Obiezioni della Santa Sede alla Dichiarazione ONU sull'Aids

La gente ha più dignità di quanto riconoscono le Nazioni Unite

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NEW YORK, venerdì, 17 giugno 2011 (ZENIT.org).- Essendo l’organizzazione responsabile di più di un quarto dell’assistenza mondiale ai malati di Aids e alle vittime di questa malattia, la Chiesa parla della pandemia con grande esperienza.

Ciò che dice, e che ha detto ancora una volta nella sede delle Nazioni Unite la settimana scorsa, è che la persona umana è migliore, più forte e più capace di ciò che si pensa in genere. La persona umana ha una dignità che le Nazioni Unite stentano a riconoscere.

Per questo, quando venerdì scorso, nella sede di New York, è stata accettata all’unanimità una dichiarazione politica dell’ONU sull’Hiv/Aids, la delegazione del Vaticano ha sottolineato alcuni punti sui quali non era d’accordo.

Lo aveva fatto anche monsignor Silvano Tomasi, osservatore permanente presso l’ufficio ONU a Ginevra, alcuni giorni prima in una riunione in Europa, ricordando il ruolo della Chiesa nella lotta all’Aids.

Per lottare contro questa infezione, Jane Adolphe, docente associato di Diritto presso l’Ave Maria School of Law, ha parlato nella riunione di New York a nome dell’Arcivescovo Francis Chullikatt e ha proposto un punto di partenza: “il riconoscimento del fatto che la persona umana può e deve modificare un comportamento irresponsabile e pericoloso, anziché accettarlo semplicemente come se fosse inevitabile e immutabile”.

La delegazione della Santa Sede alle Nazioni Unite ha voluto ricordare che l’Aids è più delle statistiche o dei piani ideologici per combatterlo.

“Le politiche, i programmi e le dichiarazioni politiche non hanno senso se non riconosciamo la dimensione umana di questa malattia negli uomini, nelle donne e nei bambini che vivono con l’Hiv/Aids o ne sono affetti”, ha affermato.

La Santa Sede è tornata a proporre “l’unico mezzo universalmente efficace, sicuro e accessibile per fermare la diffusione di questo male: astinenza prima del matrimonio e fedeltà reciproca durante il matrimonio, evitando di correre rischi e di avere condotte irresponsabili e promuovendo l’accesso universale ai medicinali che prevengono la trasmissione dell’Hiv da madre a figlio”.

Ha anche criticato quanti ignorano i risultati positivi dei programmi basati sull’astinenza e la fedeltà, “guidati dall’ideologia e dal proprio interesse economico, che è aumentato come risultato dell’Hiv”.

Nello stesso senso, ha dichiarato che l’accesso al finanziamento non deve limitarsi a “nozioni preconcette a livello ideologico”, ma basarsi “sulla capacità delle organizzazioni di fornire un’assistenza sicura, accessibile ed efficace a quanti ne hanno bisogno”.

Pieno rispetto

Per questo, dopo l’accettazione della Dichiarazione, la delegazione della Santa Sede ha chiesto che si includesse una “dichiarazione interpretativa” in cui mostrava le sue riserve e segnalazioni su vari punti del documento.

La dichiarazione vaticana ha ribadito la posizione della Chiesa sui concetti “salute sessuale e riproduttiva”, “servizi” e “di genere”.

Ha anche affermato una comprensione del termine “giovani” che significa che gli Stati devono rispettare i diritti dei padri di famiglia, e che riconosce che la famiglia tradizionale è indispensabile per la lotta all’Aids.

La Santa Sede ha poi respinto il riferimento a definizioni come “popolazione ad alto rischio”, dicendo che presuppone il fatto di “trattare le persone come oggetti, il che può dare la falsa impressione che certi tipi di comportamento irresponsabile in qualche modo siano moralmente accettabili”.

Ha anche ricordato che non sostiene l’uso dei preservativi per i programmi di prevenzione o le lezioni di educazione sessuale, e che non accetta gli sforzi di “riduzione del danno” collegati al consumo di droghe, visto che questi “non rispettano la dignità delle persone che soffrono la dipendenza dalle droghe, perché non curano il malato, ma gli suggeriscono falsamente che non può liberarsi dal ciclo della dipendenza”.

Ha inoltre respinto la caratterizzazione delle persone che esercitano la prostituzione come “lavoratrici sessuali”, “visto che questo può dare la falsa impressione che la prostituzione in qualche modo possa essere una forma legittima di lavoro”.

“Ciò di cui c’è bisogno”, conclude il comunicato, “è un approccio basato sui valori per lottare contro la malattia dell’Hiv/Aids, un approccio che fornisca le cure necessarie e il sostegno morale alle persone contagiate e promuova una vita conforme alle norme dell’ordine morale naturale, un approccio che rispetti pienamente la dignità inerente all’essere umano”.

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ZENIT Staff

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