di Chiara Santomiero
ROMA, sabato, 18 giugno 2011 (ZENIT.org).- Spetta ai vescovi diocesani dare una risposta adeguata al fenomeno degli abusi sessuali da parte dei chierici, così come indicato nella Lettera circolare inviata dalla Congregazione vaticana per la dottrina della fede alle conferenze episcopalidi tutto il mondo.Lo ha ribaditoil promotore di giustizia della stessa Congregazione, monsignor Charles Scicluna, durante la conferenza stampa svoltasi sabato a Roma per presentare il Simposio “Verso la guarigione e il rinnovamento” promosso dalla Pontificia Università Gregoriana e previsto per il febbraio 2012.
“La risposta – ha affermato Scicluna – è parte essenziale del concetto di bene comune della Chiesa e deve comprendere due azioni fondamentali: assistere le vittime ed educare le comunità ecclesiali”.
A margine della conferenza stampa mons. Scicluna ha approfondito l’argomento rispondendo ad alcune domande.
Quali sono i risvolti pratici del binomio: assistere le vittime/educare le comunità?
Scicluna: Bisogna cominciare dalla formazione dei chierici in seminario. La più recente ricerca americana in materia di abusi sessuali sui minori da parte di preti cattolici, il John Jay Report sulle cause e il contesto di questo fenomeno, conferma che laddove nasce nei seminari la consapevolezza dell’importanza della formazione umana – comprendendo in questa anche un atteggiamento molto sano verso la sessualità -, si verifica un calo di abusi sessuali da parte dei chierici formati in quella generazione. Questo significa che una formazione sana dei seminaristi, un atteggiamento sano verso l’erotismo e la sessualità aiuta la persona a gestire le esigenze giuste del celibato in una maniera più consapevole, non repressiva, così che non arrivi a sfoghi traumatici e distruttivi.
In che modo entrano in gioco le comunità?
Scicluna: C’è una sfera di abusi sessuali che noi non potremmo mai sradicare, in quanto è generata dalla costituzione psicologica del singolo individuo. Qui non si pone solo un problema di formazione, ma la necessità di una terapia a lungo termine per un disturbo molto difficile da diagnosticare e da, come si dice in italiano, “beccare”, scoprire. Di conseguenza la comunità deve essere sempre messa in grado di proteggersi, di riconoscere bene i segni dell’abuso di potere che poi può essere eroticizzato nell’ambito dell’abuso dell’intimità con i ragazzi o diventare vero e proprio abuso sessuale su minori.
La formazione del clero deve quindi andare di pari passo con la formazione della comunità. Questa è importante anche per gestire bene la guarigione delle vittime le quali, a causa del peso che si portano dentro, si sentono “fuori” della comunità stessa. Nasce l’esigenza di un atteggiamento di misericordia della comunità ecclesiale che accoglie l’individuo ferito come una parte integrante di sé perché questo è il Vangelo: il Vangelo porta guarigione, non cerca solo di evitare il peccato ma dove c’è un trauma spinge a creare un ambiente dove la persona ferita può raccogliersi e ritrovare nella propria vita i segni della carità, della speranza e anche di una fede che l’abuso subito può aver ucciso.
La responsabilità di affrontare il problema spetta ai vescovi che però molte volte non sono stati all’altezza di questo compito…
Scicluna: I vescovi sono, come si dice in inglese, di tutte le “taglie”, di tutti i tipi, ma c’è un atteggiamento del vescovo che non viene da una sua scelta personale bensì dalla sua vocazione che è quella di essere “buon pastore”. Il buon pastore quando vede il nemico non fugge ma sta alla porta per poter difendere il gregge: sono le parole di Gesù. Anche Benedetto XVI, all’inizio del suo pontificato disse “pregate per me affinché davanti al nemico io non fugga, ma abbia il coraggio di essere un buon pastore”: le parole di Gesù, attualizzate anche dal Papa, devono essere l’ideale di ogni vescovo oggi.
E quando i vescovi non sono dei buoni pastori come si può fare?
Scicluna: La Lettera circolare della Congregazione per la dottrina della fede, dando ai vescovi dei parametri per agire, rappresenta già un segnale molto forte della Santa Sede. Quando riceviamo i vescovi nelle visite ad limina capiamo che ormai c’è una consapevolezza diffusa circa il problema e anche circa la posizione del Papa a riguardo. Ogni fedele, inoltre, ha il diritto di esprimere la sua preoccupazione riguardo alla diocesi direttamente alla Santa Sede, anche tramite il nunzio. Il mio lavoro mi ha fatto apprezzare molto l’attività dei nunzi che rappresentano presso la comunità locale, e non solo presso i governi, la vicinanza del Santo Padre. La gente deve sapere di potersi rivolgere al nunzio quando ci sono delle questioni che si ripercuotono sul ministero pastorale dei loro vescovi, non per denunciarli, ma per dire: “noi abbiamo fiducia nel ministero di Pietro che il nunzio rappresenta e nutriamo una preoccupazione che abbiamo il dovere, non solo il diritto, di portare a Pietro”. Anche questa possibilità fa parte dell’educazione della comunità ecclesiale.
In un’altra intervista ha affermato che i casi di abuso in arrivo alla Congregazione sono in diminuzione: quale influsso ha avuto su questo il risalto dato al fenomeno da parte dei mass media?
Scicluna: I mass media hanno aperto gli occhi di tutti su questo triste fenomeno e hanno messo tutti noi nella situazione di doversi confrontare con la verità dei fatti. Gesù ci ha detto che la verità ci farà liberi. Non ci può essere guarigione, non ci può essere liberazione da questo peso se noi non siamo umili e coraggiosi abbastanza per affrontare la verità dei fatti, la verità della ferita, l’esigenza di fare meglio il nostro dovere. Sotto questo aspetto io guardo a Benedetto XVI che, con grande umiltà, ha saputo dare un grande esempio non solo alla Chiesa ma anche al mondo.