La dimensione psicologica nelle psicosette

ROMA, sabato, 27 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un estratto del volume “Le Sette Svelate” di Antonio Fasol, Presidente del Gruppo di Ricerca e Informazione Socioreligiosa (GRIS) di Verona.

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Se nella originaria visione psicoanalitica freudiana classica ogni conflitto morale risulta, in ultima analisi, di origine nevrotica, ed ogni credenza religiosa di tipo metafisico tout court illusoria se non delirante, tutta la critica successiva, a partire da Jung [3] ne ha evidenziato l’eccessivo riduzionismo semplificatorio, mettendo in luce il possibile connubio tra sviluppo di una struttura psichica matura e adesione religiosa, fino a chi è arrivato ad individuare, al contrario, il comportamento ateistico stesso come frutto di processi nevrotici [4]

Per quanto riguarda, in particolare, il punto di vista della psicologia della religione, va specificato che essa studia, nello specifico, il corrispettivo psichico individuale dell’esperienza religiosa, a prescindere dalle caratteristiche della religione di appartenenza, nel rispetto di una sorta di “distanza critica” e di agnosticismo metodologico [5]. Evitando i due estremi costituiti sia dalla tentazione riduzionistica, che riduce cioè la religione a mera costruzione psichica, sulla scia peraltro del filone filosofico costituito dai cosiddetti “maestri del sospetto”, sia da quella apologetica, che vorrebbe ricercare conferme bio-psicologiche alla necessità e validità universale della religione e del cosiddetto “bisogno religioso” in senso stretto. A. Vergote, in particolare, nel tentativo di superare la diatriba sulla valutazione dell’essenza della religione [6] limita il campo della psicologia della religione all’identificazione dei processi psichici che consentono al singolo individuo di aderire al sistema simbolico proprio della religione incontrata nel suo ambiente culturale. Ciò non gli impedisce, comunque, di operare una distinzione, basata esclusivamente su tali presupposti metodologici, tra religioni autentiche e pseudo-religioni. [7]

Va inoltre tenuto conto che l’ambito della religiosità, in particolare quella intrinseca, distinta da quella estrinseca, (funzionale, cioè a bisogni esterni, quali sicurezza, difesa, ecc,) che comporta accettazione di sé e motivazione disinteressata, non è paragonabile ad un fattore secondario e contingente, (quale può essere la professione o un hobby), ma rappresenta una dimensione unificante della vita e totalizzante della personalità, una sorta di spinta motivante e significante ogni azione vitale [8]. Continuando lungo la scia logica di tale interpretazione (che, ribadiamo, concerne esclusivamente la cornice psichica del fenomeno), e trasferendola all’ambito più specifico di nostro interesse dei movimenti religiosi alternativi, si potrebbe affermare che l’adesione ad essi, specialmente quando si verifica nel corso della vita come conversione da una concezione precedente, sarebbe la conseguenza, in ultima analisi, di una mancata corrispondenza di quest’ultima con il proprio sistema simbolico e psichico, che verrebbe invece a coincidere meglio con l’offerta spirituale proposta dai movimenti stessi.

Inoltre, specialmente nel caso di adesione a movimenti sincretistici e del vasto milieu new age, si assisterebbe ad una sorta di capovolgimento di tale meccanismo, fatta salva la natura prettamente psicologica della teoria: in molti gruppi di questo tipo si assiste, infatti, ad una sorta di assemblaggio fai-da-te di elementi spiritualisti e religiosi, non in funzione della loro organicità e coerenza intrinseca, ma della loro soddisfazione e conformazione ai propri bisogni e desideri (meccanismi psichici).

Questo spiegherebbe, tra l’altro, la grande eterogeneità degli elementi scelti, la loro diversa provenienza storico-culturale nonché la loro frequente apparente incompatibilità ed incoerenza, secondo gli schemi della teologia e delle religioni tradizionali. Essi, infatti, in tale quadro ermeneutico, non sarebbero che il frutto di altrettante risposte di adattamento funzionali ai propri svariati ed incontrollabili bisogni e sistemi psichici [9]. Sarebbe un po’ come, per usare un paragone banale ma efficace, voler andare a sagomare i bordi della cornice di un puzzle modellandoli in funzione della forma dei pezzi a nostra disposizione e non, come si fa normalmente, cercare di farli combaciare secondo le curvature e le convessità preesistenti.

In ogni caso, gli aspetti “patologici” individuali legati al vissuto religioso o comunque spirituale, prescindono dalla identità del movimento di appartenenza, in quanto nessuno ne può essere immune a priori, anche se è evidente che i gruppi settari e distruttivi in particolare, come ampiamente descritto nei capitoli precedenti, tenderanno più facilmente ad accentuare aspetti di fragilità psicologica latenti. Ciò esattamente al contrario di un vissuto religioso autentico in una personalità matura, che, anche solo dal punto di vista intrapsichico, ed a prescindere da qualsiasi considerazione valoriale, di norma dovrebbe agire in modo completativo ed integrativo, seguendo di pari passo le dinamiche evolutive della personalità, e non puramente compensativo di disagi o sofferenze psicologiche, come ampiamente dimostrato da numerosi studi [10].

Nella misura in cui, infatti, una conversione a qualsivoglia organizzazione religiosa, sia appartenente alle religioni tradizionali che ai cosiddetti movimenti religiosi alternativi, rappresenti un tentativo meramente funzionale di risposta a bisogni non strettamente religiosi [11] ma altri (psicologici, patologici in genere, sociali, di convenienza, economici, affettivi, ecc.), non si può parlare di autentica conversione religiosa; si tratterà, piuttosto, di risposte “mascherate” di religiosità ma, in ultima analisi, funzionali a bisogni diversi; dei quali spesso, peraltro, la religione rischia di diventare una sorta di paravento legittimante; peraltro estremamente fragile e in balìa di ogni evento o condizionamento esterno.

Varie sono peraltro le interpretazioni della conversione religiosa in genere, secondo le categorie psicodinamiche: dai meccanismi di compensazione o di rappresentazione simbolica dei vissuti intrapsichici individuali, alla “sostituzione di complessi” (S. De Sanctis) infantili, o ancora , alla loro sublimazione. [12] Merita menzione, infine, la recente teoria dell’attaccamento 13 recentemente emersa nell’ambito della psicologia della religione, in quanto, pur trattandosi di una teoria ancora in fase di iniziale ricerca e riferita universalmente alle religioni in generale, trova nei gruppi settari più ideologizzati l’esempio emblematico per una analisi del vissuto da attaccamento ” patologico”. In essi, infatti, l’individuo mostra una accentuata dipendenza regressiva nei confronti del leader-guru, interpretabile psicologicamente come il retaggio del mancato superamento del legame simbiotico con la madre (Abgrall).

Nel corso degli anni ’80 si è registrato un acceso dibattito, in ambito nordamericano, con relative prese di posizione giudiziarie, tra associazioni, sociologi e accademici critici e favorevoli nei confronti delle sette, o meglio sulla correttezza e validità scientifica dell’uso di tecniche di condizionamento ed ingannevoli da parte di alcune di queste. A seguito di alterne vicende e svariate ricerche, l’Associazione Psicologica Americana (APA), pur in presenza di un controverso rapporto fortemente critico 14, giunge sostanzialmente ad una conclusione di non pronunciamento per mancanza di informazioni complete e documentate, ma comunque non di rifiuto esplicito, come talora impropriamente riportato15. Per restare nell’ambito della realizzazione sociale di teorie psicologiche alternative, va ricordato anche lo sviluppo di certe scuole di pensiero, a partire dagli anni ’60 e ’70, legate per esempio alla cosiddetta terapia provocativa, oltre alla successiva variegata diffusione delle offerte di t
eorie e prassi applicative sulla formazione e il cosiddetto “sviluppo personale” che si rifanno (fedelmente o liberamente) alle teorie della Programmazione Neurolinguistica (PNL) [16].

Fondamentale è operare un non sempre agevole discernimento, in merito, tra quanto avviene nelle numerose associazioni psico spiritualiste di formazione e sviluppo personale della cosiddetta religione dei seminari, suscettibile di comportamenti settari, e le scuole di pensiero accreditate scientificamente, opportunamente trattate anche in corsi universitari (Psicologia del Benessere), che rispettano le linee guida accreditate in ambito deontologico professionale, astenendosi rigorosamente sia da ogni giudizio critico sulle persone sia da qualsiasi forma di contatto fisico o, peggio, di violenza fisica, agita o comunque tollerata [17]. Per non parlare di altri aspetti fortemente critici riscontrabili in gruppi controversi quali l’uso di pseudo tecniche mono-proposta (panacea di ogni problema personale) da parte di personale non sempre accreditato, la creazione di un clima di segretezza ed intimorimento al punto da creare forme di dipendenza (anche economica per i costi spesso elevati dei corsi), fino all’uso di tecniche di controllo mentale con conseguente tendenza alla sopravalutazione personale (ipertrofia dell’io) e all’inaridimento affettivo e familiare.

Per quanto riguarda, infine, lo studio della psicologia dei gruppi, merita menzione la cosiddetta sindrome gruppale, [18] sviluppatasi nell’ambito della psicologia sociale, anche per la significativa coincidenza con le caratteristiche idealtipiche individuate in questa sede per i gruppi settari: essa infatti è caratterizzata da tendenza all’uniformizzazione forzata attraverso l’autocensura e la soppressione del dissenso; sopravalutazione perfezionista; chiusura cognitiva con rimozione o demonizzazione stereotipata degli avversari.

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Note

3. Per il quale la rigida separazione tra male e bene, propria delle concezioni religiose tradizionali e occidentali in particolare, impedirebbe di sperimentare l’inesplorata zona grigia (d’ombra), dove gli opposti si fondono in una rappresentazione meno nevrotica della realtà.

4. E’ il caso di L. Ancona, citato in Mario Aletti, Psicologia, psicoanalisi e religione, studi e ricerche, EDB, Bologna 1992, p. 14.

5. Cf. . Mario Aletti, Psicologia, op. cit., pp. 47-52. Per un superamento, poi, della presunta neutralità ideale dello psicologo, cf. Paolo Ciotti – Massimo Diana, Psicologia e religione-Modelli problemi prospettive, EDB, 2005, pp.187-194. ; Antoine Vergote parla di “neutralità benevola” in Antoine Vergote, Psicologia religiosa, op. cit., p. 20 e ss.

6. Cf. lo storico dibattito tra una definizione sostantiva ed una funzionale di religione, dove la prima (A.Vergote) tendeva a sottolineare il fondamento e la priorità della categoria religiosa (ed in particolare quella cristiana rivelata) rispetto all’interpretazione psicologica, mentre la seconda (V.Der Lans) tendeva a sottolinearne l’origine speculativa propria della mente umana. Jacob A. Belzen contribuirà pure a trovare una sintesi tra le due posizioni, sottolineando il concetto più universale di “spiritualità” e la funzione morfopoietica dell’ambiente culturale e ambientale; cf. Paolo Ciotti – Massimo Diana, op.cit. pp. 87 e ss.; in senso più ampio, si veda anche la funzione condizionante del “mondo vitale”(Lebenwelt) ampiamente elaborato da Jurgen Habermas.

7 Cf. Antoine Vergote, op.cit., p.25.

8. Vd. Allport, L’individuo e la sua religione, pp. 274-276 o Psicologia della personalità, p 256 e ss.

9. Secondo il paradigma rappresentato dal passaggio dalla religione “trovata” alla religione “creata” (Vergote)

10. Per una descrizione articolata della religiosità come fattore integrante e promovente la personalità, vd. G. Sovernigo, Religione e persona: Psicologia dell’esperienza religiosa, EDB, Bologna, 1993; per una analisi critica del presunto rapporto biunivoco tra salute mentale, maturità umana e salute mentale, cf. Mario Aletti, op. cit., pp. 45-47; vd. anche Allport.

11. Secondo alcuni autori, più che di “bisogni religiosi” sarebbe più corretto parlare di “disponibilità religiosa”, cioè la capacità di dare connotazione religiosa a vicende riguardanti la maturazione della personalità umana, senza svilirne lo sviluppo naturale (cf. G. Sovernigo, op. cit. p. 66 )

12. Cf. Antoine Vergote, op. cit, pp. 228 e ss.

13. A partire dagli studi di Lee Kirkpatrick e Pehr Granqvist

14. Si tratta del rapporto denominato DIMPAC

15. Per un’ampia e documentata trattazione della controversia interpretativa, risalente alla fine degli anni ’80, ed un tentativo di ricomposizione, tra allora esponenti del GRIS e CESNUR, cf. Massimo Introvigne, Il lavaggio del cervello, op. cit. pp. 92-101

16. Particolare sistema di sviluppo personale attraverso il “modellamento” del comportamento, ideata da Richard Bandler e John Grinder, che integra in un sistema singolare psicologia, linguistica e cibernetica

17. Per una trattazione critica e documentata sui danni provocati di quelle che vengono emblematicamente definite “Psicoterapie folli” cf. Margareth Singer, J.Lalich, “Psicoterapie Folli“, Ed. Erickson, 2000 comprese le fondamentali regole deontologiche contenute nella presentazione all’edizione italiana curata dal Dott. Paolo Michielin, nonché le linee-guida europee in tema di deontologia psicoterapeutica elaborate dall’Efpa e dall’ Eap.

18. Vd I.L. Janis, citato in M.L. Miniscalco, op. cit. p. 118

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ZENIT Staff

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