di Paul De Maeyer
ROMA, domenica, 26 giugno 2011 (ZENIT.org).- E’ calato in Francia il sipario sulla revisione della legge sulla bioetica del 2004. L’iter legislativo, preceduto nel 2009 da un’ampia consultazione popolare o “Stati generali” della bioetica, si è concluso giovedì 23 giugno con la votazione definitiva da parte del Senato. Con 170 voti contro 157, il “Palais du Luxembourg” ha approvato infatti il testo comune della Commissione Mista Paritaria (CMP) Assemblea-Senato, che martedì 21 giugno aveva già incassato con 94 voti contro 68 il sì dell’Assemblea Nazionale.
La CMP aveva adottato mercoledì 15 giugno con 7 voti contro 6 un testo unificato del disegno di legge, mantenendo tra l’altro il (discusso) sistema del divieto con regime di deroghe della ricerca sull’embrione umano e una clausola per rivedere la normativa entro 7 anni. La Commissione Mista Paritaria, composta da 7 senatori e 7 deputati, può essere convocata (come prevede l’articolo 45 della Costituzione del 1958) quando persiste un “disaccordo” tra le due assemblee su un progetto di legge, in questo caso tra le stesure della nuova legge sulla bioetica approvate rispettivamente in prima e in seconda lettura dall’Assemblea Nazionale (il 15 febbraio e il 31 maggio) e dal Senato (l’8 aprile e il 9 giugno).
Proprio il principio dell’interdizione con deroghe della ricerca con embrioni umani o con cellule staminali prelevate da embrioni umani è stato uno degli elementi di maggior impatto etico dibattuti in aula. Le pressioni per abbandonare la proibizione con deroghe e consentire almeno una ricerca “inquadrata” con gli embrioni (la modalità approvata in prima lettura dal Senato ma poi eliminata in seconda lettura) sono state molto forti.
Soprattutto membri dell’opposizione ma anche alcuni esponenti della maggioranza si sono espressi a favore di un cambiamento della legge del 2004. “Vietare questa ricerca sarebbe sottomettere la ricerca ad argomenti ideologici, cosa che la Francia non ha mai fatto”, aveva dichiarato in occasione dell’esame in prima lettura il relatore del disegno di legge al Senato, Alain Milon, membro dell’Unione per un Movimento Popolare (UMP) del Presidente Nicolas Sarkozy ma anche un “militante accanito di una liberalizzazione della ricerca”, come ha ribadito Pierre-Olivier Arduin, esperto in bioetica della Diocesi di Fréjus-Tolone e della Fondation de Service politique (Décryptage, 14 giugno).
A difendere invece lo “status quo” è stato sin dall’inizio il Governo del primo ministro François Fillon (UMP), in particolare il Ministro per la Salute, Xavier Bertrand (UMP), il quale ha difeso in varie occasioni il principio del “no, ma”, dichiarando che il regime derogatorio è senz’altro la soluzione “migliore”, poiché vieta la pratica senza “chiudere la porta ai progressi della scienza” (Agence France-Presse, 26 maggio).
Un altro elemento della legge che ha suscitato un acceso dibattito anche nella società civile è stato quello del “dépistage” o diagnosi prenatale (DPN). La CMP ha sancito infatti l’obbligo per i medici di informare ogni donna incinta in maniera “chiara, leale e adattata alla sua situazione” – come dice la formula inscritta nella legge in seconda lettura dal Senato – sulla possibilità di ricorrere ai vari metodi ed esami della diagnosi prenatale.
Si tratta di un provvedimento che prende di mira specialmente i feti con la trisomia del cromosoma 21 o sindrome di Down. Mentre oggi ben il 96% dei feti Down viene abortito in Francia – a rivelarlo è stato nel maggio del 2009 un rapporto del Consiglio di Stato -, secondo i critici l’obiettivo dell’obbligo è evidente, cioè “estirpare il 4% dei bambini trisomici che passano ogni anno attraverso le maglie della rete”, come ha ribadito con amarezza il presidente della Fondation de Service politique, Francis Jubert (Décryptage, 10 giugno).
In un comunicato stampa pubblicato il 7 giugno, il Collectif des Amis d’Eléonore – un’associazione creata nel febbraio 2010 da un gruppo di genitori di bambini Down, che ha come portavoce una giovane ragazza trisomica, Eléonore – ha respinto con forza il “dépistage” sistematico della sindrome di Down, definendolo una “mossa eugenetica”. L’obbligo di informare le donne – così si legge nel testo – è “odiosamente stigmatizzante nei confronti delle persone affette da trisomia 21”. Essendo in seguito al decreto del 23 giugno 2009 dell’allora Ministro alla Salute Roselyne Bachelot l’unica patologia ad essere oggetto di un “dépistage” sistematico, la sindrome di Down “appare, implicitamente o esplicitamente, come una malattia da estirpare”, continua il comunicato del Collectif.
Non sono mancate le reazioni negative dopo il sì definitivo da parte della Camera Alta alla nuova legge di bioetica. Secondo Alain Milon, la normativa rappresenta “un regresso incontestabile – di ideologia, non di diritto” (AFP, 23 giugno). “Mantenendo l’anonimato della donazione di gameti, rifiutando il trasferimento di embrioni dopo la morte del padre, opponendoci alla gestazione per conto altrui e all’accesso all’assistenza medica alla procreazione per le coppie omosessuali, non abbiamo saputo far evolvere il nostro diritto con la società francese”, ha sostenuto il senatore UMP dopo la votazione in aula.
Secco è stato anche il commento di Muguette Dini, presidente della Commissione degli Affari sociali e membro del gruppo Unione Centrista al Senato. “Molto rumore per nulla”, ha ribadito la Dini, riferendosi alla nota commedia shakespeariana. Secondo la Dini, il mantenimento del divieto con deroghe della ricerca con gli embrioni umani farà sì che la ricerca francese “sia molto in ritardo rispetto agli altri Paesi” (idem).
A respingere questa voce è stato in un’intervista con il Quotidien du Médecin (17 giugno) il vice presidente del Comitato Consultivo Nazionale di Etica (CCNE), Pierre Le Coz, che ha denunciato l’ipocrisia che consiste nel dire che il regime attuale penalizzerebbe la ricerca. “Ho partecipato personalmente ai lavori del consiglio d’orientamento dell’Agenzia di Biomedicina per tre anni e abbiamo sempre autorizzato la ricerca sugli embrioni senza troppe difficoltà: i dossier bocciati sono stati rari”.
Per Françoise Laborde, del Raggruppamento Democratico e Sociale Europeo (RDSE), il Parlamento francese ha “mancato” l’appuntamento. “Una parte della maggioranza ha finalmente ceduto alle ingiunzioni del governo formulate sotto l’influsso degli ambienti religiosi più conservatori”, ha commentato l’esponente dei radicali, facendo riferimento alle nette prese di posizione da parte della Chiesa cattolica.
Sin dalle prime battute del dibattito, la Conferenza Episcopale di Francia (CEF) non ha smesso infatti di far sentire la sua voce. Il 30 novembre scorso, il Cardinale Arcivescovo di Parigi e presidente della CEF, André Vingt-Trois, aveva richiamato ad esempio in un’intervista con il settimanale La Vie l’attenzione su quella che ha definito una “certa incoerenza” da parte del Governo francese, che da un lato dichiara di voler vietare la ricerca sugli embrioni, ma dall’altro ammette delle deroghe. Il divieto è infatti simbolico: l’Agenzia di Biomedicina (ABM), che ha la facoltà di autorizzare “a titolo derogatorio” progetti di ricerca con embrioni, ha approvato dal 2004 ben 58 protocolli su 64 presentati.
“Povero embrione umano”, ha osservato in una riflessione pubblicata di recente sul sito della CEF il portavoce dell’organismo, monsignor Bernard Podvin. “Dire che in questo stesso momento Bruxelles e l’Europa hanno tanto riguardo verso il tuo … ‘omologo’ animale! Ci sarà dunque un metro etico più favorevole a divenire animale che a divenire umano?”, si è chiesto il presule, il quale ha ricordato che “la grandezza di una Nazione è anche erigere in politica la difesa intangibile di colui che è senza difese”.