L'Orissa tre anni dopo la violenza anticristiana

La polizia del Karnataka ha avviato un “censimento mirato” dei cristiani e delle chiese

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di Paul De Maeyer

ROMA, giovedì, 25 agosto 2011 (ZENIT.org).- La comunità cristiana dell’India può tirare un piccolo sospiro di sollievo. La cosiddetta giornata di “Protezione della fede”, annunciata dai fondamentalisti induisti per ricordare il terzo anniversario della morte violenta dello swami Laksamananda Saraswati, 85 anni, è trascorsa in una relativa calma. Fino a quest’ora non sono giunte notizie di gravi incidenti o di attacchi di massa contro obiettivi cristiani.

Il capo induista, membro del movimento radicale Vishwa Hindu Parishad (VHP) e noto per la sua forte opposizione al cristianesimo, era stato ucciso assieme ad alcuni seguaci nell’Ashram Jalespta la sera di sabato 23 agosto 2008 da un commando armato nel distretto di Kandhamal, nello Stato nordorientale dell’Orissa.

Anche se la strage venne rivendicata dal capo della guerriglia maoista nell’Orissa, Sabyasachi Panda, gli estremisti indù diedero la colpa ai cristiani, scatenando un’ondata di violenza anticristiana, nella quale rimasero uccise più di 100 persone e vennero attaccate oltre 170 chiese e luoghi di preghiera. La persecuzione, che si è aggiunta agli attacchi anticristiani verificatisi già nel dicembre del 2007 in questo Stato, ha provocato anche 56.000 sfollati. Per ricordare le vittime, la Chiesa dell’Orissa, in particolare l’arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar, la quale include il distretto del Kandhamal, ha proclamato il 24 agosto la “Giornata della memoria”.

“Noi cristiani desideriamo solo vivere in pace nella nostra terra. Nonostante le sofferenze e la tragedia del 2008, non coviamo odio o vendetta”, ha detto in un’intervista all’agenzia Fides (23 agosto) il nuovo arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, monsignor John Barwa SVD. “La pace – ha ribadito il presule, che nel febbraio scorso è succeduto a monsignor Raphael Cheenath – si può costruire sulle fondamenta della riconciliazione e della giustizia. Oggi posso constatare la testimonianza di fede autentica che la mia gente sta mostrando: in loro non c’è odio o risentimento verso quanti hanno distrutto e ucciso, ma la gioia che viene da Dio”.

Ma ciononostante, molti cristiani sono “ancora terrorizzati e scoraggiati”, anche per quello che l’arcivescovo ha definito le “sottili forme di oppressione e discriminazione”. “Al governo dell’Orissa e al governo federale chiediamo protezione, la fine delle discriminazioni verso i cittadini cristiani, la tutela del diritto di vivere pacificamente nella nostra terra, professando e manifestando liberamente la nostra fede”, ha continuato Barwa, che non smette di chiedere giustizia per la sua gente. “Continueremo a seguire (…) i processi nei tribunali, perché alle vittime sia riconosciuta un giusto risarcimento e perché i colpevoli delle violenze siano puniti. L’Orissa è un test per vagliare la credibilità del sistema giudiziario indiano: sono in ballo le fondamenta stesse dello stato di diritto”, ha detto.

A confermare le parole e le preoccupazioni del presule è stato il politico tedesco Volker Kauder, capogruppo dell’Unione dei partiti democristiani CDU e CSU nel Bundestag, che alla guida di una delegazione ha visitato di recente l’Orissa. Kauder, che ha incontrato anche il premier o “chief minister” dello Stato, Naveen Patnaik, in un’intervista all’agenzia KNA ha definito la situazione dei cristiani come “un po’ migliorata, ma ancora insoddisfacente” (Domradio, 11 agosto). “Fino ad oggi, i cristiani vengono pesantemente ostacolati nella ricostruzione delle chiese”, ha dichiarato Kauder, che ha denunciato anche la lentezza della polizia nelle indagini e le difficoltà degli sfollati a far ritorno ai loro luoghi di origine. “Se i cristiani non possono ritornare ai loro villaggi e coltivare i campi, impoveriscono nei loro alloggi di fortuna”, ha avvertito.

Non mancano infatti gli esempi di amministrazioni locali che cercano di bloccare la ricostruzione. Come riferito da Fides (22 agosto), nel distretto di Kandhamal una lettera delle autorità locali ha fermato i lavori di ricostruzione di una cappella nel villaggio di Padunbadi. Secondo il documento, il terreno su cui sorge l’edificio appartiene al demanio. “La chiesa nel villaggio esiste da oltre due generazioni e dunque l’ordine governativo, che impedisce di ricostruire la chiesa, è una chiara ingiustizia contro i fedeli cristiani già provati da sfollamento, fame, povertà”, ha reagito padre Laxmikant Pradhan, parroco a Mondasoro, che ha ricevuto la lettera.

Sempre nel Kandhamal, un altro caso di ostruzionismo – “per accontentare i radicali indù”, osserva AsiaNews (20 agosto) – è il blocco imposto dai funzionari locali alla costruzione di una piccola chiesa nella località di Nandagiri. Le famiglie cattoliche e pentecostali giunte sul luogo nel giugno 2009, e che stanno portando avanti i lavori tra mille difficoltà (il cantiere è infatti fermo per la mancanza di fondi), hanno ricevuto l’ordine di portare via tutto ed abbattere l’edificio entro 30 giorni.

La situazione dei cristiani rimane dunque precaria o – come ha dichiarato l’arcivescovo emerito di Cuttack-Bhubaneswar, monsignor Cheenath – “il regno del terrore anche se limitato continua” (AsiaNews, 18 agosto). Emblematica di questo clima negativo è la morte del pastore battista Michael Nayak, il cui corpo senza vita è stato ritrovato a fine luglio vicino a Mondakia, nel Kandhamal. Anche se la polizia ha subito archiviato il caso, dicendo che si è trattato di un incidente, tutto indica che il pastore sia stato ucciso da supposti amici indù – come suggerisce il sito South Asia Mail (7 agosto) -, che gli hanno teso una trappola. La vicenda ha infatti molte similitudini con la morte “accidentale” nel gennaio scorso di un altro pastore protestante, Saul Pradhan.

Desta preoccupazione anche la situazione in un altro Stato indiano da anni teatro di continui e gravi attacchi anticristiani, il Karnataka, dove la polizia sta organizzando una “schedatura di massa” dei cristiani e delle chiese, già cominciata nel distretto di Chikmagalur. L’iniziativa delle autorità dello Stato governato dal partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (BJP), che ricorda il “censimento dei cristiani” lanciato alcuni mesi fa nello Stato del Madhya Pradesh (ma poi sospeso), è stata definita dal Global Council of Indian Christians (GCIC) “un tentativo di implementare l’agenda nascosta del Sangh Parivar”, cioè la cupola di associazioni indù ritenuta anche responsabile degli attacchi nell’Orissa (Fides, 23 agosto). Secondo il sito Églises d’Asie (24 agosto), l’iniziativa del BJP ha “creato il panico” tra i cristiani del Karnataka.

Che la presenza di cristiani sia un punto dolens per certi funzionari indiani, lo conferma la vicenda della suora montfortana Jacqueline Jean, 63 anni. Alla religiosa inglese, nel Paese da quasi 30 anni e nota come la “Madre Teresa” di Bangalore (la capitale del Karnataka), è stato rinnovato nel luglio scorso il visto solo dopo incessanti pressioni da parte cristiana. La sua gioia per il rinnovo si è quasi subito trasformata in preoccupazione. Come riferito da AsiaNews (3 agosto), il centro di cura per lebbrosi e malati di HIV presso il quale la suora lavora da decenni – la Sumanahalli Society, di padre George Kannanthanam – sta perdendo le concessioni governative.

Una delle tattiche preferite dagli estremisti indù rimane la falsa accusa di conversioni forzate. Sempre nel Karnataka, la polizia ha arrestato nel giugno scorso due pastori pentecostali, accusati da membri dell’ala giovanile del VHP, il Bajrang Dal, di aver tentato di convertire indù al cristianesimo. Che “non si tratta di un caso isolato, ma è la routine” – come ha affermato il presidente del GCIC, Sajan George (AsiaNews, 30 giugno) – lo dimostra l’arresto il 13 luglio nello Stato dell’Uttar Pradesh di tre pastori pentecostali del Gospel Messengers Team (GMT) e della coppia che li stava ospitando. Anche in questo caso l’accusa è di aver cercato di convertire anche con la forza persone di altre fedi (AsiaNews, 15 luglio).

Le azioni anticristiane si stanno diffondendo anche in altri Stati dell’Unione Indiana. Proprio il giorno di Ferragosto, in cui la Chiesa celebra la solennità dell’Assunzione di Maria, è stata attaccata e dissacrata per la prima volta una chiesa della comunità siro-malankarese di Poona (o Pune), nel Maharashtra. Solo due giorni prima, ignoti avevano distrutto una teca che proteggeva un’immagine del Cristo nella chiesa di Sant’Antonio a Vashicherry, nel Kerala. Come ricorda AsiaNews (17 agosto), è stato il secondo attacco in un mese nello Stato meridionale, che ospita la più importante minoranza cristiana dell’India, le cui radici risalgono secondo la tradizione all’apostolo Tommaso.

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ZENIT Staff

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