di Paul De Maeyer
ROMA, giovedì, 30 giugno 2011 (ZENIT.org).- Domenica 26 giugno le autorità cinesi hanno rilasciato uno dei più noti dissidenti del Paese, il trentasettenne Hu Jia. L’attivista per i diritti umani, che nel 2008 è stato insignito del prestigioso Premio Sakharov per la Libertà di Pensiero, aveva scontato una pena di 3 anni e mezzo in carcere per “istigazione al sovvertimento del potere dello Stato”.
In vista dei Giochi Olimpici di Pechino 2008, Hu aveva criticato ad esempio in una lettera aperta la situazione dei diritti umani in Cina e in particolare il Partito Comunista Cinese (PCC), che aveva accusato di gestire un sistema in cui “la tortura e la discriminazione sono sostenute da un sofisticato sistema di polizia segreta” (BBC, 27 giugno).
Ad annunciare la messa in libertà di Hu – avvenuta a Pechino alle ore 2.30 della mattina di domenica, secondo i commentatori per evitare ogni clamore mediatico – è stata sua moglie, Zeng Jinyan. “Stiamo bene e siamo felici. Ha bisogno di riposare. Grazie a tutti”, ha scritto in un messaggio su Twitter.
Il dissidente, che soffre di cirrosi epatica (conseguenza di un’epatite B), non può rilasciare interviste o ricevere la visita di altri attivisti. Anche se Hu ha scontato la sua condanna, si trova secondo la moglie “de facto” agli arresti domiciliari. Hu è stato privato del resto anche dei suoi diritti politici per un periodo di 12 mesi dopo la sua scarcerazione.
L’attivista ha comunque potuto parlare brevemente per telefono con la Cable TV di Hong Kong. Dalle sue dichiarazioni emerge che Hu intende continuare il suo impegno per i diritti umani. Si dovrebbe essere leali alla moralità, leali ai diritti dei cittadini, alla propria coscienza, così ha detto il dissidente all’emittente televisiva.
I suoi genitori invece – anche loro con un passato di dissidenza – stanno cercando di convincerlo ad abbandonare la sua lotta. “I miei genitori mi hanno detto: vivi una vita normale e non ti scontrare con il regime, perché è un regime molto crudele e che viola arbitrariamente la dignità dei suoi cittadini”, ha raccontato Hu all’emittente secondo quanto riferito dall’Agence France-Presse (27 giugno). “Ma posso soltanto dire che starò attento”, ha promesso l’attivista.
La scarcerazione di Hu è avvenuta solo pochi giorni dopo il ritorno alla libertà (vigilata) di un altro famosissimo dissidente cinese, l’artista concettuale Ai Weiwei, 53 anni. Ritenuto uno dei massimi esponenti della scena artistica contemporanea, Ai è conosciuto dal grande pubblico soprattutto come ideatore dello Stadio Olimpico di Pechino e per aver denunciato dopo il terremoto del 12 maggio del 2008 la corruzione edilizia nel Sichuan. La polizia ha rilasciato anche i soci e collaboratori di Ai “scomparsi” nei giorni successivi al suo arresto, tra cui il suo commercialista Hu Mingfen e il designer Liu Zhenggang.
Ai, che era stato arrestato domenica 3 aprile all’aeroporto di Pechino, è stato rilasciato su cauzione mercoledì 22 giugno per il “buon atteggiamento di collaborazione nel confessare i suoi crimini” e per motivi di salute (soffre infatti di diabete). Lo ha riferito l’agenzia stampa ufficiale Xinhua in un breve comunicato pubblicato lo stesso giorno. Secondo Xinhua, la compagnia controllata da Ai – la Beijing Fake Cultural Development Ltd – avrebbe evaso “una enorme quantità di tasse” e “distrutto in modo intenzionale documenti commerciali”. Ai, che al suo rilascio aveva secondo Newsweek (26 giugno) un aspetto “particolarmente sottomesso”, avrebbe anche “ripetutamente detto di voler ripagare le tasse evase”.
Poco convinti sono invece i sostenitori e la madre di Ai, Gao Ying, 77 anni. Per loro, si tratta solo di un pretesto per silenziare il dissidente. “Nel mio cuore so che quello che ha fatto mio figlio è giusto. Parla a nome della gente e difende i loro diritti. Non sta cercando di ottenere giustizia per la nostra famiglia, ma per il popolo”, ha detto la donna in un’intervista concessa alla New Tang Dynasty Television (NTD TV) e ripresa dal quotidiano The Epoch Times (27 giugno), entrambi con sede a New York e molto critici nei confronti del Partito Comunista Cinese, che questo anno celebra il 90° anniversario della sua fondazione.
A nessuno è sfuggito che la liberazione dei due dissidenti coincide con la visita del primo ministro cinese, Wen Jiabao, in alcuni Paesi europei, cioè Ungheria, Gran Bretagna e Germania. La grande domanda è dunque se si può interpretare il loro rilascio come un gesto (calcolato) di buona volontà nei confronti dell’Occidente?
Secondo l’attivista cinese Wan Yanhai, che vive negli USA, non è da escludere che sia proprio così. Come riferito dall’agenzia Associated Press (27 giugno), secondo Wan il governo cinese si sta rendendo conto del fatto che l’attuale ondata repressiva non ha potuto evitare lo scoppio di nuovi conflitti sociali, come la recente protesta dei lavoratori immigrati nella provincia meridionale del Guangdong o dei pastori mongoli nella regione autonoma della Mongolia Interna, nell’estremo nord della Cina.
Altri commentatori invece sono molto meno ottimisti. Secondo Damian Grammaticas, giornalista della BBC a Pechino, la messa in libertà dei noti dissidenti non è “un segno di un attenuarsi della repressione in corso in Cina ma mostra invece che il Partito Comunista la sta estendendo, determinato a far tacere i critici, anche quando vengono rilasciati”. Così ha scritto in una breve analisi pubblicata il 27 giugno sul sito della BBC. Come ricordato dal giornalista, non c’è stata nessuna clemenza nei confronti di Hu: è stato rilasciato perché aveva scontato la sua condanna.
Della stessa opinione è Pheline Kine, di Human Rights Watch (HRW). “Questo è il periodo peggiore che abbiamo visto in più di un decennio”, ha dichiarato, secondo quanto riferito da Newsweek (26 giugno). “Il governo ha buttato il regolamento dalla finestra e si affida adesso ai teppisti in borghese”. Mentre secondo un altro noto difensore dei diritti umani in Cina, Liu Anjun, l’Occidente non deve illudersi sul dialogo con Pechino sui diritti umani. “La Cina è una dittatura monopartitica”, ha ricordato.
Dal canto suo, l’Unione Europea ha dato un benvenuto cauto alla notizia della liberazione di Hu. “Ovviamente accogliamo con favore il fatto che Hu è stato rilasciato”, ha detto Michael Mann, portavoce dell’Alto rappresentante per la Politica estera dell’UE, Catherine Ashton (BBC, 26 giugno). “Ma è importante rimanere vigili su come verrà trattato d’ora in poi. Ci auguriamo che Hu recupererà i suoi pieni diritti”, ha aggiunto Mann.
Sul tema si è espresso anche il presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek, che ha definito la notizia del rilascio del Premio Sakharov 2008 “edificante”, come si legge in un comunicato stampa del 27 giugno. “Rallegrandoci per Hu Jia e famiglia, non dobbiamo dimenticare i molti attivisti politici e difensori dei diritti umani che sono ingiustamente incarcerati in Cina – Liu Xiabo per iniziare”, ha sottolineato l’ex primo ministro della Polonia.
Infatti, sono numerosi i difensori dei diritti umani ancora dietro le sbarre o di cui si hanno perso le tracce, come la giurista Ni Yulan, costretta alla sedia a rotelle dopo essere stata brutalmente malmenata dalla polizia nel 2002 ed arrestata il 7 aprile scorso, e il noto avvocato Gao Zhisheng, sparito nel nulla dall’aprile 2010. Le scuri di Pechino colpiscono infatti in particolare la categoria degli avvocati, come rivela un rapporto di Amnesty International (AI) pubblicato il 30 giugno a Hong Kong [1]. A causa della repressione – così si legge nel documento – il numero di avvocati che hanno ancora il coraggio di occuparsi di diritti umani è ormai ridottissimo in Cina: poche centinaia su un totale di oltre 204.000.
“Gli avvocati per i diritti umani sono nel mirino delle autorità perché cercano di usare le leggi per proteggere i cittadini contro gli abusi compiuti dallo Stato”, ha ribadito la vicedirettrice del Programma Asia e Pacif
ico della nota organizzazione, Catherine Baber (www.amnesty.it, 30 giugno). “Se gli avvocati hanno paura di occuparsi di ‘casi sensibili’ – ha continuato la Baber -, specialmente quando si tratta di abusi da parte di pubblici ufficiali, allora è l’intero popolo cinese a non poter fare affidamento sulla legge per ottenere un risarcimento e sono, invece, le autorità a beneficiarne, potendo continuare ad agire nell’impunità”.
I media cinesi – nessuna sorpresa – hanno largamente ignorato il rilascio di Hu.Solo un editoriale pubblicato il 27 giugno sul quotidiano filogovernativo Global Times ha spezzato il silenzio, osservando che per la maggior parte dei cinesi Hu Jia è un nome sconosciuto ma che per i media occidentali è un tema “rovente”. Secondo la testata, l’unica possibile spiegazione è la seguente: “Hu e gli altri ricevono gli applausi dell’Occidente non per quello che hanno fatto per la società cinese e per la pace nel mondo, ma semplicemente perché sono contro il governo cinese”.
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1) Il rapporto è scaricabile al seguente indirizzo:
http://www.amnesty.org/en/library/asset/ASA17/018/2011/en/20ed6bf3-aaa9-4da5-8220-6c07615e531b/asa170182011en.pdf