astuta” farsi aiutare dalla Vergine Maria. Lei una cosa sa fare bene: creare figli di Dio, ne ha fatto uno e l’ha fatto perfetto, per cui impariamo da Lei.
(continua domani con la seconda ed ultima parte)